Haiti, piccoli schiavi crescono

Haiti, piccoli schiavi crescono

Quando sul finire del Settecento si ribellarono al giogo schiavista dei grandi possidenti, i sognavano di lasciarsi alle spalle una vita fatta di privazioni, soprusi ed umiliazioni. Volevano sedersi a quella “tavola della fratellanza”, a cui , si nascosero sui monti e, da lì, ingaggiarono la loro battaglia contro i ricchi . Bruciavano i raccolti, attaccavano le proprietà e poi, via, su per le montagne a nascondersi. ” del mondo. Sono passati molti anni da allora, e l’eco di quei giorni si è dissolto. Rimane, tuttavia, la convinzione di aver cambiato la storia dell’umanità. Oggi, però, è tornata ad essere una terra flagellata. Alla devastazione portata dal . Morte, fame ed epidemie di colera si sono impossessate dell’isola caraibica. Una situazione drammatica, che ha riportato a galla problemi mai del tutto risolti. per questa piccola terra tormentata. Una piaga, contro la quale sembra non esserci antidoto. Oggi il volto dei nuovi schiavi è così piccolo che sta in una mano . Ha gli occhi grandi e neri. L’andatura ciondolante e stanca di chi, nonostante la tenera età, lavora senza sosta per ore ed ore. Qui li chiamano . Un appellativo che viene dal francese e si è mischiato al creolo (la lingua ufficiale dell’isola). Significa “reste avec”, rimanere. Questo è, infatti, l’unico destino che attende questi moderni schiavi. Figli e figlie di una terra troppo povera (la più povera del continente) e, soprattutto, troppo legata alle ancestrali tradizioni del passato. che non possono permettersi di mantenerli. Sono costretti a lasciare la propria casa, i propri affetti, per andare a svolgere haitiane. Rassettano la casa, lavano i panni sporchi, cucinano, prendono l’acqua in grandi pozzi comuni e accompagno a scuola i figli dei ricchi vestiti di tutto punto. Riconoscerli per la strada non è difficile: scalzi, seminudi e visibilmente malnutriti si aggirano per le baraccopoli di Port-au-Prince come spettri. I “tutto fare” di Haiti non esistono. e molto spesso nemmeno un nome, figuriamoci un cognome. L’unico documento di cui dispongono è . Niente remunerazione o giorni di festa, e non posso andare a scuola. Picchiati, malmenati come i loro antenati con i “ ”, frustini flessibili ultimo retaggio dell’epoca coloniale. L’UNICEF ha stimato che nel 2013 erano Relegati in un limbo dal quale è quasi impossibile risalire. Intrappolati, spesso, nella rete dei e, i trafficanti di esseri umani. Il mercato che li strappa alla famiglia parte da e arriva fin qui, in quest’isola del Mar dei Caraibi. Incarnazione, secondo l’ONU, di una nuova frontiera della schiavitù. Per capirne la portata, è sufficiente avvicinarsi al confine tra i due paesi . Il piccolo corso d’acqua che ne segna la frontiera naturale è letteralmente invaso da lavoratori transfrontalieri. Ogni giorno, uomini, merci ed animali, passano da qui. È proprio in quel marasma generale che avviene lo scambio tra le famiglie povere che “vendono” i loro figli e i trafficanti. Un gesto rapido, i soldi che passano da una mano all’altra e il destino di questi piccoli schiavi è segnato per sempre. Non faranno probabilmente mai più ritorno a casa. Se riusciranno a scappare, con tutta probabilità, finiranno nelle grinfie delle . Tollerata perché risalente a un’epoca in cui era normale affidare i bambini a famiglie facoltose. Un sorta di “famiglia allargata”, nella quale . Studiando, per esempio. Niente di tutto questo, però, appartiene ai . Il vitto e l’alloggio, così come quell’unico misero pasto giornaliero, rappresentano quanto di “meglio” ci sia in serbo per loro. Per il resto, la loro giornata inizia alle prime luci dell’alba. Già alle 4 del mattino, infatti, sono tutti in piedi pronti per offrire i propri servigi. Ad attenderli, 16 ore di intenso lavoro. ai quali bisogna purtroppo aggiungere le centinaia di migliaia di piccoli più estrema. Il terremoto del 2012 e il recente uragano, tra le altre cose, hanno finito per ampliare numeri e statistiche già di per sé molto preoccupanti. Con l’evidente conseguenza di infoltire le fila della . Il distacco sconvolgente con cui, questi moderni piccoli schiavi, raccontano le sofferenze patite. I sogni e le aspirazioni, anche quelli più reconditi, qui non possono essere nemmeno immaginati. Infranti insieme alle bolle di sapone per lavare i piatti, annegati dentro ad enormi taniche d’acqua portate in spalla per chilometri o nei Un marchio che nemmeno il tempo saprà cancellare. Per questo credo valga la pena di ricorda le parole di : “Io credo, che i bambini nel mondo debbano essere liberi di crescere e diventare adulti, in salute, pace e dignità”.