“Ballo ballottaggio da capogiro”, così cantavano Elio e le Storie Tese nel 2011, ospiti di un programma di Serena Dandini: era la vigilia del secondo turno che poi elesse Giuliano Pisapia sindaco di Milano – come peraltro auspicava il finale della rivisitazione satirica degli Elii, “Gira tutto intorno la stanza \ Pisapia avanza, avanza”.
Come mai mi è tornata in mente quella vecchia canzone? Semplice: da un mese a questa parte i ballottaggi, avvenuti, previsti, addirittura annullati, sono quotidianamente al centro del dibattito politico. Forse il “Ballo ballottaggio” non diventerà il tormentone dell’estate, ma per non farsi trovare impreparati, ecco alcuni passi da esercitare.
“Passo indietro”, detto anche “Passo del presidente di seggio precipitoso”
La notizia della settimana sulla scena politica europea, all’indomani del referendum che ha sancito la Brexit, è arrivata da Vienna.
La Corte Costituzionale Austriaca ha accolto il ricorso presentato dal FPÖ, il partito di estrema destra oggi guidato da Norbert Hofer: il ballottaggio tenutosi lo scorso 22 maggio, in occasione del quale il verde Van der Bellen l’aveva spuntata per soli 30mila voti, dovrà essere ripetuto.
Ad inficiarne la validità non sarebbero stati brogli o manomissioni, bensì un vizio di forma: in 14 circoscrizioni su 20, infatti, lo scrutinio dei voti pervenuti per posta (ben 700mila, peraltro decisivi sull’esito finale) sarebbe iniziato nella serata del voto, e non il lunedì successivo, come previsto.
Si rivoterà dunque, e il Vecchio Continente dovrà trascorrere un nuovo giorno con il fiato sospeso, nell’attesa di verificare se per la prima volta dal dopoguerra una forza xenofoba e di estrema destra guiderà una Cancelleria europea.
Pur non essendo ancora stata definita una data per il ritorno alle urne, sarà curioso osservare se l’inaspettata seconda chance mobiliterà i sostenitori del FPÖ o se, come secondo alcuni analisti già avvenuto in Spagna, si attiverà il cosiddetto “effetto Brexit”, spingendo l’elettorato su posizioni meno “di rottura”, dunque verso Van der Bellen.

“Passo Italico”, detto anche “Passo del ballottaggio che verrà”
Mentre oltralpe si discute di un ballottaggio che è stato, in Italia si guarda a quello che, presumibilmente, verrà. Chiamato “Italico” proprio per la nostrana inclinazione a cambiare legge elettorale ad ogni variazione nei sondaggi, questo passo consiste nel rimettere in discussione una legge elettorale a parole blindata che, per la prima volta nella storia d’Italia, prevedrebbe la determinazione di una maggioranza parlamentare al secondo turno.
All’indomani dei ballottaggi delle amministrative e del sondaggio Demos che per la prima volta segnalava il sorpasso del M5S sul PD, con uno scarto destinato ad ampliarsi a quasi dieci punti al secondo turno, molte voci si sono levate per chiedere una modifica dell’Italicum.
Lo ha chiesto Alfano, il cui NCD sarebbe destinato alla scomparsa qualora rimanesse il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione; lo ha chiesto la sinistra del PD, alla luce delle convergenze della destra sui candidati sindaco pentastellati.
Per di più, in settimana è giunta notizia di una misteriosa calendarizzazione di una mozione di Sinistra Italiana a riguardo, cosa che di fatto comporterebbe il ritorno in Aula della discussione sulla Legge Elettorale, peraltro alla vigilia del Referendum costituzionale che interrogherà gli italiani su una riforma strettamente connessa all’Italicum.
Improvvisamente contrari a modifiche, invece, si dimostrano ora i Cinque Stelle, rinfrancati dai risultati recenti e ingolositi dal tornaconto positivo che una legge precedentemente definita antidemocratica consegnerebbe loro.
Nel frattempo Renzi sembra essersi infilato in un vicolo cieco: cambiare l’Italicum dopo averlo strenuamente difeso equivarrebbe ad un’ammissione di colpa e ad una dimostrazione di calcolo politico di infima levatura; d’altro canto, tuttavia, le convergenze politiche che ad oggi sfavorirebbero il PD ad un eventuale ballottaggio sono manifeste.
