Bologna stasera mi prendi dal collo: Motta e “La fine dei vent’anni”
, con il suo esordio da solista dopo 10 anni nei , è stato capace di convincere tutti. Compresa la nostra Sofia Torre, una che non le manda a dire, che ne la ferocia disarmante nel modo in cui canta il passaggio da fanciulli soavi a uomini duri e puri Non dev’essere semplice presentarsi nei locali di tutta Italia con queste aspettative addosso, dopo un 2016 praticamente perfetto, figlio del perfezionismo maniacale del cantante livornese. Dopo il live della scorsa primavera, Da parte nostra, a portarci al live è stata la curiosità di trovarsi faccia a faccia con chi ha saputo dare voce a un sentimento comune che ci attanaglia. Perché sì, facciamo parte di quella generazione che sta vivendo “la fine dei vent’anni” , forse più che indipendente, la vera forza della musica di Motta sta proprio nella sincerità con cui ha saputo raccontare quel passaggio critico che, bene o male, i nati alla fine degli ’80 stanno attraversando proprio ora. Superati i 25, ogni anno che passa pesa come un macigno verso la meta dei trent’anni: check point in cui, chissà perché, ci si aspetta di aver “combinato qualcosa” nella vita. Tempo di bilanci, che però non conferma le poche certezze raccolte, bensì una fragilità e un’instabilità inedite. Bisogna affrettarsi dunque a tirare le somme: Sale sul palco per ultimo, dopo i membri della band, accompagnato da un tappeto di : esplicito richiamo alle influenze, ben insinuate, che le sonorità afro hanno nell’ultimo album. Il mantra e il loop di questo tipo di musica è qualcosa di assolutamente naturale e ha un valore spirituale forte, legato poi anche alla danza , e sin dai primi istanti viene messa in scena, effettivamente, una danza. Un movimento che poco ha a che vedere con il consueto ballare: è più un sinuoso , portato a termine solo dopo un’interruzione che – purtroppo – contribuisce a spezzare l’atmosfera. Si approda poi al singolo , riproposta in un originale riarrangiamento. Non è però la sola: la quasi totalità dei brani in scaletta viene ha poi un valore aggiunto, trattandosi della traccia più autobiografica del cantautore livornese, che la introduce rivolgendosi direttamente al pubblico, “a Bologna si può ancora dire “. Inizia così questa dolce canzone d’amore dedicata alle persone che hanno maggiormente influenzato il suo percorso, mamma e papà “anche se è poco rock dirlo”. Persone che proprio alla fine dei vent’anni si inizia a capire e riconoscere davvero, nelle scelte che hanno fatto per renderci quelli che siamo. , entrata a far parte dell’album solo nella fase finale di registrazione, grazie alla lungimiranza di Sinigallia, come continua a raccontare il cantante al pubblico. Con il suo timbro basso e roco, Motta descrive la bellezza autentica di una transgender: – ma a me e a Riccardo quella canzone comunicava un senso di bellezza molto forte, più ci pensavamo più ci emozionava . E mentre il repertorio dell’unico album solista va esaurendosi, e noi ci preoccupiamo che la serata sia già a metà, ecco che arriva , cover e tributo ai dieci anni trascorsi nei Criminal Jokers. Del resto, “Se non sono io a portare in giro queste canzoni, chi dovrebbe farlo?” . Un abbraccio collettivo, un rito da condividere nella complicità del testo imparato a memoria e ripetuto parola per parola, come a voler esorcizzare questa paura che ci stringe. L’apparente chiusura della scaletta ufficiale è assegnata a , di nuovo dei Criminal Jokers, ma proprio quando la band ritorna sul palco per il si infrange la barriera della timidezza, o forse dei piccoli problemi tecnici che hanno minato la prima parte del concerto e quell’empatia e quella genuinità che hanno sostanziato il successo di Motta entrano definitivamente in sala. . Splendidamente interpretate, riarrangiate ed eseguite, che rappresentano Motta a tutto tondo. C’è l’introspezione, c’è l’amore, c’è la politica, c’è la voglia di trasformare questa fase della vita che tanto spaventa in una grande opportunità. Del resto, come lui stesso ammette sorridendo sul palco: “L’ultima volta che sono stato qui avevo ancora a 29 anni. Trent’anni li ho compiuti a ottobre e, vi giuro, si sta una bomba”. È in questo momento che Francesco Motta e la sua band – Federico Camici al basso, Cesare Petulicchio alla batteria, Leonardo Milani alle tastiere e cori, Giorgio Maria Condelli alle chitarre – si mescolano tra il pubblico e salutano il Locomotiv Club con un consiglio:
