Un reddito di libertà

Non c’è dubbio che il 2016 sia stato un anno particolarmente ricco di eventi e avvenimenti che hanno lasciato un segno considerevole: dal golpe turco al terremoto di Amatrice (e in Equador e anche altrove), dalla Brexit all’attentato di Monaco, dalle vittorie del M5S a Roma e Torino alla caduta dei partiti socialisti in Sud America (Argentina prima, Brasile poi e diciamo che ora anche in Venezuela c’è abbastanza movimento). Eppure, probabilmente, c’è un evento che non verrà ricordato come importante, pur avendo avuto il merito di porre una questione estremamente interessante all’interno del dibattito politico europeo: il referendum svizzero sul reddito di cittadinanza.

La proposta svizzera, rifiutata dalla popolazione con ampia maggioranza, prevedeva la distribuzione di un reddito di base (il cui importo non era specificato nel quesito referendario, ma si parlava della soglia di povertà, superiore quindi ai 2000 euro al mese, convertiti in franchi svizzeri) che avrebbe coinvolto l’intera cittadinanza senza discriminazioni economico-sociali, per una spesa collettiva pari a, stimati, 18 miliardi di euro (sempre convertiti in franchi svizzeri).

È abbastanza curioso che la proposta sia arrivata dalla Svizzera, madre dell’etica calvinista che un ruolo tanto importante ha avuto nella diffusione del capitalismo. Al di là di queste considerazioni ironiche, il dibattito circa l’opportunità di un reddito di base incondizionato è stato posto al centro della discussione politica in Svizzera e, per i promotori del referendum, è già da considerarsi un successo. Io sono assolutamente d’accordo con loro.

Chi scrive è un grande sostenitore del reddito di base incondizionato (RBI) e, nelle prossime righe, cercherò di illustrarvi le mie ragioni.

Il RBI è, in sostanza, uno strumento di sostegno al reddito e un istituto contro la povertà, ma sarebbe riduttivo considerarlo esclusivamente in questi termini. Parliamo di una elargizione in denaro, identica per ogni fruitore, senza discriminazioni di età, di genere o economico-sociali, che garantisca all’individuo una esistenza dignitosa ed un punto di partenza che lo protegga dalla condizione di povertà assoluta, senza vincolo alcuno. Il fruitore non è legato ad alcun obbligo e riceve il RBI a prescindere che sia soggetto attivo o passivo nel mercato del lavoro. Va da sé che l’importo minimo pensato da chi scrive sia tale da garantire al cittadino di mantenersi al di sopra della soglia di povertà assoluta (in Italia si tratta di circa 800€ al mese).

Una delle critiche più comuni al reddito di base incondizionato è che una tale forma di sussidio statale influirebbe negativamente sulla propensione al lavoro dei cittadini, i quali, avendo la possibilità di guadagnarsi da vivere sostanzialmente senza muovere un dito, farebbero esattamente quello. Questa, lasciatemi dire, è proprio la ragione per cui penso sia ironico che il referendum abbia avuto luogo nella patria del calvinismo e dell’etica protestante: non esiste alcuna prova a sostegno di questa tesi che, anzi, appare piuttosto debole. Senza bisogno di esperimenti sociali, che pure saranno estremamente utili, il reddito di base pone l’individuo nella invidiabile condizione di poter disporre del proprio tempo, senza la costrizione ad accettare un lavoro non gradito che non sfrutta le sue potenzialità. Sarebbe, in sintesi, in grado di liberare il proprio tempo, formandosi e trovando la propria strada per garantire il miglior apporto possibile alla società di cui fa parte.

L’idea del povero fannullone, che se lasciato in condizioni di oziare sicuramente lo farà, oltre ad essere una teoria settecentesca che nulla ha di illuminista né di moderno, non trova sostegno in un mondo dove la disoccupazione a tassi del 10% e più pare ormai una condizione endemica dell’economia e non circostanziale. Quando, perché succederà, il progresso tecnologico, che tanti benefici porta alla comunità e al mondo, avrà digitalizzato e automatizzato tutti i processi produttivi, (e non, fate conto che Uber sta sperimentando un taxi senza conducente), alzando ulteriormente il livello di disoccupazione, chi soddisferà la domanda interna senza salario?  Vorrei inoltre sottolineare che il lavoro ove questo strumento fosse applicato potrebbe realmente divenire flessibile, dal momento che la minor necessità delle imprese di impiegare lavoro vivo e la minor dipendenza da esso da parte dei lavoratori, permetterebbe alle prime un più ampio turnover, senza andare a pesare troppo sulle spalle dei lavoratori che, ora, rischiano di perdere l’unica possibilità di una vita dignitosa. Il turnover garantirebbe più lavoro (per meno ore) a tutti, senza togliere a nessuno la possibilità di ripartire da capo senza sprofondare nella voragine di povertà.  Tradotto, si garantirebbe una mobilità sociale che oggi ci sogniamo.

La liberazione del proprio tempo, al contrario di quanto sostenuto da alcuni (qui) garantirebbe una maggiore capacita di usufruire del diritto allo studio, dando la possibilità a milioni di ragazzi di pagare l’università senza dover lavorare o gravare sulle spalle di una famiglia non particolarmente abbiente… in sostanza avrebbe il pregevole effetto di riequilibrare le condizioni di partenza. In un mondo dove la ricchezza si accumula sempre più e dove si è fatta evidente l’assenza del tanto noto quanto assurdo effetto trickle down (secondo cui accumulare ricchezza ai vertici della piramide sociale genererebbe un effetto a cascata sulle fasce inferiori, in ottemperanza alle teorie più spiccatamente liberiste, e pure paracule, permettetemi), un sostegno al reddito universale rappresenterebbe un bel salto di qualità.

Si aggiunga che proprio in virtù del proprio potere liberatorio, il RBI applicato ad una realtà come l’Italia avrebbe davvero il merito di redistribuire la ricchezza, non solo per fasce di reddito (che sarebbe già di per sé un obiettivo ammirevole), ma anche per aree geografiche. L’accesso a questa forma di sostegno nelle aree più arretrate del paese (parlo del Mezzogiorno, ma anche di molte periferie settentrionali) garantirebbe non soltanto un’alternativa alla criminalità, ma anche una vera e propria possibilità di sviluppo per quelle zone.

Esperimenti in questo senso sono stati fatti in Canada (che verranno a breve ripetuti) e ne verrà varato uno in Finlandia per la fine del 2016. In Alaska il governo paga ogni anno una somma di 2000 dollari circa ad ogni cittadino per l’intensa attività di estrazione petrolifera (anche se questo, più che reddito di base, si chiama dividendo sociale) e il senatore Bernie Sanders in campagna elettorale aveva proposto l’estensione di tale strumento a tutta la popolazione a stelle e strisce. Insomma il dibattito è caldo e il referendum svizzero ha davvero avuto il merito di accelerare i tempi di elaborazione.

Nota a margine, per chiunque desideri informarsi di più sullo strumento del reddito di base incondizionato, consiglio di farsi un giro sul sito di Basic Income Network Italia (BIN) e di leggersi tutti gli esperimenti e studi al riguardo.

 

Luca Sandrini

@LucaSandrini8

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