Da Dimondale, Michigan, USA, il nostro corrispondente Giacomo Romanini
“Ehi dove sei?”
“Veh che ho bucato: riuscite a venirmi a prendere su Abbott?”
Grand River Avenue, sudato marcio, gomma a terra.
Sono in Michigan, una sorta di pianura padana con temperature invernali sui -8.4 °C. Per ora ce ne sono 32 e sto morendo di caldo.
La capitale no, non è Detroit, ci sono rimasto male anch’io. Si chiama Lansing (anche se ha circa 114mila abitanti: come Vicenza, per dire). Sembra che gli americani se ne freghino del numero di abitanti: la capitale la piazzano generalmente in mezzo allo stato (test: qual è la capitale dello Stato di New York? Indizio: non è New York City).
A East Lansing invece (che sostanzialmente è attaccata a Lansing, ma è una città a parte) si trova la Michigan State University, ateneo celebre anche per la sua squadra di basket, gli Spartans, nella quale ha militato fra gli altri anche il mitico Magic Johnson. Il campus è enorme, circa 6 km: per dare un’idea, dai Giardini Margherita alla stazione, a Bologna, ci sono “solo” 3 km).
Per fortuna mi trovo nella parte nord del campus e non ci metto molto a raggiungerne il confine. Sto fuggendo dalla giornata di orientamento per tutti i teaching assistant, una cosa che devono fare tutti i dottorandi. Una mattina così proficua e interessante che decido di sostituire la sessione pomeridiana con una capatina al comizio di Donald Trump. Sì, quel Donald Trump.
Cose da sapere prima di arrivare a destinazione:
- il Michigan vota democratico dal 1992 e i sondaggi per ora danno Clinton come vincitrice. Non che non valga la pena provarci qui, tuttavia ci sono alcuni stati in cui Trump non può permettersi di perdere;
- quando ho saputo la notizia, mi aspettavo che il comizio si tenesse al campus o a downtown Lansing per sfruttare il potenziale bacino dei 50mila studenti provenienti da tutto il paese o parlare ai cittadini di un territorio storicamente legato a quell’industria automobilistica così colpita durante la crisi. Niente di tutto ciò: si va a Dimondale, paesino di 1234 abitanti a sud di Lansing;
Detroit viene spesso usata nei discorsi in questi giorni, così ho voluto dare un’occhiata alla situazione ora: come va il tasso di disoccupazione? Ecco un riassunto del U.S. Bureau of Labor:Dati aggiornati al 3/8/2016. NB il tasso non è aggiustato per la stagionalità: essendo giugno il mese che presenta maggiormente questo problema ha senso solo confrontare in termini tendenziali (2015 vs 2016).
- Qualche giorno fa Trump ha rivoluzionato i vertici del suo comitato elettorale, per dare una svolta ad una campagna che lo vede per ora indietro di diversi punti rispetto a Hillary. In particolare si è dimesso Paul Manafort, il campaign chair (il ruolo più alto nello staff), sospettato di avere legami con la Russia e perciò in grado di influenzare negativamente le chance di vittoria di “The Donald”. La squadra ora è completamente rinnovata, a soli 79 giorni di lavoro prima delle elezioni.
Il palazzetto dello sport dove si tiene il comizio (rally in inglese) è ben protetto: oltre ad un numero consistente di forze armate fuori, è presente anche qualche unità sul tetto. È normale: il candidato alla Presidenza ha la possibilità di avvalersi della protezione dei servizi segreti.
Tutto è tranquillo, e in sottofondo si sente l’intro di..
OK, si entra.

Larga parte del pubblico è dietro il palco: sostanzialmente tutta la struttura serve ad avere un’inquadradura dove chi parla, rivolgendosi ai media, è circondato da persone. Non si tratta di una novità nella scena americana, ma di persona fa un certo effetto comunque.
Il pubblico è indubbiamente composto per la quasi totalità da bianchi, mentre non riesco a capire quale possa essere l’età media: nella mia zona prevalgono gli over 40 (chiedo scusa per la misurazione spannometrica), ma ci sono diversi ragazzi sui 20/30, e non riesco a vedere chi è sotto al palco o nelle prime file sulle tribune opposte.
Gli speakers lanciano Pavarotti e il “vincerò” della Turandot e io, con una iniezione di italianità, comincio a parlare con i miei vicini.
Le idee non mancano.
Il baffuto signore alla mia sinistra è categorico: “Trump sarà un grande leader per l’America e per il mondo”. Arrivano i rinforzi da dietro: l’idea è quella che i Democrats abbiano rovinato il paese e Hillary Clinton sia una “criminale”. La Clinton è stata Segretario di Stato, la versione USA del Ministro degli Esteri, dal 2009 al 2013, con Obama. Molto di quello che sa è roba che scotta. E invece di usare i server federali, mandava mail con contenuti top secret da casa. Probabilmente la password del router era “Monica”. Tutta la vicenda qui.
A questo si aggiunge la serie di cose poco simpatiche capitate al duo Clinton da quando hanno visibilità politica. Su questo punto sono sostanzialmente tutti d’accordo, e Trump lo sa bene: Clinton is too involved, dice il ragazzo con la bandana. Insomma, Hillary non sta simpatica a molti, come scrivono al De Correspondent.
