Radical Action: i King Crimson live a Milano

“Beware the forthcoming hype–this is ersatz shit.”
Robert Christgau

Lingue di allodola in salamoia

Della santa trinità del prog inglese (oltre agli Yes, quelli di “Owner of a Lonely Heart”, ma anche altre cose precedenti molto più belle, e ai Genesis, quelli di Phil Collins o Peter Gabriel o entrambi), i King Crimson sono gli unici rimasti fedeli al verbo progressivo per tutta la loro carriera, che prosegue ancora oggi, tra pause di riflessione, scioglimenti e conclusioni prematuramente date per definitive. Il tutto sotto la guida dell’insospettabile Re Cremisi Robert Fripp, chitarrista, leader e principale compositore della band, una figura enigmatica, immobile nel suo approccio alla musica eppure fluido nell’accettare il passare degli anni e il cambiamento della stessa, producendo un sound che si allontana spesso dagli stilemi del prog per come lo conosce il grande pubblico, esplorando la frontiera del noise e del drone, ma anche la musica classica e un jazz particolarmente aggressivo: un mix ben rappresentato dal titolo del loro quinto album, Larks’ Tongues in Aspic (letteralmente “Lingue d’allodola in salamoia”, presumibilmente una delicatezza gastronomica, che però, come la musica dei King Crimson, è difficile da apprezzare), del 1973.
In questi giorni i King Crimson fanno tappa in Italia, durante il loro tour europeo, per la prima volta da tredici anni: hanno suonato a Milano il 5 e 6 novembre, a Firenze l’8 e il 9, e suoneranno l’11 (domani) e il 12 a Roma e il 14 e il 15 a Torino.
Come avevo anticipato nel mio bignamino per approcciarsi alla band di qualche mese fa, sono andato a sentirli in quella che probabilmente era l’occasione migliore, la prima data di Milano, ovvero il primo concerto in Italia dei King Crimson dal 2003.

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Il re Cremisi, a sinistra, e l’uomo schizoide del ventunesimo secolo, a destra, sulla copertina di In the Court of the Crimson King del 1969

“Between the iron gates of fate,
The seeds of time were sown,
And watered by the deeds of those
Who know and who are known;
Knowledge is a deadly friend
When no one sets the rules
The fate of all mankind I see
Is in the hands of fools”
King Crimson, “Epitaph”, 1969 (Pete Sinfield)

Alla corte del Re Cremisi

Sono partito da Codroipo (provincia di Udine) con il primo freddo serio dell’autunno in corso, incontrando prima il mio amico Alessandro (Sasha, per via di trascorsi con la lingua russa) e poi il mio amico Marco e suo papà Sandro: con tutti e tre ho condiviso diversi momenti prog, dal concerto di Steve Hackett (l’ex chitarrista dei Genesis e affermato solista) al quale ho conosciuto Marco e Sandro, passando per diversi concerti di Steven Wilson e addirittura per le esibizioni dei Feat. Esserelà a Vittorio Veneto dello scorso inverno.
Passiamo il viaggio a disquisire delle scalette degli show passati – se facessero “Heroes” andremmo tutti fuori di testa (e qui un sentito vaffanculo al pubblico della seconda data di Firenze) – e cercando di non soffermarci troppo a pensare a una ipotetica scaletta di questo show, per non rovinare la magia. Parliamo anche molto di cose da progster (esempio: chi è stato il miglior batterista di Steven Wilson?), quel genere di cosa che ti consente di ottenere sguardi compassionevoli ma di leggero disprezzo da parte delle ragazze alle feste dei giovani – ma tanto il progster vero alle feste dei giovani non ci va comunque.
Dopo un pranzo da maiali al McDonald’s di Piazza Duomo lasciamo i bagagli (io e Sasha – Marco e Sandro sono in albergo) a casa dei miei zii, e alle sette e venti siamo davanti agli Arcimboldi, (dove ci riuniamo con Marco e Sandro) ovviamente senza fretta perché tanto i posti sono numerati. Io finanzio ulteriormente Fripp e soci acquistando al banchetto del merchandise un box di rarità compilato appositamente per il tour 2016, il terzo volume di The Elements of King Crimson, dato che cinquanta euro per il boxone Radical Action to Unseat the Hold of Moneky Mind (3 CD + 2 DVD + 1 Blu-ray – con il quale posso peraltro giusto tagliare la pizza, non avendo io un lettore Blu-ray) mi sembravano una spesa poco consona. Finalmente, dopo esserci sentiti dire che non si possono fare foto, video o registrazioni da tre diversi commessi del teatro, prendiamo posto.
Subito dopo il soundcheck, prima che gli spettatori entrino nel teatro, Robert Fripp improvvisa sul palco del teatro per creare una trama sonora di qualche decina di minuti che accompagna il pubblico nel prendere posto – il “Threshold Soundscape”, diverso ogni sera. Ci lasciamo avvolgere mentre prima un’annunciatrice e poi Fripp stesso ci ricordano di nuovo che non si possono fare foto o video, né registrare il concerto: avete gli occhi e – soprattutto! – le orecchie, usateli.

