Post-truth e fake news: la questione ci è sfuggita di mano

Secondo l’Oxford Dictionary, negli USA la parola dell’anno nel 2016 è stata post-truth. Nelle province più lontane dell’impero queste tendenze arrivano sempre un po’ dopo, per cui in Italia questa parola ha iniziato a circolare massicciamente tra social e media mainstream solo a fine anno, facciamo dopo le elezioni statunitensi, per prendersi prepotentemente il palcoscenico mediatico in quel lasso di tempo tra il fallimento del referendum costituzionale e i moti scissionisti all’interno del PD.

Il concetto di post-truth poi si è mescolato in fretta a quello di fake news, che appartiene allo stesso contesto ma è una cosa ben diversa, per venire poi declinato velocemente a bufale, perché non c’è alcun motivo per rispettare il significato di un neologismo inglese quando puoi fare un parallelo con la nostra impareggiabile tradizione culinaria.

(La verità sarà anche falsa, ma le big views fatte con i titoli catastrofici sono più reali che mai)

Sempre secondo Oxford Dictionaries, post-truth è un aggettivo e significa:

Relating to or denoting circumstances in which objective facts are less influential in shaping public opinion than appeals to emotion and personal belief;

La mia incapacità di prendere troppo sul serio la parola dell’anno nonché dinamica che pare destinata a ridisegnare nei prossimi anni l’assetto globale risiede nel fatto che non c’è nulla di nuovo nel fatto che l’opinione pubblica, o una grossa parte di essa, tenda a farsi influenzare maggiormente da richiami alla sua sfera emozionale e alle convinzioni personali che da fatti obiettivi. Non ci si può approcciare a questo tema trattandolo come una cosa che non esisteva nel 2016 o che non esisteva prima di Donald Trump. Avrebbe già più senso legare questo fenomeno alla diffusione di internet e soprattutto dei social media, capaci di mettere potenzialmente l’utente a contatto con miliardi di informazioni in continuo aggiornamento e delle quali non è facile certificare prove, fonti e autenticità. Ma nemmeno internet, Facebook e Twitter sono nati nel 2016, e dalla loro creazione vi si possono trovare notizie false. Notizie false che tra l’altro circolavano anche prima di internet, capitava e capita spesso che finiscano su giornali e media tradizionali e senza dubbio sono tante le persone che vi credono. Cosa può essere cambiato allora nel 2016 per far sì che post-truth diventasse la parola dell’anno, che dovunque tutti parlassero di fake news? E come questo fenomeno ha toccato l’Italia scatenando la psicosi per le bufale?

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Quando entri su Facebook. Fonte: quickmeme.com

Da un punto di vista politico, la vittoria alle elezioni americane di Trump è stata interpretata come l’esistenza di una frattura attualmente anche più determinante di quella destra/sinistra, quella tra un molto generico establishment (partiti di centrodestra/centrosinistra, quasi sempre al governo in questi ultimi trent’anni, liberisti e globalisti) e i cosiddetti populisti (forze politiche recenti e con spesso nulle esperienze di governo, tendenzialmente nazionaliste, spesso riconducibili all’estrema destra e protezionste). Ho personalmente diversi dubbi sulla consistenza politica di questa frattura fuori dal contesto politico di questo momento specifico e sulle reali differenze tra i due schieramenti. Ad esempio, il recentissimo decreto del Ministro degli Interni Minniti, #teamEstablishment, sembra invece scritto da uno che vuole soddisfare tutte le fantasie anti-immigrazione di un Salvini o di un Trump, #teamPopulisti. Ma al momento non è questo il punto, prendiamo buona questa frattura, prendiamo buoni i due, approssimativi, schieramenti e prendiamo atto che la vittoria di Donald Trump nella prima potenza mondiale ha avuto e avrà sicuramente una portata storica nel contesto geopolitico presente e futuro e si pensa possa fare da apripista ad altre vittorie analoghe, soprattutto in Europa.

Questa vittoria è stata presa un po’ ad emblema della post-truth e, da Hillary Clinton ai grandi media, in molti hanno sostenuto la tesi secondo la quale le cosiddette fake news non solo abbiano avuto un ruolo decisivo, ma siano anche state utilizzate in maniera mirata e strumentale dall’entourage del neo-Presidente. Ad esempio, è uscito un dossier non verificato secondo il quale i servizi segreti russi avrebbero sostenuto e avvantaggiato Trump nella sua campagna elettorale e c’è il curioso caso della cittadina in Macedonia dove  i ragazzi si comprano il BMW producendo fake-news pro-Trump. Un rapporto diretto non è stato dimostrato, resta il fatto che è ormai palese che una moltitudine di elettori sia incapace di gestire l’enorme flusso di informazioni che riceve, da internet ma non solo, pro o contro Trump. Ma di nuovo, questo accadeva da molto prima del 2016. Quello che è accaduto nel 2016, e credo non valga solo per la vittoria di Trump ma anche ad esempio per la Brexit o per la bocciatura al referendum costituzionale in Italia, è l’ennesimo atto di miopia delle forze politiche del #teamEstablishment.

