Scienza vs. “sapere umanistico”
Secondo Diego Fusaro, la questione dei vaccini è prettamente politica e necessita l’intervento di filosofi e politologi, poiché è noto che ogni volta che si ha mal di denti bisogna andare a tagliarsi i capelli. Nella delicata questione, continua Fusaro, sono in gioco interessi multinazionali di enti privatistici, che essendo “smaccatamente sovranazionali” entrano in conflitto con l’interesse nazionale. La vexata quaestio dei vaccini obbligatori merita di essere affrontata, a detta del buon Diego, non da medici, immunologi, tecnici o virologi, ma da una “diversa angolatura”, che è un modo carino di dire che ha ragione lui. I vaccini coatti sono una questione essenzialmente politica, e la politica non va lasciata ai tecnici. Occorre reagire alla tecnicizzazione integrale oggi in atto, a causa della quale sparisce la paideia, intesa come formazione culturale, filosofica e civile.
Il vaccino è una vernice che occulta i reali rapporti di forza: la retorica dei diritti è un modo di tutelare l’interesse multinazionale. Lo stato dovrebbe avere a cuore l’interesse dei cittadini, invece pensa solo a vaccinarli. Gli enti privatissimi non hanno a cuore l’interesse della società, ma solo i loro interessi, ugualmente privatissimi. Nel 2014, in spazi non-reali si era deciso che l’Italia sarebbe stata l’apripista dei vaccini obbligatori, ed eccoci tutti schiavi del pensiero unico. Poco conta il caso del bambino di Monza, malato di leucemia e morto per complicazioni legate al morbillo, da cui era stato contagiato dai fratelli non vaccinati. Poco conta il caso del bambino di Porcari morto di meningite, a cui era stata posticipata la vaccinazione. Ma questa degradazione della critica biopolitica foucaultiana di Fusaro conta adepti anche meno insigniti accademicamente.
Agenda mediatica e legittimità del boh?
Il seme del dubbio porta avanti la scienza, scrive Gianluigi Paragone, altro lume del movimento no-vax, apripista della manifestazione tenutasi a Pesaro pochi giorni fa. Un malcontento tristemente diffuso e un sentimento che somiglia più all’invidia che alla protesta da pensiero critico serpeggia: gli scienziati credono di essere il Sapere! Ma basta un unico esperimento per dimostrare che si sbagliano. (dov’è questo esperimento? )
Si parla del poco spazio occupato nei telegiornali dalla questione dei vaccini: persino Berlusconi e il sosia di Dudù hanno ricevuto maggiore attenzione mediatica, ma Berlusconi è Berlusconi, per non parlare di Dudù, che è un adorabile cucciolo morbido, decisamente più tele-appetibile di virus, batteri e siringhe. La frequenza e il potenziale commerciale e ricreativo di quanto circola in tv può dunque essere considerato una valida unità di misura di attendibilità? Non potrebbe essere vagamente plausibile che l’antipatia per la stragrande maggioranza dei telespettatori per qualsiasi cosa odori anche solo lontanamente di impegnativo, intellettuale o vagamente istruttivo tenda, magari solo un pochettino, a dettare l’agenda televisiva? No, perché ci sono i poteri forti. E i complotti. E le scie chimiche. Tutto condensato nei vaccini. Ma procediamo.
“La messa dei dotti, dei medici e dei sapienti è allineata al pensiero unico e, per paura del confronto, non tollera il dibattito. Si sottrae e soprattutto deride, offende” tuona Paragone sul Fatto Quotidiano.

Ognuno si sente un novello Galileo, quello che venne costretto ad abiurare nonostante avesse ragione, nonostante i poteri forti dell’epoca non accettassero supinamente di vedere il paradigma che fondava l’ordine cosmico letteralmente sovvertito. Magari ci credevano pure loro, che la Terra girava intorno al Sole e non viceversa, ma in ogni caso non si poteva certo dire ad alta voce. Il punto, però, è che Galileo rappresenta ciò che ora è il paradigma dominante, e quindi l’analogia si spezza ancora prima di cominciare: la riproducibilità e falsificabilità della scienza non sono più un’optional, almeno sulla carta.
E qui tornerebbe parte dell’eterno dibattito filosofico sul dubbio, che in gran sintesi si può riassumere con: dubitare è giusto, e necessario. Ma ci devono essere (ci sono) delle condizioni in cui è legittimo dubitare. La difesa del dubbio per se stesso è come difendere il diritto di orinare: indispensabile, ma secondo alcune regole (perlomeno contestuali).
La (giusta?) arroganza dell’oggettività
Imperversa sui social il caso di Roberto Burioni, Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia, Dottore di Ricerca in Scienze Microbiologiche e Specialista in Immunologia Clinica ed Allergologia che pare abbia la pretesa di saperne di più di Diego Fusaro (laureato in filosofia) sui vaccini. Ricorda un po’ il Vannoni santificato dalle Iene, sempre in nome di una “speranza” e di un “dubbio” che si sono rivelate, anche agli occhi della magistratura, speculazione travestita da scienza d’avanguardia, costruita sulla disperazione delle famiglie di persone ammalate.

Burioni ritiene che le vaccinazioni obbligatorie dovrebbero essere quattordici e risponde agli scettici che il primo requisito fondamentale perché un vaccino sia messo in circolazione è la sua sicurezza, testata con appositi, accuratissimi, studi clinici.
