“On the Milky Road”, verso il realismo magico di Kusturica

In On the Milky Road Emir Kusturica torna a raccontare la guerra civile in ex Jugoslavia. C’è qualcosa di nuovo rispetto a quello che già sappiamo?

Lei è Sposa, lui è Kosta. Come nei migliori melodrammi: si conoscono, si innamorano, ma lei è la promessa Sposa del futuro cognato di lui. Più complesso a dirsi che a farsi, quanto meno nella tribuna di soggetti forgiati da Emir Kusturica. Se conoscete la sua filmografia infatti, saprete che in passato c’era già stata una donna contesa: era la bionda Natalija di Underground. Ma anche in quel caso, il corpo della voluttuosa attrice era il campo di battaglia di una guerra tra Marko e il Nero per la conquista del potere. E, neanche a farlo apposta, Miki Manojlović si ritrova ad interpretare lo stesso ruolo a distanza di 21 anni: comandante sleale, marito disinteressato, assegnato prima a Natalija e poi a Sposa.

On the Milky Road è un cappello temporale di 125 minuti, dal quale Kusturica estrae ipotipi di personaggi grotteschi, argomenti noti, stile picaresco, ambientazioni oniriche. Siamo nei Balcani degli anni Novanta, al confine tra Croazia, Bosnia e Serbia. La guerra civile è in corso, i caschi blu sorvegliano la frontiera. Tra fratelli si spara. Kosta (interpretato dal regista stesso) vive però immerso nel realismo magico, dove a far da padrona non sono le devastazioni umane ma la natura e gli animali che lo circondano, con i quali ha instaurato un rapporto francescano. Alla guida di un ciuchino, in spalla un falchetto: l’uomo non combatte ma attraversa il confine da un lato all’altro, per trasportare il latte che i soldati cagliano.

Quindi c’è un preciso simbolismo. Che ruolo è attribuito nel film agli animali e agli elementi naturali?

Gli esseri animali diventano essi stessi allegorie, presagi o addirittura deus ex machina. Più volte ritorna in particolare un serpente: sembrerebbe quel Còlubro di Esculapio che ritroviamo attorcigliato al caduceo, bastone del dio Hermes, simbolo di pace. Animale dal duplice significato, il serpente è presente anche nel simbolismo liturgico ortodosso, perché in cima al bastone del vescovo, affianco alla croce, ve ne sono sempre due. Non bastasse, nella cultura slava è anche legato al mito della divinità Veles: un enorme esemplare abbarbicato alle radici dell’albero del mondo, il pastore delle anime nell’aldilà. Il serpente è un amico, come dice Kosta a Sposa, non bisogna combatterlo.

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Kosta in “On the Milky Road” – Fonte: Darksidecinema.it

Oltre al serpente, anche le api e i falchi portano in salvo i due protagonisti. È proprio un falco il compagno fedele di Kosta e, forse non a caso, il rapace è anche la figura principale presente nel blasone della bandiera serba: l’aquila bianca bicefala con le ali spiegate, emblema della dinastia dei Nemanjić, il padre della nazione. Come da tradizione, Kosta e tutti i personaggi protagonisti di On the Milky Road sono serbi, nel rispetto dell’identità politica e culturale di Kusturica, oggi naturalizzato serbo, nonostante le sue origini bosniache. La guerra e i suoi dispositivi sembrano sfiorare Kosta e Sposa solo tangenzialmente, protetti come sono dalla natura e dal mistico potere dell’amore che li solleva, facendoli letteralmente volare in aria, ogni qual volta siano in pericolo di morte. Centrale è infatti il discorso sull’amore, sull’importanza che questa sensazione/sentimento/stato d’animo (o il modo in cui si preferisce chiamarlo) viene vissuto dagli esseri umani e ancora sulla potenza che ha come motore e scopo in base a cui orientare la propria vita. Nel linguaggio dei sentimenti si inseriscono poi tanti altri simboli apparentemente trascurabili. Si pensi alla coccinella – simbolo di fortuna – che i due innamorati trovano mentre sono nascosti tra le pecore. La coccinella, secondo una tradizione rumena, ha anche un altro significato: se infatti si posa sulla mano di una donna nubile camminandoci sopra per po’, quest’ultima si sposerà entro un anno.

