Le vent se lève!…il faut tenter de vivre
Si alza il vento!… bisogna tentare di viverePaul Valéry, Le cimetière marin
Se tra tutti gli epigoni della cultura Giapponese del fumetto e dell’animazione dovessimo prenderne uno come rappresentate in toto della categoria, al fine di elevarla – anche per il grande pubblico – ad arte figurativa completa, quale essa è (sebbene tale non appaia) non potremmo fare miglior scelta che prendendo un artista che mangaka non è. Stiamo parlando del padre dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki, noto per la vittoria dell’oscar 2000 come miglior film d’animazione con il suo capolavoro La Città Incantata.

Se anche si è neofiti di cultura pop giapponese, di manga o di anime, ma anche se si è distanti dal mondo del Sol levante, non si può non aver sentito pronunciare almeno una volta il nome del Maestro Miyazaki, o di non rammentare almeno una delle sue epiche opere di animazione, come il mio vicino Totoro, Il Castello Errante di Howl, Nausicaa della valle del Vento, solo per citarne alcuni.
Ma con questo articolo vogliamo raccontarvi il Maestro Miyazaki non attraverso una delle sue opere più famose o caratteristiche, che hanno unito il suo peculiare stile narrativo intriso di cultura popolare giapponese con concetti e filosofie morali, trattando con delicatezza temi maturi quali la guerra, l’abbandono e il rapporto tra l’uomo e l’ambiente, ma vogliamo dedicarci ad una sua opera che resterà comunque iconica per più di un motivo: stiamo parlando infatti della sua ultima opera Si Alza il Vento, un’opera che solo superficialmente si distacca dallo stile narrativo proprio dell’autore.

Se durante tutta la sua carriera Miyazaki aveva comunicato attraverso le sue opere un fortissimo spirito pacifista (dove su tutte forse spicca Porco Rosso), dipinto sopra uno sfondo tinteggiato di fantastico, l’annuncio della sua ultima opera aveva fatto drizzare le orecchie ai suoi fan. Si Alza il Vento infatti è una sorta di opera biografica (dove comunque l’Io dell’autore viene reinventato e trasmigrato nel protagonista) su un Ingegnere Aeronautico impiegato nel settore degli aerei da guerra alla Mitsubishi.

Ma Si Alza il Vento è molto più di questo. È la summa dell’opera miyazakiana, che riprende e sfrutta i suoi usuali leitmotiv artistici e concettuali riassumendoli in una figura quanto più umana e normale possibile, la quale rappresenta l’Io artistico dell’autore. In questo Si Alza il Vento rappresenta un assoluto componimento autobiografico, dove il protagonista Jirō Horikoshi, il bambino miope col sogno del volo che non può volare diventato perciò Ingegnere Aeronautico, rappresenta l’essenza dello stesso Hayao Miyazaki, il bambino miope col sogno della pittura che diventerà il più grande regista di animazione giapponese, se non il più grande regista giapponese tout court. Dirà di lui infatti Akira Kurosawa, il cineasta nipponico regista di opere quali I Sette Samurai e Rashomon:
Talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello.
Akira Kurosawa su Hayao Miyazaki.
L’opera è ovviamente (anche) biografica nel senso che tratta la vita del famoso progettista Jirō Horikoshi, ovvero il progettista del più famoso caccia della storia giapponese, il Mitsubishi Zero. Ma perché un pacifista come Miyazaki dovrebbe raccontare la storia di un ingegnere che ha contribuito a costruire quello che adesso è uno dei simboli del militarismo giapponese?

Niente potrebbe spiegare meglio questa scelta artistica delle stesse parole dell’autore.
Me incluso, una generazione di giapponesi che è cresciuta in un certo periodo ha dei sentimenti molto complessi a proposito della seconda guerra mondiale, e lo “Zero” simboleggia la nostra psiche collettiva. Il Giappone è sceso in guerra per cieca arroganza, ha causato problemi in tutta l’Asia orientale e infine si è distrutto da solo. Ma nonostante questa storia umiliante, lo Zero rappresentava una delle poche cose di cui noi giapponesi potevamo andare fieri. C’erano 322 caccia Zero allo scoppio della guerra. Erano una presenza veramente formidabile, così come i piloti che li guidavano. Fu il genio straordinario di Jirō Horikoshi, il progettista dello Zero, che lo rese l’aereo più avanzato del suo tempo.
Hayao Miyazaki in un’intervista all’Asahi Shimbun
Ma forse la frase epigrafica che meglio di tutte descrive le motivazioni di un’opera del genere è la frase che Miyazaki stesso ha affermato essere stata la spinta finale verso la creazione dell’opera:
Tutto quello che volevo fare era creare qualcosa di bello.
Jirō Horikoshi
Una frase scritta nelle memorie del protagonista, Jirō Horikoshi.
Ma ci sono molti altri spunti artistici di cui questa opera è intrisa. L’importanza del lavoro e della passione verso le proprie attività intellettuali sono una sorta di filo conduttore dell’opera, che si incentra sulla connessione tra il protagonista e la sua arte; non secondari sono i paesaggi onirici ricorrenti nella fase iniziale del film, dove il giovane protagonista si confronta con il suo idolo, l’italiano Giovanni Battista Caproni, progettista di svariati aerei nel primo dopoguerra.
Nel mezzo non può certo mancare la difficile storia d’amore tra il protagonista, di umili origini contadine, e una giovane donna, rampolla di una famiglia alto borghese della capitale Tokyo, che si incontrano casualmente ancora giovanissimi su un treno per Tokyo. Questo è peraltro un escamotage autoriale per introdurre nella trama il racconto del devastante Grande Terremoto del Kantō del 1923.
In realtà un po’ tutta l’opera viene usata anche per descrivere la vita del Giappone tra gli anni ’20 e ’30, ovvero un periodo molto difficile per la società giapponese, che usciva dal boom economico degli anni ’10 dovuto sia alla definitiva affermazione del Giappone come paese moderno sia ai suoi commerci coi paesi impegnati nella sanguinosa Prima Guerra Mondiale, e che sperimentava per prima la crisi finanziaria dovuta ad una serie di poco oculate mosse economiche, aggravata prima dal suddetto Grande Terremoto del Kantō e poi dal crollo di Wall Street del 1929, e che ha assistito all’ascesa del militarismo con conseguente disastro bellico.

Riassumendo, l’opera con cui Miyazaki ha deciso di terminare la sua decennale ed iconica carriera rappresenta forse non il picco artistico ma sicuramente un condensato di altissima qualità artistica, raccontato in una forma a lui inusuale – quello della biografia storica – nel quale sono presenti un mix di concetti morali, come il ripudio della guerra e l’amore giovanile per la vita, e di concetti estetici, espressi attraverso la realizzazione fisica di una idea, in questo caso gli aerei. In tutto questo lo sfondo del Giappone interbellico è una pittura calda e minuziosa, con una esplicita critica al sentimento imperialista e militarista imperante del periodo.
Alessandro Bombini
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Uscite della rubrica Gli Dei del Manga
1. Jiro Taniguchi – In una città lontana
2. Osamu Tezuka – La Storia dei Tre Adolf
3. Go Nagai – Devilman
* Hayao Miyazaki – Si alza il Vento
5. Katsuiro Otomo – Domu, Sogni di Bambini
6. Naoki Urasawa – Pluto
7. Takehiko Inoue – Vagabond
Un pensiero su “Gli Dei del Manga: Hayao Miyazaki – Si alza il Vento”