Le ragioni del “No”, intervista a Claudio Riccio

Claudio Riccio, 31 anni, attivista di ACT, candidato al parlamento europeo con L’Altra Europa con Tsipras e coordinatore della campagna referendaria per Sinistra Italiana. Ecco la sua intervista a The Bottom Up.

Quali sono i principali rischi che potrebbero derivare dalla vittoria del Sì unito alla nuova legge elettorale?
A cosa servono le costituzioni? Di certo non a tutelare un paese in tempi di progresso e ragionevole buon senso, ma ad arginare il baratro, a limitare la concentrazione del potere quando il buon senso sembra smarrito e il senso comune impazzito. Le costituzioni servono a fermare le peggiori derive che si possano immaginare. La riforma costituzionale che Renzi si è cucito addosso pensando di riuscire a darsi da solo un potere senza limiti potrebbe diventare l’ennesimo boomerang dell’establishment in crisi spalancando davvero la porta ai peggiori incubi per il nostro paese. “La riforma ha molti difetti, ma è meglio di niente” dicono molti. Ma accettare una riforma che non si condivide su molti punti è un po’ come decidere di sposarsi a scatola chiusa con una persona che a primo acchito neanche ci piace così tanto. Non si tratta di uscire a bere una birra con qualcuno per vedere come va, si tratta delle regole della democrazia e del funzionamento del nostro Stato, ovvero di qualcosa che dovrebbe essere destinato a durare nel tempo, oltre i governi e gli attuali personaggi politici. Certo, quando ci si accorge del disastro che questa riforma rappresenterebbe, come in un matrimonio si può divorziare, così una riforma si può cancellare, ma non è mai una scelta semplice e soprattutto è dolorosa. Secondo Renzi “se vince il no c’è il niente”. E l’attuale Costituzione?

Cosa succede se i parlamentari non vengono più eletti dai cittadini ma “piazzati” dai partiti, anche in relazione alla questione dell’immunità?
Si è parlato di abolizione del Senato. Il punto è un altro: non è il Senato a venir eliminato ma il suo carattere elettivo. Non è il budget che viene snellito, ma il carattere democratico della nostra Costituzione. Si avrà quello che è avvenuto con le province: esistono e si fanno accordi politici di larghe intese fra il PD e Forza Italia. Si avrà un Senato dei partiti a pieno titolo ma un rappresentante del partito che ha conquistato un seggio in quella regione. Inoltre, i nuovi senatori saranno completamente svincolati da ogni forma di consenso popolare; essendo la loro rielezione garantita dai partiti, è solo a questi che dovranno rispondere del loro operato, e ne risponderanno accettando tutti i diktat da essi imposti, vadano essi a conferma di quello che sarà il Governo, vadano essi in un’altra direzione.

no

Il nuovo Senato, alla luce degli argomenti già trattati nelle precedenti domande nonché dell’assenza del vincolo di mandato, sarà realmente rappresentativo degli interessi di Regioni ed Enti Locali?
Si parla molto di Senato delle autonomie. In realtà si dovrebbe parlare di Senato dei partiti dato che, mentre il senato delle autonomie tedesco, per esempio, prevede rappresentanti di diretta emanazione dei Lander tedeschi, in questo caso i rappresentanti vengono nominati dai consiglieri regionali che si mettono d’accordo coi consiglieri regionali del medesimo schieramento per eleggere i propri rappresentanti. Il mandato viene quindi dato dal gruppo consiliare e non dalla Regione in quanto ente locale. Non si rappresenta il territorio, si rappresenta la parte politica. Di fatto, quindi, abbiamo un senato dei partiti. Si tratta di una scelta in piena linea con quanto avviene sulle autonomie locali con questo fortissimo accentramento dei poteri nelle mani del governo. Si parla tanto di uniformare la sanità, uniformare le differenze tra le singole regioni,… in realtà le regioni possono essere uniformate con legislazioni ordinarie, senza bisogno di sconvolgere la Costituzione e accentrare i poteri togliendoli a enti più vicini ai cittadini. Lo si fa in particolare su questioni assai delicate come ad esempio quelle ambientali. La clausola di supremazia consente al governo di decidere in nome di un non ben definito interesse nazionale dove vanno le grandi opere, le opere altamente impattanti dal punto di vista ambientale, al contrario di quanto avviene oggi, le regioni non potranno più intervenire su quello che sono le discariche, le trivellazioni, i gasdotti,..

Cosa pensi della personalizzazione del referendum? Pensi che ci saranno realmente le dimissioni del premier in caso di vittoria del No?

Renzi ha scelto una strada che è quella della ricerca del plebiscito, cerca una legittimazione indiretta senza “spacchettare” il quesito o entrare davvero nel merito della questione. O accetti la riforma in toto o la rifiuti in toto, si chiede una presa di posizione e non una scelta razionale. Inoltre, per quanto lui cerchi di non parlarne, è molto improbabile che tenga davvero fede alla sua promessa di dimettersi in caso di vittoria del no. Si è lungo parlato dei populismi, è stato addirittura citato Trump, che, nel suo corrispettivo italiano, “arriva se non si vota sì”. In realtà quello che è successo negli Stati Uniti lo contraddice e mostra quello che potrebbe succedere anche qui se passa il sì: perché ha vinto Trump? Per via di un assetto istituzionale che consente a un partito di conquistare la maggioranza in parlamento pur non avendola. Io penso che il pericolo di una deriva autoritaria si abbia in caso di sconfitta del no. La campagna del sì, che possiamo tranquillamente definire pericolosa, è la dimostrazione di come il Partito Democratico (o almeno una grossa fetta di esso) cerchi di vincere in qualsiasi modo, non importa come. E’ emblematico il tentativo di demonizzare ad ogni costo l’avversario (i fantomatici “gufi”), di relegarlo come minoritario o addirittura insignificante, quando il dato di fatto è che ci sono ancora moltissimi indecisi. Comunque vada il 4 dicembre, sarà stato un voto combattuto.

Sofia Torre

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