Mancano una manciata di giorni al nuovo millennio. E’ un dicembre piovoso, quello di Bari del 1999. Una serata fredda ed umida quella del diciannove. La Serie A è già dominata dalla Lazio di Sven Goran Eriksson, seguita da una Juventus che mai riuscirà a raggiungere i biancocelesti. Al San Nicola c’è l’Inter, che è appaiata in classifica proprio con i baresi. Eugenio Fascetti, allenatore di casa, è in emergenza. E’ costretto a mandare in campo da titolari in attacco un diciottenne ed un diciassettenne.
E’ la prima partita da titolare in Serie A di Antonio Cassano, ed il primo gol. Ora, diciassette stagioni, quattrocento partite e centotredici reti dopo, Fantantonio potrebbe aver detto definitivamente addio alla A, o forse addio al calcio giocato. Un talento in realtà mai del tutto espresso, che ora non vedrà mai più la piena luce.
Quel primo gol rappresenta l’intera esistenza di Antonio Cassano. Un controllo inaspettato, un dribbling secco, un gol decisivo, ed una esultanza smodata, eccessiva, che porta ad una invasione di campo e alla sua prima ammonizione. Il gol è il riscatto, è la rivincita su diciassette anni di vita difficile, da solo con la madre, senza scuola e con tante conoscenze nella Bari criminale. Il gol sembra essere il lancio verso il calcio che conta. Non lascerà più il campo, né il quella stagione né in quella successiva.
Estate 2001. Antonio Cassano ha 19 anni, e per tutta la parte conclusiva della stagione si è parlato di un suo trasferimento alla Juventus. Carlo Ancelotti è interessato a lui, ma l’allenatore non resta a Torino, dove arriva Marcello Lippi, proprio il mister dell’Inter a cui Cassano aveva segnato. E il trasferimento salta. Ma ormai Bari è troppo piccola per lui, e firma il contratto con la Roma. Viene pagato cinquanta miliardi di lire, più la comproprietà di D’Agostino. Già il quel momento, Cassano aveva fatto intendere di non essere immune da colpi di testa e da follie. Qualche mese prima, in ritiro con la nazionale Under 21, aveva lasciato il resto della squadra per tornare a casa come reazione all’essere stato lasciato in panchina per tutta la partita con la Romania dal ct Gentile.
Per un attaccante, essere alla Roma, significa due cose. Dover faticare moltissimo per giocare e poter imparare da alcuni dei più grandi attaccanti in circolazione. Francesco Totti, Vincenzo Montella, Marco Delvecchio e Gabriel Omar Batistuta. Le prime occasioni arrivano, dalla panchina o in Coppa Italia. Segna contro il Piacenza il 27 novembre, e nel girone di ritorno, complice la partecipazione anche in Coppa dei Campioni, riesce a trovare più spazio, segnando alla fine cinque gol. Non tutti i compagni però sopportano o vedono di buon occhio il carattere spaccone, focoso e spesso eccessivo di Antonio. Francesco Totti, suo capitano, sente il dovere di richiamarlo all’ordine. E gli fa arrivare a casa una postina di C’è Posta Per Te, ma quando Cassano si presenta in studio dall’altra parte della busta trova un casco da moto, simbolo del dover mettere la testa a posto. Fin qui tutto bene, anche perchè poi lo stesso Totti si presenta per spiegare l’accaduto. Ma a Cassano dall’orgoglio ferito già non va giù l’essere preso in giro, e poi scopre del cachet della trasmissione dedicato ai due calciatori, a lui è arrivato solo il 20%, il resto è stato intascato da Totti. La reputa una ingiustizia, ed il rapporto tra i due comincia a logorarsi proprio in quel momento.
