Le ragioni del “no”: intervista a Monica Minnozzi, ANPI

Per concludere la nostra panoramica sulle diverse posizioni in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre abbiamo deciso di interpellare una voce diversa per il “no”. Si tratta di quella dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), rappresentata in questa intervista da  Monica Minnozzi, giovane coordinatrice donne dell’associazione.

Quali sono i principali motivi che hanno portato l’ANPI a schierarsi per il No?

L’ANPI, prima di schierarsi per il no, è rimasta lungamente in una posizione di osservazione. In quella fase si è cercato di informare i cittadini e stimolare un confronto, tanto interno quanto esterno all’associazione. E lo abbiamo fatto su tutto il territorio, anche localmente.
A livello nazionale, invece, la prima iniziativa pubblica fu quella dell’aprile 2014 che intitolammo “Riforme, rappresentanza, coerenza costituzionale nel cambiamento: una questione democratica“.
Si noti che, anche in quell’occasione, l’ANPI aveva già una posizione critica, ma costruttiva, nel tentativo di poter contribuire con la sua voce ad un percorso di riforme che già in quel momento non lasciava ben sperare.
Quella dell’ANPI è stata quindi una scelta, ma una scelta obbligata.
Non solo abbiamo voluto, ma abbiamo dovuto schierarci nel rispetto dell’art. 2 del nostro Statuto che testualmente recita: “L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha lo scopo di concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli.
Non potevamo, quindi, fare altrimenti poiché l’attuale proposta di revisione tradisce, a nostro avviso, quello che è lo spirito della nostra Carta Costituzionale. Si dice che non vengono toccati i principi fondamentali, ma così non è, poiché la Costituzione è un corpo unico: la seconda parte applica la prima.
In ultima istanza, mi preme segnalare che la decisione di schierare l’ANPI per il NO è stata adottata dal Comitato Nazionale nel gennaio 2016 ed è stata poi confermata dai numerosissimi congressi che l’associazione ha svolto su tutto il territorio. Quando si è votato sul tema del referendum, a riguardo di documenti o emendamenti presentati nel corso del dibattito, la prevalenza dei favorevoli al NO è stata schiacciante: 2501 favorevoli e 25 contrari.
Un’ulteriore conferma è costituita dalla ri-elezione del Presidente Smuraglia sostanzialmente per acclamazione da parte del Congresso Nazionale, tenutosi a Rimini lo scorso maggio.

Monica Minnozzi
Monica Minnozzi

Pensa che il nuovo Senato non sia in grado di esercitare comunque una funzione di controllo, pur ridimensionato come sarebbe dalla Riforma? Ritenete, come A.N.P.I., che il bicameralismo paritario sia uno strumento ancora necessario per la nostra democrazia oppure siete critici per le modalità in cui vuole essere superato?

Un Senato composto da soli 100 senatori non potrà sicuramente esercitare una funzione di controllo su una Camera che ha mantenuto intatti i suoi 630 deputati. E’ lecito anzi chiedersi: perché non dimezzare i componenti di entrambe le Camere se lo scopo era davvero e solo il risparmio? O perché non dimezzare con legge ordinaria le indennità dei parlamentari?
Questo Senato oltretutto non sarà più eletto a suffragio universale e diretto da parte degli elettori, ma sarà composto da Sindaci e Consiglieri Regionali eletti dai Consigli Regionali.
Costoro, oltretutto, manterranno entrambe le funzioni e non si riesce a capire come potranno adeguatamente svolgerle entrambe. Inoltre l’art. 70 della proposta di revisione prevede tempi molto stretti per l’attività del Senato e certamente non basterà andare a Roma una volta al mese, come si cerca di far credere.
Un altro elemento di debolezza è costituito dal fatto che nel Senato ci sarà un continuo turnover, dovuto al fatto che i Senatori decadranno di anno in anno, con il rinnovo dell’organismo territoriale in cui sono stati eletti.
In conclusione questo nuovo Senato avrà troppe funzioni per la sua debole composizione e troppo poche per essere una vera Camera che oltretutto dovrebbe aspirare a rappresentare le autonomie locali.
Uno scopo che fallirà in partenza poiché sprovvisto di adeguate competenze e soprattutto sprovvisto del vincolo di mandato per i Senatori. Spesso si richiama l’esempio tedesco, ma in Germania i Senatori che vanno al parlamento nazionale sono obbligati ad essere i portavoce delle decisioni territoriali. In questo nuovo Senato invece non sarà così e quindi vien da domandarsi: a chi risponderanno se non al partito che li ha scelti? Perché non sono più i cittadini ad eleggerli direttamente?
L’ANPI già da tempo ha espresso il suo punto di vista: il bicameralismo perfetto può essere superato e lo si sarebbe potuto fare senza necessariamente stravolgere un terzo della nostra Costituzione. Si sarebbe potuto trovare un consenso molto più ampio in Parlamento, con tempi di conseguenza molto più brevi.
La nostra idea era quella di mantenere un Senato elettivo, trasformato in una vera camera Alta, per la rappresentatività, per la qualità dei componenti e per il tipo di funzioni. Un simile Senato avrebbe potuto esercitare una reale funzione di controllo sull’attività del Governo ed anche di raccordo con le realtà territoriali.
Certamente si sarebbe dovuta realizzare anche una legge elettorale conforme alle indicazioni della Corte Costituzionale, così da ridare ai cittadini la possibilità di scelta effettiva dei propri rappresentati, con un premio di maggioranza ragionevole.
È evidente, concludendo, che non siamo certamente dei conservatori ostili ad ogni tipo di modifica. Quello che oggi noi diciamo è che non ci piacciono queste modifiche proposte dall’attuale Governo che, al di là degli slogan, non vanno nella direzione auspicata.