Non tutti hanno votato Trump alle primarie: alcuni Ben Carson, il candidato di Detroit, ritiratosi in corsa a sostegno di Trump, altri John Kasich, il governatore dell’Ohio, ma sono tutti convinti che Trump sia il candidato ideale. Nonostante i suoi “modi da newyorkese” un po’ spacconi e diretti, che vengono apprezzati proprio in quanto tali. E il fatto di non aver avuto precedenti esperienze politiche, a differenza di Crooked Hillary, lo mette in una posizione di forza anche nei confronti dell’establishment conservatore, visto come statico e corrotto. L’equazione dei sostenitori di Trump è:
outsider+ricco = meno corrotto+meno corruttibile
L’altro grande punto di forza del candidato repubblicano è il suo essere imprenditore. Ossia poter attaccare i politici di mestiere e contrapporre la capacità di creare posti di lavoro. Attenzione ai paragoni con Berlusconi, non è mica la stessa cosa.
Altro punto cruciale per alcuni dei miei vicini-di-comizio è la libertà di possedere armi, concessa dal secondo emendamento della Costituzione. Questo mi ricorda il signore con il cappello della National Rifle Association, potente lobby delle armi da fuoco.
Infine i rapporti esteri. Questo vuol dire lotta totale al “terrorismo islamista” sul fronte militare, mentre su quello economico è fondamentale impedire alle aziende americane di delocalizzare e/o importare a basso costo da alti paesi. Su tutti Messico e Cina, dove il primo è il vicino che dispone di manodopera a basso costo per potenziali spostamenti della produzione, l’altro come l’avversario economico.
Dobbiamo interrompere il discorso. Sono arrivati ad introdurre Trump e a scaldare la folla una serie di personaggi, tra cui un veterano, un generale appena ritiratosi e una rappresentante del comitato repubblicano locale. Ne viene fuori il seguente:
- Trump crede in Dio
- una marea di gente che urla scandendo U-S-A!
- la signora ha la voce più acuta che io abbia mai sentito, e il microfono non aiuta
- inno nazionale, preghiera alla bandiera
Verso le 16.30 finalmente arriva Donald Trump, direttamente dalla Lousiana (che la settimana scorsa è stata colpita da una tremenda inondazione).
Questo è il pezzo con cui il potenziale prossimo presidente degli USA sale sul palco
Tutto il resto è noia.
“Beh come, tutta sta aspettativa e poi non ci racconti cos’ha detto Trump?”
Se volete…ma in pratica è esattamente quello che mi avevano già raccontato i miei vicini-di-comizio. Che è una cosa molto buona per Trump. I casi sono due: o lui ha capito perfettamente i temi che stanno a cuore del suo elettorato, oppure il suo elettorato ha perfettamente internalizzato le priorità di Trump. La fidelizzazione c’è, bisogna capire se poi Trump e il suo comitato sono in grado di trasformare questi sostenitori convinti in figure attive nella ricerca del consenso locale, per quanto appunto possa contare in Michigan.
La cosa che invece mi colpisce è il dialogo che c’è tra il pubblico e lo speaker.
Immaginate alle superiori la prof che chiede: “chi ha capito dica sì” o simile.
In Italia ci sarebbe – forse – un accenno con la testa, qualche sibilo giusto per dare un po’ di suono e bona lè. Qui invece è un po’ come se tutta la classe rispondesse ad alta voce SIIIIIIIIIIIIIIIIII.
Magari sono io, che ho visto solo comizi elettorali locali. Dove la gente ti chiede quando metti a posto l’argine o se al centro giovani sostituiscono il calciobalilla.
C’è un altro spirito, non c’è questa carica.
Secondo me non dipende solo dal grado di delle elezioni: lo show sembra una componente fondamentale del fare politica in questo paese.
Questo è quello che succede circa ogni volta che Trump smette di parlare per più di mezzo secondo. Make America Great Again: stanotte me li sogno tutti quei cartelli.
Secondo, il classico di questa campagna elettorale. Riferito a Hillary Clinton: “lock her up” (=rinchiudetela, perché pericolosa e forse persino pazza)
E questo non una volta, due, tre. Ogni singola volta che spuntava fuori il nome Clinton.
Con alcune varianti molto divertenti provenienti da poeti alle mie spalle, ma siamo alla Disney e non è neanche giovedì.
Infine, l’ultima entry nel repertorio offensivo (in tutti i sensi).
Hillary Clinton : USA = Angela Merkel : Germania. Cioè, Hillary lascerà passare tutti gli immigrati come la Merkel. Siamo in campagna elettorale e non è sicuramente la cosa più strana che abbiamo sentito dire da Trump. Qui una lista direi completa dal The New York Times.
Del discorso di Trump vi dirò invece una cosa, che è molto importante, perché è una sorta di cambiamento fondamentale nella sua campagna. Finora è andato forte con bianchi con un’età medio-alta ma molto male con le minoranze etniche.
Durante il comizio ha pubblicamente invitato gli elettori afroamericani a sostenerlo. E l’ha fatto à la Trump, sia chiaro: “Cosa diavolo avete da perdere?”
Lo ha detto davanti ad un pubblico sì completamente bianco ma che, come abbiamo visto, svolge solo il ruolo di contorno. Quello che conta è piuttosto lo sguardo dritto in camera per provare a catturare una fetta di elettorato che potenzialmente si può rivelare decisiva.
Ph. Giulia Magnani
2 pensieri su “Cos’ho da perdere se vado ad un comizio di Trump?”