A Roma Cassano vive alti e bassi. Nella finale di Coppa Italia del 2003 si fa espellere dall’arbitro Rosetti, insultandolo e facendogli pure le corna, lasciando i suoi in dieci che verranno sconfitti dal Milan. Ma segna, e soprattutto fa segnare, in tutte le competizioni. L’anno migliore gli porterà quattordici gol, ed alla fine saranno oltre cinquanta, di cui dieci in Europa. Ma alla fine il rapporto si logora. Rifiuta le offerte di rinnovo contrattuale, compresa l’ultima, a tre milioni di euro a stagione, e finisce in panchina sempre più spesso. Quando Capello parte, è chiaro a tutti che il suo tempo a Roma è finito. Quando arriva Spalletti, da il via libera alla cessione di Cassano, nonostante la sua classe ingolosisca mezza Europa, pur di salvaguardare l’unità dello spogliatoio. Ed arriva l’offerta.
Cinque milioni di euro. Anche poco, contando che ha ventitre anni e la Roma ci ha rimesso un bel po’ di soldi per portarlo nella capitale dalla Puglia. Ma al Real Madrid non si può dire di no. Soprattutto a quel Real Madrid, quello dei Galacticos, quello dei Beckam, degli Zidane, dei Robinho, dei Gravesen e dei Ronaldo.
Ancora una volta Antonio si cala in una realtà enorme, decisamente più grande di lui, in cui vuole misurarsi e attraverso la quale – forse – vuole crescere. In realtà non ci riesce. Alla presentazione si scopre che i mesi di panchina non gli hanno fatto bene, e lui non ha fatto nulla per evitarlo. 93 chili, oltre dieci sopra il suo peso forma, ne fanno subito oggetto di scherno della stampa, che lo soprannomina El Gordito, per distinguerlo dal Gordo Ronaldo.
Dal gennaio al giugno del 2006 mette a segno due reti in diciassette partite, di cui solo quattro da titolare. Il caso vuole che in quell’estate Florentino Perez contatti Fabio Capello, liberatosi dal contratto con la Juventus sprofondata in Serie B. Capello, che ave va fatto conoscere il suo genio al mondo. Si mette a dieta, comincia ad allenarsi con serietà. E Capello all’inizio gli dà fiducia.
Fuori rosa, praticamente mai più in campo per tutto il resto della stagione. Dodici presenze e due gol tra tutte le competizioni. Immediatamente messo sul mercato. A 25 anni Cassano ha – secondo alcuni finalmente – avuto la batosta che si meritava, doveva capire che non poteva fare sempre ciò che voleva e che prima o poi l’avrebbe pagata.
Il Real Madrid accetta istantaneamente l’offerta della Sampdoria, che offre ai Blancos il prestito con diritto di riscatto fissato a cinque milioni e mezzo, così si sarebbe potuto almeno andare in pari. Pur di liberarsene, il Real accettò di pagare a Cassano i due terzi dello stipendio, tre milioni circa.
Forse l’improvvisa realizzazione di aver perso l’occasione della vita. Forse il fatto di non aver fatto un passo verso l’alto, ma verso il basso. Forse anche la convinzione che ora è tutto sulle sue spalle, non tanto il suo destino quanto quello di tutta la squadra e compagni, cambiano la prospettiva di Cassano, che si trasforma in Fantantonio. Dieci gol in ventidue partite, più tanti assist per i compagni di squadra. Le buone prestazioni gli valgono anche la fiducia di Donadoni, ct della Nazionale, che lo convoca per gli Europei del 2008, dove disputerà tutte le partite. Pur di rimanere a Genova sponda blucerchiata Cassano accetta di decurtarsi lo stipendio, portandolo da 4.3 a 2.8 milioni, mentre il Real Madrid accetta di lasciarlo partire gratis. Le stagioni successive sono una scalata, in cui Cassano è lo sherpa che guida i compagni alla vetta. Al termine del 2010, la Sampdoria si qualifica ai preliminari di Champions League.