Una delle ragioni più sostenute a sostegno del No è che la Riforma, unita alla legge elettorale “Italicum”,  potrebbe portare ad una sorta di lesione di democrazia. A tal proposito il Presidente del Consiglio si è espresso dicendo che il governo ha già preso l’impegno di modificare l’Italicum e la proposta di riforma Fornaro-Chiti intende inserire la possibilità di eleggere direttamente i senatori-consiglieri in fase di rinnovo della giunta regionale, obbligando inoltre la giunta a rispettare la volontà popolare. Ritiene che questo impegno sia credibile? E qualora lo fosse, pensa che sia sufficiente a scongiurare i rischi di cui sopra?

Non spetta all’ANPI giudicare la credibilità o meno di un impegno. Spetta a noi tutti cittadini giudicare, ad oggi, cosa certamente contiene questa proposta di revisione costituzionale. La proposta del Governo, genuina o meno, dovrà superare la prova del Parlamento ed, in ogni caso, non riteniamo corretto orientare il nostro voto sulla base di promesse. Non stiamo parlando di una legge ordinaria, ma della nostra Costituzione. Non si può affrontare un cambiamento così profondo con lo spirito del “fa schifo, ma è meglio che niente”, poiché la Carta Costituzionale è la casa di ogni cittadino, a prescindere dal suo orientamento politico: di destra, centro o sinistra, purché nel rispetto dei suoi profondi principi democratici.
L’attuale Costituzione ha difeso la nostra democrazia in momenti estremamente difficili, come gli anni dello stragismo. Modifiche sbagliate e destinate a non funzionare, così come lo stravolgimento del sistema ideato dai Costituenti, avrebbero effetti imprevedibili e disastrosi per l’equilibrio dei poteri, per la rappresentanza, per l’esercizio della sovranità popolare, in sostanza per la stessa democrazia, che invece va rafforzata, potenziata e difesa con la piena attuazione della Costituzione repubblicana.

Cosa pensa della personalizzazione del referendum? Pensa che ci saranno realmente le dimissioni del premier in caso di vittoria del No e, in caso, come le giudicherebbe?

Personalizzare il referendum è stato un errore, poiché non siamo chiamati a giudicare l’operato di un Governo, ma una proposta di revisione costituzionale che dobbiamo valutare solo ed esclusivamente nel merito. Alla nostra associazione poi non interessano, e non devono interessare, le sorti di questo o quel Governo, di questo o quel partito. In democrazia un’alternativa c’è sempre. All’ANPI interessa preservare lo spirito democratico ed antifascista della nostra Repubblica, figlia della lotta di Liberazione. Non è retorica, ma sostanza, poiché quei padri e quelle madri Costituenti avevano vissuto sulla loro pelle un ventennio di dittatura fascista che aveva negato loro ogni diritto. I tanti giovani che sono saliti in montagna, non volevano solamente difendersi dall’oppressione, ma avevano una visione di futuro colma di uguaglianza, solidarietà, partecipazione e libertà. Quel futuro che oggi è ancora preziosamente custodito nella nostra Carta Costituzionale.

Si è molto parlato, infine, dell’aumento delle firme per le leggi di iniziativa popolare, che sono state portate da 50 mila a 150 mila, in sostanza triplicate. I sostenitori della riforma affermano però che a fronte di questo aumento viene introdotto la garanzia di discussione parlamentare della legge proposta che oggi formalmente non c’è. Cosa ne pensa? Ritiene che le 150 mila firme siano un ostacolo limitante all’esercizio di questo diritto?

Appare pacifico che triplicare le firme non agevola la partecipazione dei cittadini, ma il punto è anche un altro. Nella revisione proposta dal Governo non è assolutamente stato inserito l’obbligo di discussione, ma all’art. 71 si dice che sarà un successivo regolamento parlamentare a discplinarne “tempi, forme e limiti”. Stessa cosa dicasi per i referendum popolari di indirizzo e propositivi che dovranno successivamente essere introdotti attraverso legge approvata da entrambe le Camere. Come si vede, gran parte dei cavalli di battaglia dei sostenitori del “SI” altro non sono che promesse.

Luca Sandrini

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