Si può discutere sull’aggressività della comunicazione di Burioni, che finisce per essere sfiancante e antipatica, prima che rassicurante, ma certo non sulla sua preparazione da medico. Il tono della discussione è acceso e aperto a insulti, prima che a evidenze e dati. Si sprecano i master sulla comunicazione scientifica, la cosiddetta divulgazione, e forse, boh, dal prossimo anno saranno inclusi 12 CFU di “Blastare la ggente”. È facile farsi prendere dal sacro fuoco dell’oggettività e usarlo come spada invincibile. Ma non si fa (comunicazione della) scienza per avere ragione, la si fa per cambiare le cose – come ha più o meno detto anche Carlo Marx diversi anni fa.
Qualche dato
Detto questo, la diatriba sui vaccini non dovrebbe diventare una sorta di gara a chi la spara più grossa, ma finisce per poter essere spiegata con una classica (e già abusata) citazione di Nanni Moretti: “Parlo mai di astrofisica? Parlo mai di botanica? Parlo mai di epigrafia greca? Io non parlo delle cose che non conosco!” Quella che sembra una gara a chi ce l’ha più grosso, dovrebbe invece preoccupare per aver fatto luce sul quasi inesistente senso di comunità di chi non vaccina i figli e parla di libera scelta, mettendo poi a rischio i figli di tutti (compresi quelli che hanno subito la scelta). Chi non vaccina mette in pericolo le fasce più deboli: chiunque abbia delle malattie croniche, chi è sieropositivo, chi purtroppo non può scegliere di proteggere se stesso e gli altri, come i neonati.
Fino a maggio 2017 le vaccinazioni obbligatorie in Italia erano quattro – antidifterica, antitetanica, antiepatite B e antipoliomielitica – anche se molte altre venivano comunque offerte attivamente e gratuitamente dal servizio sanitario, come previsto di volta in volta dal calendario vaccinale. Questi sono le vaccinazioni obbligatorie previste da maggio: antipoliomielica, antidifterica, antitetanica, antipertosse, antiepatite B, Anti Haemophilusinfluenzae tipo B, antimeningococcica B, antimeningococcica C, antimorbillo, antiparotite, antirosolia, antivaricella. Già offerte gratuitamente dal Sistema sanitario ma escluse dal decreto legge sull’obbligo ci sono anche la vaccinazione antipneumococcica (da effettuare a 3, 5 e 11 mesi di vita) e quella contro l’HPV (da effettuare in età adolescenziale)
I dati sui controlli dei vaccini sono difficilmente analizzabili in quanto spesso analizzati con metodi diversi, perché ogni ASL fornisce i dati sulla copertura vaccinale, ma la pratica è diversa: se già un paio di strutture non forniscono i dati sul territorio, se non lo fanno bene, tutto crolla. Questo rende plausibili i dubbi degli scettici, ma non per questo li rende vincenti. Quando si decide un piano terapeutico, si prende in considerazione la proporzione rischio-beneficio della cura in questione. Per quanto riguarda la questione dei vaccini, la proporzione è eclatante, basti osservare, ad esempio, la seguente tabella:
Il problema della scarsa informazione sussiste, ma resta il dilemma se debba assumere tratti più commerciali, emozionali ed immediati, stile tabloid, o se invece non sia il caso di investire in un cambio di rotta culturale, dove l’informazione non debba per forza intrattenere per essere percepita come necessaria.
L’ottimista vede il bicchiere mezzo pieno, il pessimista lo vede mezzo vuoto, lo scienziato di 65 ml.
Solo uno dei tre ha ragione, scientificamente.
Sofia Torre
(con la collaborazione di Filippo Batisti @disorderlinesss)
Fonti:
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4669_listaFile_itemName_0_file.pdf
Fai clic per accedere a Piemonte.pdf
immagine di copertina: 9gag
Cara Claudia grazie per il commento.
La dicitura “ogni malattia cronica” è effettivamente troppo vaga, nel senso che raccoglie un numero maggiore soggetti più di quanto volessimo dire. In parole più semplici, è vero che non tutte le malattie croniche sono toccate dalla questione vaccini. Tolto questo, resta il fatto che chi ha un sistema immunitario più fragile è più esposto a qualsiasi tipo di agente patogeno, compresi quelli che sarebbero facilmente eliminabili dalla popolazione tramite le vaccinazioni di massa.
FB
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Di fondo sono d’accordo con i pareri espressi dall’autore del testo, tuttavia trovo sinceramente un controsenso inneggiare al necessario e indiscutibilmente importante parere dei cosiddetti “tecnici” della materia e allo stesso tempo però liquidare in maniera approssimativa la parte concernente i dati e i termini medici necessari. A fronte di una prima corposa parte del testo di critica nei confronti di Fusaro e altri, ho trovato particolarmente carente e poco corretta la parte realmente inerente ai vaccini e alla loro discussa efficacia.
Per dirne una, la frase: “chi non vaccina mette a rischio chiunque abbia delle malattie croniche” da un punto di vista medico è una bestemmia, dato che un diabetico (affetto quindi da malattia cronica) non rientra tra le persone a rischio quando viene a mancare l’immunità di gregge (altro termine medico sacrosanto da utilizzare quando si decide di affrontare l’argomento vaccini). Ma non solo questa frase, anche altre, in merito al sotto capitolo “qualche dato” mi paiono alquanto approssimate. Concludo ripensando alla citazione presente nel testo stesso di Nanni Moretti, perché si è meglio che a parlare di certi argomenti siano persone competenti e non terzi poco informati.
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