Qualcosa in quel momento si rompe nell’ingranaggio perfetto che è Cassano alla Sampdoria. I motivi sono sconosciuti. O di nuovo la pressione si fa troppo alta e Antonio non regge, o si sente sfruttato da una società che non riconosce più, o semplicemente le cose vanno così, smuovendo un sassolino al giorno alla fine la frana spazza via tutto. Un giorno litiga ferocemente con l’allenatore Delneri, tanto che la litigata termina davanti alla scrivania del presidente Garrone. E lì le cose diventano irreparabili. I contenuti di quella conversazione sono segreti, ma tre giorni dopo Cassano viene messo fuori rosa per comportamento gravemente offensivo ed irrispettoso, e Garrone si appella anche al collegio arbitrale per sancire ancor di più la sua decisione. Alla fine, anche per decisione del collegio, Cassano viene bandito dagli allenamenti e gli viene detratta la metà dello stipendio. La storia d’amore è finita.
Ancora una volta, Cassano si trova spinto via, con la sua squadra ansiosa di cederlo. Alla porta questa volta si presenta il Milan, che chiede con successo alla Sampdoria che il giocatore partecipi al ritiro rossonero, pur essendo ancora formalmente tesserato blucerchiato. L’ultimo ostacolo è il Real Madrid, che deve ricevere come ultima clausola del contratto cinque milioni al momento della cessione dalla Sampdoria. I soldi partono da Genova, da Milano e dalla stessa casa di Cassano, che contribuisce alla spesa pur di svincolarsi. Ormai però Fantantonio è un giocatore diverso rispetto a quando era arrivato alla Sampdoria. Più lento, molto meno mobile, si limita a giocare nello stretto, nonostante non abbia nemmeno trent’anni. Il Milan è una squadra che corre, quindi Cassano non trova lo spazio che vorrebbe. Gioca abbastanza, segna abbastanza, altri si prendono le responsabilità di segnare. E’ di nuovo uno dei tanti, e non sempre il migliore.
Nella seconda stagione non gioca a causa di un grave problema cardiaco. In aeroporto, tornando da una partita a Roma, si sente male, e si scopre che ha bisogno di una operazione al cuore. Non si sa se potrà tornare a giocare, ma l’operazione va a buon fine e le cure gli permettono di tornare, cinque mesi dopo, su un campo di calcio.
In estate va in scena uno strano scambio, che porta lui in nerazzurro ed il suo ex compagno di squadra Pazzini in rossonero. All’Inter le cose non vanno male, nove gol e quindici assist in trentanove presenze tra tutte le competizioni. Nonostante questo vi resta un solo anno. Il Parma lo vuole. In Emilia ci va perchè è molto simile alla Sampdoria prima che ci arrivasse lui. Una squadra in cerca di idoli da seguire sulla strada del successo. Ed il miracolo si compie nuovamente, perchè a fine stagione il Parma è sesto. Ma questa volta le cose si complicano anche senza lo zampino di Fantantonio. Tutto comincia con la mancata iscrizione alle coppe europee, che suona come un campanello d’allarme, purtroppo inascoltato. Sarà proprio Cassano a scoperchiare il vaso di Pandora, chiedendo la rescissione a gennaio e svelando che nessuno prende stipendio dall’estate precedente. Lascia la barca prima che affondi, per alcuni fa la mossa più giusta, per altri che rimangono invece è un codardo. Alessandro Lucarelli ad esempio, che rimane anche in Serie D ed ora combatte in Lega Pro, non gli rivolgerà più la parola.
E’ il momento di tornare a Genova da figliol prodigo. Garrone non c’è più, c’è Ferrero, e Cassano non è più un veto. E qui la nostra storia incontra il presente. Il neo presidente, alla fine del primo anno vissuto non proprio con prestazioni entusiasmanti, gli offre di diventare dirigente. E lui rifiuta. Evidentemente vola qualche parola di troppo, e finisce di nuovo fuori rosa. Ed ora si è svincolato.Le ultime stagioni hanno mostrato quando Cassano ormai non sia più adatto alla Serie A, mentre l’intera sua vita ha mostrato quanto pregnante sia la sua presenza in uno spogliatoio, nel bene e nel male. E non è detto ci sia più qualcuno disposto a correre il rischio.
Marco Pasquariello