Il 31 agosto scorso, poco prima delle 14, il senato brasiliano, con 61 voti a favore e 20 contro, ha approvato la destituzione di Dilma Rousseff da presidente del Brasile. Rousseff era già stata sospesa dal suo incarico tre mesi fa, a causa di un lungo processo di impeachment iniziato nel dicembre 2015.
La fine di un’epoca
Si arriva così all’epilogo di una lunga e controversa storia politica carioca, iniziata nel 2014 con l’elezione della stessa Rousseff a capo del Governo per un secondo mandato, ottenuto, secondo l’accusa, grazie ad una serie di trucchi e modifiche del bilancio statale da parte dell’ormai ex-presidente e del suo Partito dei Lavoratori coinvolto direttamente nel caso Petrobras, la compagnia statale brasiliana al centro di un’indagine per corruzione.
La Rousseff non è stata mai indagata, ma la messa in stato d’accusa è arrivata a esito positivo soprattutto per aver truccato, come ha affermato il Tribunal de Contas, il bilancio dello stato del 2014, con lo scopo di nascondere la disastrosa condizione economica del Paese, e quindi per poter indirizzare e condizionare la campagna elettorale che l’ha poi vista trionfare.

L’accanimento ai danni di Dilma ha avuto però inizio con la nomina dell’ex presidente brasiliano Lula, all’epoca indagato per corruzione e riciclaggio, capo del gabinetto di Governo, col solo scopo, stando alla stampa locale, di concedergli l’immunità. Le tre cose quindi, scandalo Petrobras-bilancio statale bloccato-nomina di Lula, hanno così portato l’opinione pubblica a spingere il Parlamento a procedere nei confronti di Dilma, in un lungo e articolato iter che ha paralizzato il Paese per mesi e che si è concluso appunto il 31 agosto scorso.
La destituzione della Rousseff non è solo la fine di un mandato presidenziale, ma anche e soprattutto la fine di un’epoca politica brasiliana inaugurata da Lula ben 13 anni fa. Nel 2003 la vittoria di Lula alle elezioni presidenziali aveva dato il via ad un nuovo corso politico brasiliano, poi proseguito dalla Rousseff nel 2010, che ha portato il Brasile ad essere uno degli Stati con la più alta crescita economica del mondo e un esempio della cosiddetta Marea Rosa, e cioè quell’ondata di elezioni vittoriose dei primi anni duemila da parte dei partiti di centro sinistra che decisero di darsi il colore rosa, una tonalità un po’ più sbiadita rispetto alla bandiera rossa simbolo del comunismo.
La difesa di Dilma
Non sono mancate, ovviamente, né le polemiche né tantomeno le parole di accusa della stessa Rousseff (qui potete trovare il discorso completo), sicura che si sia trattato di un vero e proprio golpe di stato operato dalla destra. L’unica colpa ascrivibile alla Presidenta è quella di cattiva gestione dei conti pubblici dell’anno 2014, un fatto gravissimo che però non rientra tra le condizioni necessarie per iniziare una procedura di impeachment.

