Quando l’Europa andò in guerra per le banane
Questo è il terzo articolo in poco più di un mese su The Bottom Up che parla di, o prende spunto da, qualcosa di molto comune: le . Alcuni penseranno che siamo bizzarri, altri (speriamo pochi) che siamo dei pervertiti. Niente di tutto questo, o almeno non completamente: piuttosto è normale che che la coltivazione delle banane “da dollari” (quelle gialle e grandi, che troviamo in tutti i negozi) porta con sé, così come abbiamo tratto spunto per parlare della figura del . Ma non tutti sanno che la banana è probabilmente il bene di consumo che ha provocato il maggior numero di problemi e cause legali nell’ambito del commercio internazionale. Ne è scaturita una lunga , arbitrata in nome del libero mercato e che, come tutte le guerre, ha fatto molti Cominciamo a definire il quadro. Innanzitutto i soldi. Qualche numero attuale per far capire l’importanza in Europa del mercato delle banane (qui e qui tutti i dati): solo nel 2015 ne sono state , vendute all’ingrosso a un prezzo tra i 60 e i 75 centesimi al chilo. Lascio a voi fare i conti (spoiler: si parla di un sacco di soldi). . Europa e Stati Uniti producono pochissime banane: gran parte della produzione mondiale avviene in , e per molti paesi (ad esempio l’Ecuador) l’esportazione di banane costituisce una parte rilevante del PIL. Già dagli anni Settanta l’Unione Europea ha tradizionalmente adottato una politica favorevole all’ingresso delle banane provenienti dai paesi ACP (Africa Caraibi Pacifico) sul proprio mercato, secondo quanto stabilito dalla . L’obiettivo era quello di mettere una qualche pezza alla desolazione economica post coloniale di questi paesi proteggendone le esportazioni, i cui ricavi non erano costanti, vista la volatilità dei prezzi a livello internazionale. Dall’altra parte, gli Stati Uniti, attraverso le enormi multinazionali , avevano (e hanno ancora) il monopolio di fatto sulle redditizie banane prodotte in America Latina. Qui infatti si trovano piantagioni sterminate e centri di trasformazione molto più attrezzati rispetto a realtà più piccole come quella caraibica e quella africana, in grado di garantire una produzione maggiore e a prezzi inferiori. era il periodo dell’armonizzazione del mercato interno: in virtù di ciò si decise di permettere a una quota di più di tre milioni di tonnellate di o con dazi molto ridotti. Ovviamente le multinazionali americane non furono esattamente contente, così come i paesi latini. Ancora peggio, nel contro le banane latine, imponendo un’aliquota del 20% su una quota di due milioni di tonnellate, con un dazio del 170% su tutta l’eccedenza importata. : le economie di mezza America Latina subirono un durissimo colpo, in una classica dinamica di guerra tra poveri. Anche le tre grandi multinazionali americane fecero registrare perdite record, cosa che spinse gli Stati Uniti a reagire imponendo , e soprattutto a andare in tribunale. Gli anni Novanta hanno visto infatti la nascita del WTO e del suo . La Comunità Europea venne accusata di discriminare ingiustamente le banane latinoamericane, in contrasto contro lo “spirito di Marrakesh”. Da qui nacque un lunghissimo braccio di ferro legale. In una prima sentenza il WTO condannò la Comunità Europea a una forte multa e a applicare il alle banane latine: in pratica si chiedeva all’Europa di applicare gli stessi dazi per tutti. : i paesi ACP, cui tra l’altro non fu riconosciuto dal WTO alcun indennizzo per i danni al proprio settore produttivo. , ossia un piano decennale di aiuto allo sviluppo per i paesi ACP produttori tradizionali di banane, sorretta dal principio che la concorrenza latinoamericana sui prodotti ACP non fosse eguale viste le diverse condizioni di produzione, venne . Inseguito a questa sentenza, si può dire che l’Europa cambiò il proprio atteggiamento commerciale verso il resto del mondo, paesi ACP compresi. , quando la CE e Ecuador trovarono un compromesso abolendo le quote per l’importazione delle banane, che rimanevano soggette solo a una per tutti. Rimaneva però da stabilire quale fosse questa tariffa adeguata. Dopo un tira e molla di cinque anni, nel 2006 la CE decise di applicare unilateralmente una tariffa di 176$ per tonnellata, con in più una piccola quota duty-free per le banane ACP. Manco a dirlo, l’applicazione unilaterale di tale tariffa fu giudicata esosa dai paesi sudamericani e dalle multinazionali. La storia si concluse, per modo di dire, solo nel 2009 quando l’Unione Europea acconsentì ad abbassare i dazi a 114$ per tonnellata entro il 2019, con i paesi ACP liberi di esportare banane nel quadro dei (famigerati, ma questa è un’altra storia) Economic Partnership Agreement, accordi di libero scambio siglati con l’Unione. Dopo aver letto tutto questo, scommetto che la vostra banana serale avrà un sapore diverso. Buon appetito! Clicca per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