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sua maestà Robert Fripp registra il “Threshold Soundscape” del 5 novembre. Pic by Tony Levin – many more available on tonylevin.com

[A questo proposito, prima di cominciare con il concerto vero e proprio, un piccolo sfogo: Robert Fripp è estremamente sensibile al discorso dispositivi di registrazione audio e video di qualunque tipo. Lo fa, però, solo ed esclusivamente per garantire agli spettatori la massima esperienza possibile nell’ascolto dei King Crimson. Dunque io mi chiedo: per quale ragione, comunque, qualcuno di voi si ostina a non riuscire a trattenersi dal fare foto, video e registrazioni, per poi addirittura caricare queste su Youtube – sono già state cancellate – a qualità infima? Siete come i bambini di quattro anni che non hanno ancora imparato a trattenersi e si fanno la cacca nei pannolini? Voi la cacca riuscite a trattenerla?
Non vi ha chiesto nessuno di spendere tra i 35 e gli 80 euro per i King Crimson. Sapevate che le regole erano queste. Non vi meritavate di esserci.]

Avvertenza: la parte che segue potrebbe risultare complessa per i non addetti ai lavori.

“And I thought my heart would break
When you doubled up at the stake
With your fingers all a-shake
You could never tell a winner from a snake”
King Crimson, “Easy Money”, 1973 (Richard Palmer-James)

Soldi facili: il primo set

Le luci si fanno soffuse, e tra gli applausi sempre più forti entrano, uno alla volta, i Crims: Mel Collins (fiati), Pat Mastelotto (batteria e percussioni), Tony Levin (basso, stick, contrabbasso elettrico e voce), Jeremy Stacey (batteria e tastiere), Jakko Jakszyk (chitarra e voce), Gavin Harrison (batteria) e sua maestà Robert Fripp (chitarra e tastiere).
Fripp inforca gli occhiali, si mette le cuffie, e la band si accorda.
Dopo un secondo di silenzio si parte con “Larks’ Tongues in Aspic, pt.1”, dal disco omonimo, che fa risaltare da subito la caratteristica principale di questa formazione cremisi: i tre batteristi/percussionisti. Mastelotto, Stacey e l’immenso Harrison vorticano attorno ai ritmi possenti e intricati, in una girandola di colpi sorprendenti, a volte all’unisono e a volte ciascuno il suo, ipnotizzando l’osservatore con i loro movimenti. Segue “Pictures of a City”, dal secondo album della band In the Wake of Poseidon, e vi si nota la seconda caratteristica più importante di questi Crims: Jakko Jakszyk è la voce perfetta per cantare i brani degli anni ’70, unendo la voce chiara di Greg Lake e quella più ruvida di John Wetton in un dolce lamento che pur richiamando al passato è fermo nel presente. C’è un momento di malinconico riposo con l’estratto dalla suite che da il titolo al terzo album della band, “Lizard c) the Battle of Glass Tears – part i: Dawn Song” (ora lo capite perché il progster medio non va alle feste?), ma poi i Crims calano il carico da 11.
“Red”, iconico strumentale che apre l’album omonimo del 1974, prende a randellate le gengive dello spettatore, tra la chitarra di un Fripp che suona con la cattiveria di un ragazzino punk e le tre batterie (accusate da qualcuno di essere “troppo rock” – per cortesia!). Si va avanti con un altro brano da Lizard, “Cirkus”, e poi con la sublime complessità di “Fracture” (da Starless and Bible Black del 1974), durante la quale il re si mostra in tutta la sua maestosità, sconvolgendoci ulteriormente. Al classico (spettralmente premonitore) “Epitaph” dall’esordio In the Court of the Crimson King, magistralmente reso da Jakko, segue un brano nuovo, “Hell Hounds of Krim”, e poi, con la canzone successiva, la mia testa ha raggiunto il platonico iperuranio.
“Easy Money” (che francamente non mi aspettavo di sentire così presto nella scaletta) è un pezzo proto-metal con una complessa improvvisazione al centro, che culmina nella ripresa della linea vocale che lo apre, per poi chiudersi con un ultimo ritornello dopo averci aperto le scatole craniche. Dopo un piccolo interludio c’è un altro pezzo da Lark’s, “The Talking Drum”, che lascia però chiudere il set a un altro carico da 11, per una perfetta ringkomposition: “Larks’ Tongues in Aspic, part 2”.
Standing ovation, la prima della serata.
Le luci si accendono e noi abbiamo delle facce sconvolte.

