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L’america reale: storie da porta a porta

Alessando Maffei ha 19 anni ed è di Novara. Studente universitario, ha deciso di volare a Miami per partecipare, come volontario, alla campagna elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e per osservare in prima persona l’evento politico dell’anno. La rubrica USA2016 Pills raccoglie le sue impressioni, le sue idee e gli elementi più interessanti della sua esperienza.

Miami, Florida. Qui nel comitato locale di Hillary Clinton, non sono più sicuri di vincere. È questa la realtà dei fatti a una settimana dalle elezioni. Donald Trump si sta avvicinando alla candidata democratica in maniera preoccupante. Seppur tutti i sondaggi diano ancora Clinton in vantaggio (tranne quello della Fox, che però è meno affidabile de Il Giornale e quando Clinton era a +11% come media nazionale la davano a +3%), la statistica ci dice che il suo vantaggio ora dovrebbe aggirarsi tra il +3% e +5%. Una vera débâcle, se si pensa che due settimane fa era data a +9%.

Anche per questo il nostro lavoro e impegno come volontari e dipendenti è aumentato, cerchiamo sempre più persone che possano aiutarci a chiamare tutti gli indecisi e, soprattutto, è cresciuto il numero di spedizioni porta a porta. Spesso ho partecipato a questa fase e l’ho trovata sempre molto affascinante. Inoltre so lo spagnolo e incontrare una persona che parli nella tua lingua d’origine è una cosa che influisce sull’ascolto e l’attenzione che le si dedica.

Quando dobbiamo andare porta a porta ci organizziamo in gruppetti di 2 o 3. Quelli nuovi fanno una seduta di prova, in cui vengono simulate le possibili conversazioni. Il capo-allenamento spiega che atteggiamenti prendere in certe circostanze e cosa evitare (per esempio, mai entrare in casa di nessuno: siamo pur sempre in una delle città più pericolose degli Stati Uniti). Dalla grande cassettiera dell’ufficio prendiamo una cartellina con una mappa, alcuni indirizzi e delle informazioni su chi abita in quella casa. Così, organizzati e preparati a dovere, partiamo.

hillary clinton volunteers register to vote

Prima di tutto bisogna sfatare un mito: nella campagna porta a porta vi è molto poco di ideologico. Le persone che si incontrano sono, di solito, già elettori del partito, e l’obiettivo vero e proprio è assicurarsi che vadano a votare e cercare di convincerli a diventare volontari. Si può incontrare ogni tipo di persona: il ragazzo giovane che non ha nulla da fare e si mette a chiacchierare, il signore anziano che non capisce cosa vuoi, il veterano che è arrabbiato con la vita.

La prima volta che ho partecipato, me lo ricordo ancora, ho infranto la regola fondamentale: sono entrato in casa delle persone con cui parlavo. Si trattava di due signore tanto gentili, entrambe cubane. Isabel e Claudia si chiamavano. Io ero insieme al mio amico Jake e le signore, che non sembravano avere molto da fare, ci hanno preso in simpatia e offerto un té. Abbiamo parlato del più e del meno e alla fine siamo riusciti a portare a casa una mezza promessa che forse avrebbero fatto volontariato con noi (anche se Isabel sembrava un po’ indecisa perché suo figlio è repubblicano e “oh, è un ragazzo tanto sveglio, dovreste vederlo, a scuola era sempre il primo della classe!”).

Coi cubani è facile trattare, perché il loro spagnolo è chiaro e nonostante siano molto spesso di destra (tendenzialmente chi è cubano e vive a Miami non aveva una buona relazione con la dittatura castrista) sono gentili con tutti, compresi i democratici. Guai però a nominare i cubani con altri sudamericani! Mi ricordo una volta, quando parlavo di immigrazione con Fernanda, colombiana di 39 anni, di aver accennato anche ai cubani. Ella si è subito scagliata contro con: “quei corrotti comunisti, che attraversano il mare ed vengono mantenuti senza alcun merito, quando a noi ci tocca lavorare 13 ore al giorno!”.