A essere importante alle volte sono anche le questioni non dette, lasciate taciute. Si pensi al nome dell’amata di Kosta – semplicemente “La Sposa”. Di certo non casuale. Specialmente quando in una scena il personaggio interpretato da Monica Bellucci butta via il vestito che esplicitava il proprio senso, il proprio posto nella vicenda. Allo stesso modo però il suo ruolo era stato scritto per lei, non da lei. La donna è stata rapita – un po’ come una certa Elena – per diventare la sposa di un famoso eroe di guerra; è proprio nel momento in cui si libera del vestito che compie per la prima volta una propria scelta: diventare la compagna del lattaio.

E la guerra?

I simboli continuano a non mentire: le bianche oche immerse nel sangue della mattanza suina sono il presagio di un finale non lieto. Perché la guerra non potrà mai davvero finire, lo notifica anche l’orologio che continua ad incepparsi, impedendo lo scorrere del tempo. Sopravvivere a tutto questo è una condanna, ricordare è un dovere. Kosta è un “salvato” di leviana memoria e, come per il compianto autore, l’istinto iniziale di togliersi la vita per “il senso di vergogna per essere sopravissuto” è soppiantato dall’ordine di un pastore che gli ricorda quale sia ora il suo scopo. “Tu sei tornato perché dovevi raccontare. Tu hai il compito della testimonianza”. Questo si legge sempre nei Sommersi e i Salvati ed è ciò che farà Kosta, che per alleviare il dolore causato dalla perdita dell’amata troverà conforto nella religione ortodossa, alla quale lo stesso Kusturica si è convertito nel 2005. Una soluzione ecumenica che rispecchia i canoni di stile del regista slavo ma finisce per ripiegarsi su se stessa. È infatti nella pratica religiosa, da intendersi come condotta di vita ascetica, che Kosta ritrova uno scopo per vivere: bonificare – quasi purificare – una zona martoriata dalla guerra cospargendola di pietre bianche.

Altro elemento da non trascurare – ben evidenziato dal realismo magico che caratterizza l’ambientazione del film – è quello della precarietà. È infatti un aspetto minuscolo quello che fa prendere una piega mortifera o salvifica alla situazione. In un attimo la “fortuna” o il “destino” che ha caratterizzato le vicissitudini dei protagonisti e sembra in tutti i modi arridere loro, salvandoli da situazioni apparentemente senza uscita, si capovolge e distrugge i loro sogni colmi di speranza.

Quindi lo consigliereste o no?

Kusturica stesso non manca di definire il proprio film come una “favola moderna” costruita ripercorrendo vari momenti della propria vita. Se per ciò che concerne la storia e i personaggi l’inquadramento del genere letterario d’ispirazione aiuta e chiarisce, così è un po’ meno per l’insegnamento che si dovrebbe trarre. A prima vista sembrerebbe un film contro la guerra – mostrata nella propria insensatezza e brutalità (si pensi alla scena in cui i soldati cercano, senza riuscirvi, a uccidere una farfalla). E lo è senz’altro.

Ma il sentimento che attraversa l’intero lungometraggio è quello della “Jugonostalgia“: non tanto il rimpianto della Jugoslavia come Stato, quanto della qualità della vita in quel periodo storico. E Kusturica lo mostra negli ultimissimi minuti, per i quali conserva il meglio, nell’immagine di quel memoriale ai fratelli caduti, che in ultimo solo Sposa avrebbe potuto unire nel sacro vincolo della madrepatria Jugoslavia. Che è stata e mai più sarà.

Roberta Cristofori @billybobatorton
Livio Setaro per CinePhilo

Cinephilo

Fonte immagine in evidenza: cinematografo.it

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