Quest’anno l’assessorato alla cultura del Comune di Parma ha deciso di celebrare la Festa della Liberazione promuovendo tre serate di concerti nel Cortile della Pilotta, scandalosamente gratis e con nomi come Samuele Bersani e Brunori Sas. La poetica di Brunori Sas è la riconfigurazione in salsa agrodolce del percorso intellettuale di un uomo oscuro dalla coscienza pura, che in poche parole significa che la morale di quasi tutti i suoi pezzi è il seguente: “La vita è dolorosa e malinconica, molto dolorosa e malinconica, decisamente dolorosa e malinconica, assolutamente dolorosa e malinconica, tranne quando vado a farmi alcune birrette, poi torna ad essere dolorosa e malinconica”. Insomma, non amo particolarmente Brunori Sas e non avevo nessuna voglia di essere dolorante e malinconica, mentre trovo Samuele Bersani sottovalutato e ingiustamente tacciato di essere troppo “facile”. Ho cercato di raccontare questa tappa di “La fortuna che abbiamo TOUR” attraverso cinque pezzi, che sono stati eseguiti solo dopo i ringraziamenti ai facchini che “montavano il palco mentre io ero ancora a casa a grattarmi”.
Con una premessa: “Ho cercato di mettere in scaletta tutti i pezzi che mi avete chiesto e che avete mostrato di gradire. Purtroppo, qualcuno mi ha chiesto Deliri e sassi, ma questa canzone non esiste”.
Il mostro
Dicono che sia capace di uccidere un uomo
Non per difendersi, solo perché non è buono
Dicono loro che sono scienziati affermati
Classe di uomini scelti e di gente sicura
Ma l’unica cosa evidente è che il mostro ha paura
Non avevo mai sentito cantare Samuele Bersani dal vivo e, nonostante avessi ascoltato tutte le sue canzoni almeno venti volte, questo concerto è stato una sorta di rivelazione della bellezza e della potenza della sua voce. Una volta il mio professore di greco disse qualcosa sull’opera lirica, sul fatto che fondamentalmente i testi non hanno significati trascendentali (insomma, sono delle boiate) ma c’è qualcosa nella voce dei cantanti che finisce per spingerti vicino alle lacrime, l’estensione vocale, i gorgheggi, la potenza della voce, tutta questa bellezza, intensità e un crescendo di emozioni che iniziano con una sottile pelle d’oca e finiscono col pestare i piedi della signora calabrese in piedi dietro di te. Il Mostro è un pezzo ermetico, un sospiro oscuro di solitudine e incomunicabilità scritto, scritto per e insieme a Lucio Dalla, così come Canzone.
Spaccacuore
Ma non pensarmi più,
ti ho detto di mirare
L’amore spacca il cuore
Esiste una figura antropologica molto specifica, da me fanciullescamente intitolata “l’intellettuale cag***”. Sostanzialmente, l’intellettuale cag*** è quella fattispecie di individuo che schiocca le dita invece di applaudire, insiste nel sostenere che ci sia qualcosa di altamente concettuale, profondo e piacevole in chi siede per terra a tormentare un sitar in solitaria per più di mezz’ora. Intellettuale cag*** è anche chi e si ostina in ogni modo a negare che qualcosa sia innegabilmente piacevole e apprezzabile solo perché è famoso e conosciuto ai più o è “troppo orecchiabile”. Spaccacuore è certamente orecchiabile, e risulta gradevole anche se non c’è impegno sociale, o anche se è più da doccia che da lettura di poesie, o anche se è “facile”. Di gran lunga più facile che vincere la guerra alla droga, eliminare la povertà, curare il cancro e risolvere il problema della Palestina. Probabilmente è la canzone più facile di Bersani, per le orecchie e per la mente, perché racconta l’universale dilemma dell’amore non corrisposto, ma forse il mio pensiero è condizionato dal fatto che non ho sufficiente fantasia per non cedere al facile richiamo della rima baciata cuore-amore.

La fortuna che abbiamo
Disponi dei miei atomi e serviti pure
Se hai sete davvero
Non prenderti un bicchiere
Bevi come le piante che credono nel cielo
Petra Magoni, Musica Nuda, compare nel videoclip di La fortuna che abbiamo. Quando ti senti fortunato a vivere una vita serena, fatta di piccole esplosioni, punti caldi, ampie aree di accordo, nervi sempre meno tesi e mani che si cercano al buio. La fortuna che abbiamo è un’ode alla spontaneità, alla struggente bellezza del quotidiano, a tutte le parole che ci diciamo quando siamo davvero emozionati, funestamente furiosi o felici come personaggi Disney e che non bastano mai. Riesce dove, a mio avviso, fallisce Che sia benedetta della Mannoia: essere un inno alla vita romantico senza scadere nello stucchevole. A questo punto sto piangendo senza ritegno, perché non esiste metafora più calzante delle piante che credono nel cielo, ed è da quando ho visto Il Re Leone che non mi sento così leggera. Anche la calabrese è commossa, ma è più prosaica: “Cumu si biaddru!” continua a urlare.
Freak
Ciao ciao ai tuoi orecchini
con il simbolo della pace.
Te li ho comprati io d’estate
al mercatino dei freak.
Non mi hai nemmeno detto grazie
ma ti sei fermata lì a ballare.
Dimmi dell’India,
hai più pensato a quel progetto
di esportare la piadina romagnola?
Facciamo dopo il diploma?
Magari, sì è meglio, ma intanto mi fermo
un po’ qui.
Ciao ciao a ogni forma di dignità (con e senza il simbolo della pace): a questo punto stiamo ballando tutti (malissimo) e alcuni, temerari, cantano anche (malissimo). Ma in fondo è questo il segreto, “ Libero da ogni chiave, via i lucchetti e le catene!”, dimentica di assegnare simboli, dimenticati quanto è trendy essere eticamente ammirevole, dimentica la potenziale distruttività delle idee create a vicolo cieco. Ma non dimenticarti quanto è buona la piadina romagnola.
Chicco e Spillo
Chicco è a casa con la faccia sulla radio
che trasmette la rubrica dei consigli
e lui vorrebbe chiedere come si fa
a fare una rapina in una banca
e a scappare senza che si slaccino le scarpe
e andare dove non c’è mai nessuno che ti sputa contro
e ti vuol mettere nei guai
L’ultimo pezzo della serata è uno dei più famosi, Chicco e Spillo, la storia di due fratelli che un bel giorno si alzano e, stufi degli squarci desolanti della loro squallida provincia, decidono di rapinare una banca.
Tutti hanno l’impressione di un tempo diverso, durante un concerto. Tuttavia, crei legami singolarmente aleatori con il resto del pubblico, perché è rimasto insieme a te per tutta la durata della dicotomia profondità-divertimento, ti ha fatto sentire meno un dugongo ubriaco quando cercavi di battere le mani andando a tempo. In un certo senso, sei affezionato a una montagna di facce che non riesci a distinguere e di cui non sentirai la mancanza.
“Grassie!” saluta Samuele Bersani, col marcato accento che lo contraddistingue, mentre la signora dietro di me è finalmente sotto il palco: “Cumu mi fa sangu!”
Sofia Torre
Fonte immagine in evidenza: Parmapress24.it