Non ho la benché minima intenzione di affermare che gli sport minori non dovrebbero esistere o essere presenti alle Olimpiadi. Anzi penso sia fantastico che ogni 4 anni milioni e milioni di persone sulla faccia della terra si accorgano che non c’è solo il calcio. Vorrei invece solamente sostenere che un oro olimpico in uno sport “minore” vale meno di quello in uno sport “maggiore”.
La ragione principale sta tutta in una parola: competitività. Mi pare evidente infatti che più si estende campo dei praticanti di una determinata disciplina e più diventa statisticamente complicato primeggiare. In parole povere, essere il migliore in qualcosa tra 100 persone è molto più improbabile rispetto ad esserlo tra 10 e il fatto stesso che sia più improbabile fornisce maggior valore e rilevanza al primato.
Avendo riscontrato numerose difficoltà a trovare una classifica delle discipline più popolari al mondo sia per numero di nazioni che per numero di atleti (qua però ne potete trovare una basata su altri criteri abbastanza sensati), mi sono rifugiato nel microcosmo italiano. Nello specifico i dati appartengono ad un rapporto del CONI sullo sport in Italia che risale al 2014.
Prevedibilmente il calcio guida la classifica degli sport più popolari con oltre un milione di iscritti alla FIGC, la federazione di riferimento. Al secondo posto si piazza la pallavolo (374.468 tesserati), al terzo la pallacanestro (310.801 tesserati) e al quarto, primo sport fondamentalmente individuale, il tennis (306.862 tesserati). Passando alle due regine delle olimpiadi la federazione d’atletica leggera (FIDAL) conta oltre 200mila praticanti mentre quella del nuoto e degli altri sport acquatici (FIN) ne fa quasi 150mila.
Il quadro è ben diverso nei cosiddetti sport minori e che spesso e volentieri ci regalano grandi soddisfazioni ai Giochi Olimpici. Per esempio una disciplina di grande tradizione come la scherma, che ci ha regalato la portabandiera di Londra 2012 Valentina Vezzali, muove dal divano poco meno di 19mila persone in tutta la penisola. Le cose vanno un po’ meglio nel tiro a volo (19.726) e nel tiro a segno (72.839) e, soprattutto, nelle arti marziali (123.496).
Alle Olimpiadi si cerca di attenuare questo gap, estendendo al massimo il campo in ogni sport, sia in termini di partecipanti che di continenti rappresentati in ogni disciplina. Tuttavia permangono un paio di disparità abbastanza lampanti.
La prima di esse in realtà addirittura precede i Giochi stessi e risiede nella quantità di atleti che tentano di qualificarsi. Comparare il numero di persone che, in questi ultimi quattro anni, ha inseguito senza successo il sogno Olimpico nelle diverse discipline è un’impresa titanica nella quale, lo ammetto, non mi sono imbarcato. Ciò nonostante è facile immaginarsi come la lista degli esclusi del nuoto e dell’atletica, ma in fondo anche di altri sport non propriamente olimpici come il tennis o il basket sia ben più lunga, rispetto a quella di sport minori come il tiro a segno o la scherma.
La seconda si verifica invece durante i Giochi e consiste nelle sproporzioni del rapporto tra atleti e medaglie in palio. Per esempio a Rio l’atletica assegna 47 medaglie d’oro, il numero maggiore ai Giochi tra tutte le discipline, ma a competere per esse sono presenti la bellezza di 2364 atleti provenienti praticamente da tutti i paesi del mondo. Stando sempre a livello meramente statistico la possibilità di trionfare (senza considerare chi partecipa a più gare ma non sono neanche così tanti vista la diversità delle specialità) è di meno del 2%. Il tiro a segno, sport evidentemente “minore”, distribuisce invece 15 medaglie d’oro tra solamente 390 persone che portano i colori di 96 nazioni, con una percentuale di quasi il 4%. Nella scherma il rapporto è perfino più benevolo in favore degli atleti (10/246). E questo naturalmente considerando solo le discipline individuali.
Dunque, tanto per rimanere in casa Italia, a causa di un superiore tasso di concorrenza, la medaglia d’oro conquistata da Gregorio Paltrinieri nei 1500 metri stile libero vale senza ombra di dubbio di più delle 2 conquistate da Niccolò Campriani nella carabina da 10 e 50 metri. Vale di più perché c’erano più persone, provenienti da più paesi, a competere per essa. E la maggior parte di esse, come abbiamo già accennato, non le abbiamo nemmeno viste ai Giochi Olimpici perché non si sono riuscite a qualificare. L’entità della differenza di valore sarebbe impossibile da quantificare e quindi il CONI opportunamente riconosce premi uguali, anche allo scopo di, altrettanto opportunamente, spronare più persone ad avvicinarsi agli sport minori. Però tale differenza esiste e ciò mi sembra inoppugnabile.
Con questa argomentazione, sia ben chiaro, non si intende sminuire l’impegno e la prestazione di nessuno. Tutti i vincitori olimpici meritano massima ammirazione. Ma se, usando una metafora musicale, Gianni Morandi nel 1985 cantava “uno su mille ce la fa” e non “uno su 35 ce la fa” un motivo ci sarà pure.
2 pensieri su “Perché un oro olimpico negli sport minori ha meno valore”