Un’impasse, questa, da cui si esce con la politica, con i voti da meritare, e non con emendamenti e correttivi in corso d’opera. Vedremo se il premier-segretario ne sarà in grado.
“Passo del sorpasso”, o “Passo della Mole capovolta”
I ballottaggi, si sa, possono dare luogo a rimonte sorprendenti. Quella di Chiara Appendino su Piero Fassino ha simboleggiato meglio di ogni altro risultato la vittoria del Movimento 5 Stelle nelle ultime amministrative.
Al di là delle considerazioni sulle reali possibilità di Piero Fassino, amministratore capace ma candidato logoro, di resistere all’ondata anti-establishment che spazza l’Europa; al di là delle conferme arrivate dall’analisi dei flussi elettorali, relativamente al delinearsi di un “tutti contro il PD”, altri segnali lasciavano presagire un clamoroso ribaltone.
In primis, si presti attenzione al temibile “sgambetto della zia”, nel quale è incappato Fassino. Le liste a sostegno della sua rielezione hanno totalizzato 60mila preferenze, quella pro-Appendino solo 10mila: fermarsi al 42% pur avendo catalizzato una quota così significativa di voti particolaristici – come quello della zia che dà la preferenza al nipote candidato consigliere, senza necessariamente tornare alle urne due settimane dopo, in mancanza di un simile interesse personale – lasciava intuire che il potenziale elettorale fosse pressoché esaurito.
Ciò innesca il secondo effetto: se si diffonde la percezione che l’ennesima vittoria di una classe dirigente da tempo al potere non sia in realtà così scontata, oppositori demotivati che avevano disertato il primo turno possono mobilitarsi al secondo, allettati dalla possibilità di un exploit.
Quanto successo a Torino lo testimonia: nelle due settimane precedenti al ballottaggio quasi quindicimila torinesi hanno richiesto la tessera elettorale presso gli uffici comunali, ed in particolar modo nei quartieri che avevano prodotto un esito meno favorevole a Fassino al primo turno.
Dovendo abituarci a ballottaggi sempre più centrali in un sistema politico tripolare, questi piccoli suggerimenti risulteranno certamente utili a chi, all’indomani delle prossime elezioni, vorrà poter affermare “io l’avevo detto”.

“Passo dello stallo” o “Passo del podevamos pensarci prima”
Nel frattempo si è votato anche in Spagna, per la seconda volta negli ultimi sei mesi, dopo che la precedente tornata aveva disegnato un parlamento privo di qualsiasi maggioranza, tra veti contrapposti dei leader.
Il 26 giugno scorso, stessi candidati, stesse formazioni in campo salvo il cartello tra Podemos e Izquerda Unida, stessa ingovernabilità alle porte (nonostante l’incremento dei seggi conquistati dai Popolari).
Ad oggi l’esempio spagnolo rappresenta un estremo della dicotomia “rappresentatività / governabilità”: sistema proporzionale puro, con soglia di sbarramento relativamente bassa al 3%. Politici e analisti si sono esercitati nell’applicazione ad esso di un sistema elettorale dotato di ballottaggio (uno a caso, l’Italicum), in grado di dirimere lo stallo. Fantapolitica, probabilmente, ipotizzare uno scontro tra Rajoy e Sanchez, con l’attribuzione di un premio di maggioranza in seggi al vincitore ed un governo certo.
Resta il fatto che lo stravolgimento dei sistemi politici di tutt’Europa, con la fine del bipolarismo, rende necessario ripensare alle regole con cui eleggiamo i nostri rappresentanti e, più o meno indirettamente, i governi. Si può legittimamente teorizzare che ogni correttivo maggioritario infici irreparabilmente la fedele rappresentazione dell’orientamento dell’elettorato. A quel punto, però, dobbiamo accettare che le maggioranze si formino attraverso accordi di palazzo (accordi quindi, e non inciuci!) ed auspicare che le forze che accedono ai Parlamenti siano disponibili a partecipare a simili dinamiche, non limitandosi a starne fuori per lucrarci su.
Ed ora, esercitati questi passi basilari, si aprano le danze.
Andrea Zoboli