Si è spenta ieri notte la fiamma dei giochi paralimpici di Rio 2016, dopo 44 giorni di luce e calore ininterrotti. Gli Azzurri hanno conquistato 10 medaglie d’oro, 14 d’argento e 15 di bronzo, per un totale di 39 titoli, posizionandosi noni nel medagliere finale. Era dal 1972 ad Heidelberg che non entravamo nella top ten, anno in cui ci classificammo sempre noni con 22 medaglie. A scendere in campo quell’anno c’era l’atleta italiano disabile più premiato di tutti i tempi: lo schermidore Roberto Marson, vincitore di 16 ori.
Gli inizi
La storia delle Paralimpiadi inizia 56 anni fa e parte proprio dall’Italia, da Roma, dove si disputò la prima edizione dei giochi. La manifestazione sportiva nasceva dall’unione di due realtà preesistenti: i Giochi Internazionali per Paraplegici di Stoke Mandeville e le Olimpiadi. I primi costituivano sin dal 1948 un’alternativa ai Giochi olimpici, dove a concorrere erano i veterani della seconda guerra mondiale o civili che avessero subito menomazioni fisiche. Storicamente si erano sempre disputati a Stoke Mandeville, cittadina inglese dalla quale prendevano il nome, dove il neurologo Ludwig Guttmann aveva aperto un centro ospedaliero per persone affette da lesioni al midollo spinale.
I Giochi olimpici avevano invece alle spalle più di mezzo secolo di vita e cambiavano sede ogni quattro anni — come accade tutt’ora. I due giochi procedevano quindi separatamente, finché nel 1957 Antonio Maglio non divenne direttore sanitario del Centro paraplegici dell’INAIL di Ostia. Il medico italiano aveva un sogno in comune con Guttmann: introdurre la pratica dello sport come forma di terapia, per ridurre la mortalità e attenuare gli stati di depressione. Accadde così che Maglio avanzò una proposta al collega: perché non ospitare i Giochi Internazionali per Paraplegici nella stessa sede della XVII Olimpiade estiva di Roma?
Così, per la prima volta nel 1960, terminati i Giochi olimpici da due settimane, scesero in campo 400 atleti in carrozzina: fu un anno straordinario per la Nazionale Italiana, che si posizionò al primo posto per medaglie conquistate, 80 in tutto.

Cosa è cambiato e cosa deve cambiare
Tra il riconoscimento ufficiale di quell’edizione come la prima dei Giochi paralimpici estivi, che avvenne solo nel 1984, e l’accordo che stabilì l’abbinamento sistematico dei due giochi nel 2001, la manifestazione ha mutato dimensioni e importanza. Per prima cosa, le Paralimpiadi oggi interessano tutti i continenti, a differenza delle prime edizioni. È noto che i cerchi della bandiera olimpica rappresentino infatti i cinque continenti abitati, mentre il logo paralimpico non abbia nessun riferimento geografico. I suoi tre agitos, simboli di movimento, rappresentano mente, corpo e spirito: dove non arriva il corpo arriva la mente e dove non arriva la mente arriva lo spirito. I tre colori — verde, rosso e blu — rappresentano però i colori più utilizzati nelle bandiere di tutto il mondo.
Ad aumentare sono stati anche gli sport, da 8 a 22, aggiornati agli ultimissimi inserimenti della canoa e del triathlon. Stando alle dichiarazioni dell’ex atleta paralimpico e direttore del CIP, Luca Pancalli, a migliorare è stata anche la copertura mediatica di web, radio, tv e carta stampata. Attenzione consapevole all’abilità degli atleti e al contenuto sportivo altamente competitivo dei giochi.

Quindi più copertura, ma — volendo guardare il bicchiere mezzo vuoto — non abbastanza. Se è vero che l’obiettivo dell’agenda setting è quello di imporre all’audience una gerarchia di notiziabilità delle informazioni, ma d’altro canto questa dipende dall’interesse del pubblico, allora non so se la colpa stia nei lettori o nei media. Sicuramente il fatto che le Olimpiadi vengano prima non aiuta a mantenere alta l’attenzione di pubblico e giornalisti, che a metà settembre sono già concentrati su altro. Inoltre, le vendite dei biglietti sono andate male e il taglio del budget da parte del comitato organizzatore ha reso la situazione talmente difficile da far temere l’annullamento dei giochi.

Yes, they can
Le vicende personali degli atleti protagonisti sono state ampiamente raccontate e sono stati i loro volti in lacrime a gridato il messaggio più importante: “Il mio sogno si è avverato grazie a Martina. Ho iniziato a correre guardando lei in TV a Londra”, ha dichiarato Monica Contraffatto dopo aver vinto il bronzo nei 100 T42. Al suo fianco c’era proprio la campionessa e portabandiera Martina Caironi, sul gradino più alto del podio: “Se ha funzionato con Monica, può funzionare anche con altre atlete”. Il loro esempio, quello di Alex Zanardi che ha conquistato l’oro nella cronometro H5 a cinquant’anni; quello della portabandiera alla cerimonia di chiusura, la diciannovenne Beatrice Vio, oro nel fioretto di categoria B, amputata a tutti e quattro gli arti in seguito a una meningite fulminante; quello dell’ipovedente Abdellatif Baka che ha corso più veloce del campione normodotato Matthew Centrowitz nei 1500 metri categoria T13; quello dell’arciere statunitense Matt Stutzman che tira con il piede destro, aiutandosi con il mento. E quello di tutti gli altri atleti.
È l’esempio di chi grida fortissimo Yes, we can, per ricordarci che la disabilità sta solo negli occhi di chi guarda.