Di fatto è stato dipinto uno scenario nel quale post-truth e fake news sono i trucchi e i tranelli utilizzati dai diavoli populisti per corrompere le deboli menti del popolo incapace di fare la scelta giusta. Qui, non si tratta di stabilire quale delle due sia la scelta giusta, ammesso che ce ne sia una, ma prendere nota di un perpetuare strategie politiche sbagliate in risposta a strategie politiche sbagliate. Negli ultimi mesi la politica è stata ossessionata da post-truth, fake news e bufale, alimentando e auto-alimentandosi dai media tradizionali, i quali sembra sempre che arrivino sulle cose con quella ventina d’anni di ritardo rispetto a certi fenomeni, della rete o reali (e capire che nel contesto della comunicazione politica esistono infiniti punti di contatto tra questi due insiemi non sarebbe male).

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Quando i grandi quotidiani fanno gli editoriali sulla post-truth e le altre cose che accadono “in rete/sul web”

Il tema fake news/bufale  è stato talmente tanto cavalcato da perdere ogni valore. Denunciare le bufale o le fake news dell’avversario è diventato un esercizio quotidiano, i “fatti obiettivi” invece che essere il tema attorno al quale costruire il dibattito politico hanno perso ulteriormente di valore perché manipolati da interpretazioni favorevoli o sfavorevoli ad una o all’altra forza politica. Alla fine, stiamo parlando di semplice propaganda, probabilmente lo stesso Trump ha chiuso il cerchio e sancito la definitiva perdita di credibilità dell’argomento quando ha definito proprio “fake news” le voci sui suoi rapporti con la Russia. Quelle che ora rientrano nella categoria di fake news e sono trattate come una roba strana e incontrollabile, qualche anno fa erano le armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, o persino i milioni di posti di lavoro che Berlusconi sosteneva di aver creato posti di lavoro. Forse, ci troviamo solamente davanti al classico tormentone mediatico che finirà per sgonfiarsi nel giro di qualche mese. Questa volta le forze politiche del #teamEstablishment hanno saputo anticipare i propri avversari facendo passare l’idea che la post-truth sia un fenomeno relegato solamente all’universo populista e che alle fake news/bufale credano solo gli ignoranti elettori di Trump o del Movimento 5 Stelle.

La conseguenza più negativa, per non dire drammatica, del clamore che si è creato attorno a queste dinamiche e alla consueta strumentalizzazione fatta dalle forze politiche è la creazione di un immaginario di un contesto politico nel quale si possono vedere, ben distinte, verità assolute e bufale. I social media hanno visto troppi esponenti politici ergersi al ruolo di sacerdoti della verità o “sbufalatori”. Perde ulteriormente di credibilità il dibattito pubblico, perché in un contesto dove tutti accusano tutti gli avversari di ricorrere a fake news il cittadino tendenzialmente sarà più portato ad ascoltare quello della parte politica per la quale simpatizza (in quello che di fatto è il fenomeno della post-truth). Si perde la concezione della differenza tra fatti obiettivi e idee ritenute sbagliate, perché l’interpretazione di una statistica sull’occupazione può anche essere sbagliata e lo si può dire, ma non può essere equiparata a quella che è realmente una fake news tipo quelle che attribuiscono proposte di leggi attribuite all’ex ministro Kyenge che renderebbero obbligatorio ospitare almeno un migrante in ogni casa.

Ancora peggio, molti esponenti politici quando non son troppo occupati a cercare le fake news dei loro avversari o a sfottere direttamente gli elettori di questi ultimi perché così stupidi da crederci, si auspicano la creazione di entità superiori dedite al controllo e alla censura delle fake news. Pare anche che ce l’abbiano fatta, con scenari alla Black mirror che vedono Mark Zuckerberg, come se non fosse già abbastanza potente, prendersi la premura di decidere quali notizie potranno girare su Facebook e quali invece saranno censurate perché negative al fact-cheking, cosa che tra l’altro sarebbe anche carina se esistesse un’entità superiore onnisciente e infallibile, ma per il momento ci toccherà rimanere con quel quesito su chi vigilerà sui vigilanti che risale al tempo degli antichi romani ma è sempre molto attuale. Infine, non perdonerò mai a questo delirio collettivo di post-truth e fake news di aver creato il fenomeno di Enrico Mentana che gira per il web a sbugiardare e insultare quelli che fanno commenti gentisti, un altro di quelli che ha deciso di ergersi a portatore assoluto della verità e che, francamente, ha rotto il cazzo dovrebbe tenere un comportamento più consono al direttore di un telegiornale.

Fabrizio Mezzanotte
@fabbrimezza

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