Giocare a calcio nella Terra di nessuno

Per la prima volta era arrivato l’inverno, quello vero. Il terreno era completamente gelato, cadeva una leggera neve dal cielo infinitamente grigio. Il panorama tutto intorno era monotono, piatto, uniforme. Avvallamenti, buche, unite in un unico labirinto di trincee e filo spinato. Il settore di Ypres è stato tranquillo durante tutta la notte, e pure in tutta la giornata del 24. La neve continua a cadere lentamente sui berretti, sulle spalle e sui cadaveri dei soldati inglesi e tedeschi che affollano le trincee e spuntano nella terra di nessuno. I pochi che hanno l’elmetto, in quei primi mesi di guerra, devono scuoterlo spesso, perchè la tesa larga trattiene la neve, o a passare alla bustina, che si inzuppa in pochi istanti. Chi cerca di dormire, chi scrive alla luce di una torcia schermata, chi ancora semplicemente attende che la notte passi guardando a terra, nella speranza segreta che non cada un colpo di artiglieria e vaporizzi l’intera trincea, uccidendo e mutilando.

Una voce si alza da qualche parte lungo il settore. “Ehi, guardate!”. Alcuni si alzano e sbirciano, altri non si muovono. Chi guarda prende per la giacca chi è rimasto seduto. Alla fine, decine di paia di occhi osservano dal livello del terreno attraverso il filo spinato, attraverso i cavalli di Frisia, attraverso la neve ed attraverso i corpi. Qua è là, lungo la trincea tedesca, spuntano candele, che illuminano la notte. Lontano, un colpo di fucile, ma resta isolato. Tutti guardano stupefatti al di là del confine. Ed all’improvviso da quelle luci si alza una voce, due voci, cento voci. Cantano. Stille Nacht si leva sopra la sofferenza dei soldati, riporta all’istante ognuno davanti al camino di casa, con la famiglia intorno, davanti al cenone. Solo un anno fa, un’altra vita. Da cinque mesi ormai la vita è fatta di fango e piombo, di morte e sofferenza. E’ questa la quotidianità, l’altra sembra un sogno lontano. Per un istante però tutto intorno scompare, nell’abbraccio di un passato vicino ma lontano.

Esattamente come è cominciato, il canto svanisce, facendo precipitare di nuovo tutti in una realtà troppo cruda per essere accettata. La caduta è traumatica, nessuno parla, nessuno commenta l’accaduto. La neve continua a scendere lentamente.

All’alba successiva le candele sono spente, ma l’artiglieria non canta, nè per svegliare nè per addormentare per sempre. C’è silenzio. E’ la mattina di Natale, ma nessuno parla, nessuno brinda, nessuno festeggia. Nel corso della notte sulla trincea tedesca sono apparsi anche dei piccoli alberelli, abeti dove possibile, ma in alcuni casi anche un semplice ramo, con uno o due berretti appesi.

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Nel silenzio della neve che scende, lentamente si alza una figura bruna. E’ un giovane inglese, che i compagni cercano sottovoce di fermare mentre esce dalla trincea, senza elmetto, con indosso la divisa ed il cappotto, e che a mani alzate sta davanti al parapetto. I compagni hanno paura che un cecchino lo prenda di mira, un bersaglio facile ed esposto, abituati come sono a cercare anche solo il luccichio di un riflesso in un angolo della trincea. Ma nessuno spara. Allora da varie parti escono altri inglesi, che si uniscono al primo e camminano, mani alte, verso i tedeschi. Nessuno spara. Sulla neve risaltano ora anche i cappotti lunghi grigi, e gli elmetti a chiodo. Anche i tedeschi escono dalla trincea, e camminano verso gli avversari.

The 1914 Christmas Truce.

La terra di nessuno è piena di colore, sul bianco ci sono ora grigi e marroni. Il primo soldato inglese arriva di fronte al primo soldato tedesco. I due contemporaneamente abbassano le braccia e si stringono la mano. E’ il primo atto di quella che passerà alla storia come la Tregua di Natale del 1914.

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I soldati, che fino a quel momento avevano cercato di uccidersi per non essere uccisi, cominciano a scambiarsi doni. Sigarette, cioccolata o altro cibo, addirittura servizi. Molti hanno scritto nei loro diari episodi significativi, come soldati che tagliavano barba e capelli ai nemici o medici che davano consigli su tosse, piede da trincea ed altre malattie comuni. In quel settore gli ufficiali riuniti decidono per una tregua di quarantotto ore, e da lì la voce si sparge lungo la linea infinita di trincee che taglia il Belgio in due. In alcune sezioni, i soldati che escono dalla trincea vengono bersagliati, ma in gran parte del fronte si assiste ad episodi di questo genere. Tedeschi ed inglesi mescolati al centro della terra di nessuno, i fucili lasciati in trincea. A Ploegsteert, tra Lilla ed Ypres, da una trincea inglese spunta un pallone, e si organizza una partita di calcio.

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Due cappotti a mo’ di porta, e si comincia, mentre poco più in là si seppelliscono cadaveri e si celebrano funzioni per i caduti. Le squadre vengono create dagli ufficiali, che chiedono chi abbia giocato in patria. Alla fine è un undici contro undici, inglesi in camicia bianca e pantaloni marroni e tedeschi in grigio. La partita finirà tre a due per i tedeschi. Non sarà l’unica partita, ma è l’unica di cui abbiamo le foto. Nel punto dove si è giocata, per cento anni è rimasta una croce, dove venivano lasciati palloni a perenne memoria. Due anni fa, la UEFA ha fatto posizionare un monumento.

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Poco dopo la fine della partita, però, esplode un boato, lontano ma non troppo. In un altro settore del fronte l’artiglieria ha ricominciato a far piovere morte. I giocatori e gli altri soldati si rivestono in fretta, si stringono la mano guardandosi negli occhi e si voltano le spalle, tornando a prendere i fucili, consapevoli che da quel momento i fucili torneranno a sparare, e si tornerà a uccidere per non essere uccisi.

Marco Pasquariello

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