“Death seed blind man’s greed
Poets’ starving children bleed
Nothing he’s got he really needs
Twenty-first century schizoid man.”
King Crimson, “21st Century Schizoid Man”, 1969 (Pete Sinfield)

La porta avvelenata della paranoia: il secondo set e la conclusione

Dopo l’ennesimo reminder che non si possono fare foto, video, eccetera (il che ha un po’ rotto la poesia – e qualcos’altro – ma come sappiamo non è bastato a far desistere, quindi forse ce ne volevano altri), le luci si fanno di nuovo soffuse.
Il secondo set si apre con l’inedito “Fairy Dust”, dolce come appare dal titolo, a cui segue l’altrettanto tranquilla “Peace: an End” da In the Wake. Subito dopo, però, una scossa: i Crims suonano “Indiscipline”, ovvero l’unico brano degli anni ’80 della serata! L’originale vedeva il cantante dei King Crimson dal 1981 al 2008, Adrian Belew (che ha esordito con Zappa e poi ha lavorato con Bowie, Reznor e Simon, tra gli altri), recitare una nenia ansiogena che qui, con Jakko, è stata resa melodica, come anche il resto del brano è stato riarrangiato per non stonare con la scaletta composta principalmente da brani degli anni ’70 (con delle eccezioni, come vedremo). La band è molto più concentrata e meno sciolta, sia per via della complessità del pezzo che per il fatto che ha esordito da poco in scaletta. Segue la quasi-title track dell’album d’esordio “The Court of the Crimson King”, epica e malinconica, per poi fare un salto nel 2000 (ecco, appunto, l’eccezione) con “The ConstruKction of Light”, che vede i tre batteristi di nuovo in grande spolvero. Seguono due pezzoni epici, entrambi da Islands del 1971, “The Letters” e “Sailor’s Tale”, per poi tornare nel presente con i brani nuovi “Meltdown” (l’unico, ad oggi, accreditato anche a Jakko a nome King Crimson) e “Radical Action II”. Dopo il tour de force strumentale di “Level Five” (dall’EP omonimo del 2003), la band decide che è ora di scioglierci anche la faccia, dopo averci già sciolto il sistema nervoso centrale.
L’epica “Starless”, da Red, trasporta l’ascoltatore e l’osservatore nello spazio, anche grazie all’unico cambio di colore delle luci, che diventano rosso scuro, di tutto il concerto: per tutto il resto dello show le luci erano delle semplici luci bianche puntate sulla band.
La voce di Jakko è struggente, ma l’apice viene raggiunto durante l’improvvisazione che costituisce la spina dorsale del brano: a malapena ci si accorge di essere su questo piano dell’esistenza.
Le luci si fanno più chiare.
Di nuovo standing ovation.
La band esce.
Dopo pochi minuti la band rientra, e il bis si apre con la breve improvvisazione strumentale “Banshee Legs Bell Hassle” (un pezzo nuovo). Poi, feedback.
L’inconfondibile feedback di “21st Century Schizoid Man”, e Fripp sbudella l’aria con l’immenso riff di chitarra di apertura, un’esplosione nucleare di chitarre e sax, mentre Jakko ruggisce le crudeli parole del brano più emblematico dei Crims, e tutto il pubblico si unisce a lui. Il brano vortica, si arrampica e immagina altri mondi, poi Gavin Harrison ruba la scena con un devastante assolo che fa saltare persino il normalmente immobile Fripp sulla sedia, per poi andare a concludere il brano:
“nothing he’s got he really needs
twenty-first century schizoid man!”
e in un’ultimo boato di distorsione, dopo quasi tre ore di monolitico prog, il concerto finisce.
Standing ovation, ancora.

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Io, Sasha e Marco post-concerto: le nostre facce dicono molto.

Finito il concerto, ci siamo guardati e mi sono reso conto che i King Crimson, quella sera a Milano, hanno raggiunto la mia anima e la mia mente e vi hanno lasciato un’impronta che non potrà mai essere cancellata. I King Crimson fanno pensare. La loro musica ci costringe a ricordarci della nostra immensa umanità e della nostra ragione, perché è complessa ed emozionante allo stesso tempo, e ha resistito al lento erodere degli anni come nessun’altra musica prog ha saputo fare. Dopo quasi cinquant’anni, l’uomo schizoide del ventunesimo secolo cammina tra noi, ma non ha alcun potere su di noi, se sappiamo ascoltare il re Cremisi.

Ascoltate i King Crimson.

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Finito il concerto le foto si potevano fare, e anche sua maestà si è lasciato andare (questa foto comunque è scattata a Firenze). Pic by Tony Levin – many more available on tonylevin.com

Guglielmo De Monte
@BufoHypnoticus

[cover pic by Tony Levin – many more available on tonylevin.com]

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