Dopo la chiusura dei seggi durante le elezioni tenutesi il primo Dicembre in Gambia, ci si aspettava l’ennesima vittoria da parte del presidente in carica Yahya Jammeh, al potere grazie a un colpo di stato dal 1994. Seppure tuttavia la maggioranza dei voti abbia espresso la preferenza popolare per il suo sfidante, l’agente immobiliare con un passato da guardia giurata a Londra Adama Barrow, la disillusione tipica delle elezioni africane faceva sì che ci si attendesse l’ennesimo mancato riconoscimento del risultato elettorale e le conseguenti misure repressive volte ad assicurare il mantenimento del regime in vigore.
Nello stupore generale, il 2 gennaio Yahya Jammeh, con un discorso alla TV pubblica riconosceva la vittoria dell’avversario e assicurava una transizione di potere pacifica, garantendo a Barrow il suo pieno sostegno per il futuro del paese negli anni a venire. Un atto assolutamente inedito per un dittatore il cui governo, negli anni passati, fu più volte denunciato per le detenzioni arbitrarie, le torture e gli assassini ai danni di oppositori politici, giornalisti (anche occidentali), nonché della comunità LGBT del paese, dichiarato dal dicembre 2015 repubblica islamica.
Gli entusiasmi iniziali, comunque, si sono presto rivelati prematuri. Appena una settimana dopo, il presidente uscente richiedeva nuove elezioni “supervisionate da una commissione indipendente e neutrali da influenze straniere”, dichiarando quindi nullo il risultato del 1 dicembre.
L’aver accettato in prima istanza il risultato elettorale, tuttavia, si è rivelato essere il maggiore ostacolo per i piani di Jammeh. Se la stampa internazionale raramente si occupa di questioni africane, assolutamente inedito è stato l’interesse riservato alle elezioni nella piccola e quasi sconosciuta repubblica del Gambia, nazione dell’Africa occidentale che sorge lungo il corso inferiore dell’omonimo fiume ed interamente racchiusa all’interno del Senegal. Il fatto tuttavia che uno storico leader autocratico africano avesse accettato il risultato di regolari elezioni ha suscitato sentimenti di speranza per il futuro della democrazia africana, specie in un periodo storico nel quale i regimi dittatoriali del continente rispondo sempre più con misure coercitive alle crescenti pressioni interne ed esterne.
Al dietrofront di Jammeh, dunque, non si son fatte attendere le proteste da parte della comunità internazionale, interamente raccolta a sostegno del presidente eletto Barrow. Particolare impegno è stato messo in mostra da parte di ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale di cui lo stesso Gambia è membro, i cui leader si son attivati per risolvere con mezzi diplomatici la crisi in corso nel paese e per convincere Jammeh a rassegnare le dimissioni.

Tali sforzi, tuttavia, sono parsi insufficienti per far desistere Jammeh, il quale, a pochi giorni dall’insediamento di Barrow, ha dichiarato nel paese lo stato di emergenza, provocando la fuga di almeno 45.000 cittadini oltre i confini nazionali per il timore di un escalation delle tensioni che sono andate accumulandosi.
Fortunatamente, tuttavia, Jammeh si è ritrovato sempre più isolato, prima da parte del suo staff e successivamente dall’esercito gambiano. Nonostante ciò, il termine dell’ultimatum imposto da ECOWAS perché lasciasse il paese non è stato rispettato, e il 19 gennaio, mentre Barrow prestava giuramento presso l’ambasciata gambiana a Dakar, truppe di diversi paesi della regione (in prevalenza senegalesi) hanno varcato i confini del Gambia, al fine di far valere la volontà espressa dalla sua popolazione il mese precedente.
Jammeh, ormai completamente isolato e senza alcuna possibilità di resistenza contro le truppe straniere in marcia verso Banjul per destituirlo, ha finalmente presentato le sue dimissioni e la notte di sabato 21 gennaio ha abbandonato il paese andando in esilio in Guinea Equatoriale, alla corte di Obiang Nguema, altro storico dittatore africano in carica dal 1979. Ovviamente, lasciando il Gambia Jammeh è riuscito a depauperare le già misere casse dello stato, complicando ulteriormente l’ardua sfida del suo successore di risollevare un’economia in estrema crisi economica, dovuta tra le altre cose alla massiccia emigrazione di giovani uomini in cerca di fortune verso l’Europa.
Le recenti vicende in Gambia potrebbero rappresentare una pietra miliare per il futuro della democrazia in Africa Sub-Sahariana. L’insediamento di un governo eletto tramite regolari elezioni e la transizione pacifica del potere da un regime dittatoriale pluridecennale hanno generato un cauto ottimismo tra gli osservatori interni ed esterni, nella speranza che il caso del Gambia funga da esempio per i prossimi importanti eventi politici nel continente, visti soprattutto i recenti sviluppi preoccupanti in nazioni come Etiopia, Burundi e Repubblica Democratica del Congo. Inoltre, la ferma presa di posizione da parte di ECOWAS e dell’Unione Africana nel condannare la condotta di Jammeh segnalano la decisione con cui gli stati dell’area hanno dimostrato il proprio sostegno alla democrazia e, più in generale, a quella stabilità di vitale importanza in una regione in forte crescita economica, nella quale tuttavia persistono gravi elementi di precarietà che un conflitto civile in Gambia, seppur di portata così ridotta, avrebbe potuto improvvisamente intensificare.
L’impegno dimostrato da parte della società civile e della gioventù gambiana riunita in opposizione a Jammeh, infine, ha dato prova della crescente volontà di cambiamento delle popolazioni degli stati dell’Africa Occidentale, volontà che ha giocato un ruolo fondamentale, oltre che in Gambia, nei recenti passaggi di potere in Nigeria e Ghana.
Sean Kennard