Nel ragionamento strampalato vi è un fondo di verità: il governo americano, infatti, ha da sempre delle leggi che tutelano ampiamente i cittadini cubani che scappano dall’isola per recarsi negli USA. Essi infatti sono una sorta di bottino di guerra del governo statunitense: possono essere usati come simbolo vivente del fallimento del sistema comunista. Proprio per questo viene immediatamente data loro la cittadinanza, fornito un lavoro e non di rado finiscono per fare carriera nelle istituzioni pubbliche (se per caso voleste approfondire questo argomento vi consiglio gli articoli di Stefano Bertolino, giornalista-viaggiatore di grande talento e acume che ho avuto il piacere di conoscere un paio di anni fa e che, tra le altre cose, ha seguito di persona il percorso dei profughi lungo i Balcani, accompagnato il viaggio del Papa a Cuba e studiato il movimento NoTav in Val di Susa).

hispanics for hillary clinton

Marco Rubio, candidato senatore repubblicano qui in Florida, è un esempio di cubano-americano che ha avuto successo. Una volta, facendo campagna porta a porta, ho parlato di lui con Pierre, immigrato di Haiti, che vive nelle case popolari a North Miami. Egli diceva che Rubio non gli piaceva perché appena si era arricchito si era dimenticato della gente. “Tutti si dimenticano di noi”, mi dice Pierre, con la voce spezzata di chi sembra abituato ad essere un ultimo della società, e che tuttavia non si arrende ancora a questa sua condizione.

Quello che colpisce di più facendo questo lavoro, infatti, è incontrare le persone e sentire le loro storie e le loro opinioni. E queste storie, sarà perché lavoro nelle zone povere, sarà perché chi ha un lavoro non ha il tempo di parlare con qualcuno che bussa alle porte di sconosciuti, sono quasi tutte di sconfitta e povertà. Mi è capitato di incontrare donne sfinite aprirmi la porta e vedere alle loro spalle 4 o 5 bambini e la nonna che è anziana e non sa dove andare e il marito che si sta impegnando a cercare lavoro ma proprio non lo riesce a trovare e vedere che il loro grembo è gonfio perché sta per arrivare un sesto bambino e tanto dove si mangia in sette si può mangiare anche in otto e tu, dopo la frazione di secondo in cui pensi tutto questo, ti rendi conto che lei ti sta fissando e le devi chiedere “Salve, le andrebbe di fare del volontariato per noi?”. E in quei momenti, anche se stai facendo una cosa necessaria, proprio ti senti in colpa o quanto meno fuori posto. Il punto è che facendo la campagna elettorale, anche se per pochi minuti, entri nella vita di qualcuno, intravedi casa sua, leggi il suo nome, scopri quanti anni ha. Puoi osservare il suo giardino, vedere come tiene le piante, provare a indovinare che lavoro faccia.

Questo impegno e questa fatica, che ti porta a camminare per chilometri e chilometri e ad ottenere risultati quasi sempre scarsi, è però influenzata da una assenza inquietante, come quando sembra che tutto vada troppo bene perché non ci sia qualcosa di storto. L’assenza a cui sto facendo riferimento è quella dei sostenitori di Trump. Da quando sono qui non ne ho mai visto nemmeno uno. Mi hanno detto che i suoi volontari sono tutti pagati (in realtà anche quelli del partito democratico in buona parte lo sono). E, tuttavia, quest’esercito silenzioso, che nessuno vede ma che pare ossessionante come una malattia psichica o come la Grande Angoscia che non faceva dormire la notte Kierkegaard, è sempre in crescita e si fa di giorno in giorno più forte.

In pochi ammettono pubblicamente di appoggiare Trump, ma i sondaggi dicono che sono quasi più gli elettori che sceglieranno il Tycoon piuttosto che Clinton. Sembrano una setta segreta, oscura ma potentissima e senza punti deboli: ogni cosa che potrebbe distruggerli li rende più forti. Ed è per cercare risposte ad alcune di queste domande e per capire dove sono tutti questi sostenitori che si sono dichiarati pronti a un colpo di stato se dovesse vincere Clinton, che ho deciso che se loro non si fanno vedere andrò io a cercarli. E quindi domani mattina, 10 ora locale, mi mescolerò coi repubblicani e andrò a sentire il discorso di Donald Trump.

Alessandro Maffei

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