Il Regno Unito è stato scosso dalla morte violenta di una parlamentare, Jo Cox. Accoltellata e ripetutamente ferita da colpi di arma da fuoco, la quarantunenne deputata laburista dello Yorkshire è morta lasciando completamente sbigottito un paese che non può esimersi da una riflessione seria sul proprio futuro politico e sulle correnti estremiste che lo percorrono con modi e toni sempre più appassionati e irrazionali. L’efferatezza del gesto colpisce ancora di più la nazione per la prossimità temporale con il referendum, previsto per il 23 giugno 2016, in cui sarà chiesto al Regno Unito se lasciare o rimanere nell’Unione Europea.
Al momento della scrittura di questo articolo, non si sa ancora niente sul movente dell’omicida, anche se se ne stanno esplorando i legami con l’estrema destra neo-nazista. Si tratta però di una morte che ha profondamente colpito il Regno Unito, come testimoniano le reazioni commosse di tutti i partiti e i quotidiani, a prescindere dall’orientamento politico. In Gran Bretagna, l’assassinio di Joe Cox non sara’ dimenticato facilmente, perché, a prescindere dal motivo che abbia spinto il sospetto carnefice, un attacco ad un parlamentare è un affronto all’intero sistema democratico, è un attacco al Parlamento. E questa è l’istituzione su cui da secoli si fonda la democrazia inglese, e la cui supremazia è stata definita da Lord Bingham “The bedrock of the British constitution” in un caso deciso dalla House of Lords nel 2005. Il passaggio, cominciava l’editoriale sul quotidiano inglese The Guardian il giorno dopo l’omicidio, dalla civiltà alla barbarie è più breve di quanto ci piaccia immaginare.

La barbarie è, nel 2016, l’espressione in modo violento del rifiuto della società pluralista e “multiculturale” in cui vivono i Paesi dell’area euro-atlantica. La barbarie è forse, per i commentatori inglesi, l’attacco a quella che, parlando della sparatoria nel locale di Orlando, Mario Del Pero ha definito “bellezza della diversità, quotidianità del pluralismo e ovvietà della tolleranza”. La parlamentare Jo Cox era un’attivista che difendeva i diritti di quelli che i media chiamano “refugees”, e contro i quali invece è stata costruita parte della campagna “pro-leave” nel cruciale referendum “leave or remain in the EU”. È solo una speculazione, ma è facile cadere nella tentazione di collegare l’ideologia e il comportamento del suo assassino con questo tipo di discorso xenofobo.
Il Regno Unito sta attraversando una fase delicata, in cui l’elettorato sarà chiamato a compiere una scelta epocale: restare nella, o lasciare, l’Unione Europea. Il referendum ha un valore puramente politico (non vincolante dal punto di vista dell’UE), e infatti è stato, per usare un eufemismo, estremamente politicizzato, nel senso deteriore del termine. Il tono del dibattito pubblico è stato irrazionale e la disinformazione ha dilagato.
I fattori fondamentali della divisione nell’elettorato sembrano essere il reddito e l’educazione. Il Regno Unito è perciò diviso fra una parte della popolazione giovane (<30) ed istruita fortemente pro-EU, che risiede nelle grandi città e in prevalenza nel Sud del Paese, e una parte con livelli d’istruzione e salario inferiori, anti-europeista, e che vive nei piccoli centri e al Nord. Con poche eccezioni, l’accademia, l’alta finanza e in generale le grandi compagnie sono fortemente pro-EU, come la Scozia e l’Irlanda del Nord (le due regioni più pro-EU del Regno insieme a Londra). I nazionalisti, gli over 60 e quelli che leggono “the Sun” sono i piu’ accaniti sostenitori della “Brexit”.
Il futuro politico internazionale e domestico della Gran Bretagna è molto incerto. Il refendum ormai prossimo sulla permanenza o meno nell’Unione Europea ha generato campagne pubblicitarie feroci, quasi monopolizzato il dibattito pubblico dell’UK negli ultimi mesi e soprattutto ha dato voce a forze estremiste e alle tensioni latenti del Paese: xenofobia, classismo, “rivolta della working class” – ora che sono state sguinzagliate, dovranno trovare un “ubi consistant” dopo il referendum. E proprio il referendum è destinato a scuotere la stabilita’ del Regno, qualunque ne sia l’esito.

Se dovesse vincere il “leave”, la conseguenza immediata sarebbero molto probabilmente le dimissioni del Premier Cameron. Seguirebbero poi, verosimilmente, anni di incertezza economica e giuridica a livello internazionale. La Gran Bretagna dovrebbe ricorrere alla procedura prevista per lasciare l’Unione: occorrerebbero lunghe negoziazioni per sostituire, con trattati bilaterali, gli attuali vincoli che il Regno Unito ha con gli altri stati membri. In questo scenario, le altre nazioni del Regno – soprattutto la Scozia – potrebbero voler reclamare nuovamente l’indipendenza.
Ma l’incertezza non sarebbe evitata nemmeno da una vittoria – specialmente se ottenuta con poco margine – del “remain”. In questo caso bisognerebbe in teoria applicare lo UK-EU deal, il cui valore giuridico è tutt’altro che chiaro, e non c’è nessuna garanzia che, sapendo che il Regno Unito sarà parte dell’Unione, Bruxelles voglia veramente rispettare la promessa di uno “statuto speciale” a Londra. In politica interna, come menzionato, le forze che hanno fatto forte propaganda per il “leave” e che hanno smosso correnti populiste di notevole volume (i sondaggi danno le due fazioni a pari punti ormai da settimane) dovranno trovare altre campagne politiche in cui incanalare la propria rabbia.
La campagna per il referendum previsto per il 23 giugno è stata sospesa in seguito all’uccisione della MP. Il Regno si è Unito nella commozione, nell’amarezza, e soprattutto nell’incredulità di fronte a questo attacco all’istituzione – fortunatamente molto raro nel paese. I britannici e gli europei, tutti, hanno molto in gioco in questa settimana delicatissima.
Luigi Lonardo