Come già detto mesi fa, la messa in stato di accusa che per mesi ha paralizzato il Brasile non ha fatto altro che sottolineare e riportare alla luce del sole i paradossi del sistema politico brasiliano, e forse di tutto quello sudamericano. Difatti la Presidenta è stata depauperata senza alcuna prova politica reale, ma semplicemente per errori tecnici volontari e non volontari riguardanti il bilancio statale, fatto che, e lo ripeto ancora, non prevede un’apertura all’impeachment.
Seconda caratteristica altrettanto paradossale che non può essere assolutamente dimenticata, riguarda chi ha giudicato chi. La Rousseff è stata accusata, giudicata e condannata da una Camera dei Deputati coinvolta in vicende di corruzione e tangenti, fatti ancor più gravi rispetto a quelli attribuiti alla Presidenta. Un esempio è sicuramente il Presidente della Camera Eduardo Cunha indagato per aver ricevuto tangenti e per possedere conti in diversi paradisi fiscali.
Michel Temer e i cortei pro-Dilma
Morto un Governo se ne fa un altro. L’uomo che sostituirà la Rousseff, e che di fatto l’ha già sostituita negli ultimi tre mesi, è Michel Temer, suo vice negli ultimi sei anni. 75 anni, avvocato costituzionalista e in politica da oltre trent’anni è da anni leader del PMDB, una formazione centrista che non ha mai avuto un ruolo importante nello scacchiere politico brasiliano. Temer, spesso oscurato dalla bellissima moglie Marcela Tedeschi, è un uomo riservato, discreto, abile nella mediazione, ed è stato il grande tessitore della destituzione della Presidenta. Il suo Governo dovrebbe restare in carica fino al 2018, ma la nascita di un movimento trasversale, presente nei due grandi partiti di centro sinistra e centro destra, si è già messo al lavoro per anticipare le elezioni al prossimo ottobre.
Temer non è inoltre molto amato dai suoi cittadini: se le preferenze per la Rousseff oggi non arrivano al 20% dei sondaggi, quelle per l’attuale Presidente si attestano all’8%, soprattutto per il fatto che Temer, portatore di idee politico-sociali ed economiche opposte a quella della Presidenta, rischia a sua volta l’impeachment, a causa della corresponsabilità nell’approvazione delle leggi finanziare per cui è stata accusata, giudicata e proclamata colpevole Dilma e perché è anch’esso coinvolto negli scandali di corruzione della Petrobras. Notizia di pochi giorni fa, è che lo stesso Temer è stato condannato per avere violato le regole del finanziamento elettorale, accusato dalla Corte elettorale di San Paolo di avere oltrepassato il limite delle donazioni elettorali e quindi diventando ineleggibile per i prossimi otto anni.
L’attuale Presidente non è molto amato anche per la poca coerenza che ha mostrato in tutta la sua carriera politica. Nel 2015, ad esempio, parlava così di un eventuale procedimento in messa in stato d’accusa della Rousseff: “L’impeachment è impensabile, provocherebbe una crisi istituzionale. Non ha nessuna base giuridica né politica”. Come ben sappiamo, le cose sono andate diversamente.
In questa difficile situazione politica, non potevano mancare gli scontri in strada tra manifestanti e polizia. Il simbolo dei difficili giorni appena passati è una bara portata, e poi data alle fiamme, sull’Avenida Paulista di San Paolo che racchiude un pupazzo con le sembianze del Presidente Temer. I media parlano di oltre 100mila manifestanti, per la maggior parte schierati dalla parte della Rousseff e scesi in piazza per chiedere a gran voce delle nuove elezioni.

Si chiude così un’epoca per la storia politica brasiliana, ma anche sudamericana, e se ne apre un’altra. Al momento è ancora presto per prendersi la responsabilità di dire se il nuovo corso porterà avrà la capacità di traghettare il Paese in acque più sicure, ma è lecito fermarsi, pensare e ricordare quello che la Rousseff ha fatto per il Brasile. È bene ricordare che nei primi sei mesi da Presidente, Dilma ha dimissionato ben 6 membri del suo Governo per corruzione, una corruzione che abbiamo già visto essere in massiccia presenza all’interno del Parlamento e con oltre il 55% dei senatori interessati, gli stessi senatori che hanno dovuto votare l’impeachment.
È giusto che non si dimentichi nemmeno che dal 2003 al 2012, gli anni di maggior sviluppo per il Paese, il Governo è riuscito a ridurre fame e povertà dal 15% al 3% della popolazione, con quindi 22 milioni di persone uscite da condizioni disastrose. Un altro aspetto degno di nota riguarda la distribuzione della ricchezza: il Brasile è considerato il primo paese democratico del mondo ad aver compiuto la più vasta opera di redistribuzione della ricchezza, operazione che però, va detto, non è stata conclusa.
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