Alessando Maffei ha 19 anni ed è di Novara. Studente universitario, ha deciso di volare a Miami per partecipare, come volontario, alla campagna elettorale della candidata democratica Hillary Clinton e per osservare in prima persona l’evento politico dell’anno. La rubrica USA2016 Pills raccoglie le sue impressioni, le sue idee e gli elementi più interessanti della sua esperienza.
– Buongiorno! Io mi chiamo Alessandro. Si vuole registrare per andare a votare?
– Non posso. Sono pregiudicato
È così che si apre il mio primo incontro di lavoro con un cittadino americano.
Sono arrivato a Miami da pochi giorni e rimarrò qui per tutto il periodo delle elezioni. Sono uno dei volontari che lavora a supporto di Hillary Clinton e della sua campagna elettorale. Fino all’11 ottobre ci sarà da registrare le persone al voto (gli americani devono registrarsi a ogni votazione) e successivamente andremo a fare campagna elettorale porta a porta.
Quello del diritto di voto è un tema caldo della campagna elettorale e un problema per tutto il paese, al quale si aggiunge il fatto che la struttura politica americana è abbastanza complessa per quanto riguarda il suffragio. Ad esempio: in 4 Stati (Kentucky, Iowa, Virginia e, per l’appunto, Florida) coloro che hanno commesso reati perdono perpetuamente il diritto di voto; in quasi tutti gli Stati Uniti chi è in carcere durante le elezioni non può votare. La portata di queste limitazioni diventa più chiara quando si iniziano a guardare i numeri: gli Stati Uniti sono il paese con il più alto numero di detenuti al mondo (25% su scala mondiale), ai quali si aggiungono circa 7 milioni di persone in stato di libertà limitata e 5 milioni di ex carcerati che hanno perso il diritto di voto, più coloro che non votano per scelta o per motivazioni varie. Per questo motivo Barack Obama nel 2012 ha vinto le elezioni con solo 60 milioni di voti su un totale di 325 milioni di cittadini.
E appartiene proprio alla categoria dei non votanti il pregiudicato che abbiamo incontrato all’inizio dell’articolo. È nero (negli USA un afroamericano ha il sestuplo delle possibilità di finire in carcere rispetto a un bianco), indossa una maglietta sgualcita, porta ciabatte lacere e quando si muove trascina i piedi. Fare la campagna delle registrazioni sarebbe già un lavoro insolito di per sé stando ai tipi di persone che si incontrano (tra queste vi è, ovviamente, il tipico americano da film di bassa categoria che mi dice che non vota perché l’unico da cui prende ordini è Dio), ma lo è ancora di più per via del contesto: lavoro a Little Haiti, uno dei quartieri più poveri di Miami, dove credo di poter affermare che non si sia mai visto un bianco. Io non solo sono bianco, ma anche biondo. Quando cerco di fermare le persone per strada loro si fermano, mi fissano sconvolte dalla mia presenza in quel luogo, e riprendono a camminare.
Il lavoro delle registrazioni, per quanto talvolta possa essere frustrante, è fondamentale e bisogna completarlo in fretta. L’11 ottobre saranno chiuse tutte le liste d’iscrizione all’elenco votanti e l’obiettivo dei democratici è che il maggior numero possibile di persone vada alle urne. Tuttavia, raggiungere questo obiettivo potrebbe farsi sempre più difficile, dato che nei prossimi giorni le persone non si muoveranno di casa. E questo per un unico motivo: domani, qui a Miami, arriverà un uragano.
Alessandro Maffei
Un pensiero su “Rock to vote! Presto, che arriva l’uragano”