L’Unione Europea non è nata da un atto diretto di una divinità (come successe per Gerusalemme secondo il Salmo 87), né per assecondare un disegno divino (come successe per lo Stato Islamico secondo al Baghdadi) – ma come compromesso fra le aspirazioni francesi e americane e come risultato diretto della tesissima situazione geopolitica degli anni immediatamente successivi all’inizio della Guerra Fredda.
L’Europa unita, tuttavia, è stata fatta – un’Unione Europea esiste, dopo tutto (può darsi che, leggendo questa frase, anche i più convinti eurofili stiano toccando ferro, date le minacce alla sua esistenza che sta subendo l’UE). Ma la sua genesi è dipesa, come si dirà, da convinzioni personali e da circostanze storiche favorevoli, che hanno scandito, probabilmente in misura uguale, le origini della storia dell’integrazione europea. Il dibattito sulla forma che doveva prendere l’Unione è attualissimo. Nel 2016 c’è chi dice che si procederà a formare un’entità federata fra alcuni degli Stati Membri, mentre gli altri procederanno l’integrazione, ma più lentamente. Quanti altri, e quanto più lentamente, non è dato saperlo. Europa a due velocità, a più velocità, i termini “giornalisitici” non mancano. Il problema è capire la forma giuridica da dare al tentativo di cooperazione.
Il problema se lo dovettero porre anche gli alti funzionari dell’area euro-atlantica negli anni ’40 del Novecento. L’Europa uscì devastata dalla seconda guerra mondiale. È vero che gli stati dell’Europa occidentale decisero di cooperare nel dopoguerra, ma la loro scelta non è stata affatto una scelta obbligata. Non solo non erano obbligati a cooperare, ma la precisa scelta di farlo in una forma comunitaria – che caratterizza ancora la maggior parte del processo decisionale dell’Unione – è stata contingente. Si trattò più un compromesso, o una scelta dovuta a preferenze personali di alti funzionari, che un progetto comune, ottimista e inarrestabile. Anzi, bisogna ricordarsi la lezione dello storico Tony Judt: l’Europa è “the insecure child of anxiety”.

Il Paese leader nell’integrazione europea era la Francia, principale alleato continentale degli Stati Uniti. L’Europa unita, di conseguenza, dipendeva dall’approvazione francese. E proprio la Francia (sia nella persona del ministro degli esteri Schuman, federalista convinto, che con le istituzioni, ad esempio il parlamento, che dovevano ratificare i trattati internazionali) è stata il “campo di battaglia” per fare o far tramontare il progetto di Europa unita. La Francia spinse gli altri Stati membri ad accettare l’opzione sovra-nazionale negli anni 50- in contrasto ad altre nazioni piu‘ reticenti a cessioni di sovranita‘, come il Regno Unito. La Francia ebbe successo in due occasioni cruciali, il progetto per la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) e per la ratifica del Trattato di Roma (1956/57) che istitui la Comunità Economica Europea (CEE). Come ho discusso in precedenza, lo storico Parsons ha ricostruito gli episodi che hanno portato al trionfo dell’Europa comunitaira dimostrando che sono state piuttoto delle contingenze di politica interna francese a permettere questa affermazione del progetto comunitario.
Quanto agli Stati Uniti, che crearono l’alleanza per garantire sicurezza militare nel 1949, basterà fare riferimento alla frase attribuita al diplomatico britannico Lord Ismay, secondo il quale la NATO era stata create “to keep the Russians out, the Americans in, and the Germans down”. I russi, che avevano instaurato regimi comunisti, in modo piu’ o meno violento, in Polonia (1945), Ungheria (1947), Bulgaria e Romania (1947), e Cecoslovacchia (1948) dovevano essere tenuti lontano dai Paesi dell’Europa occidentale: è la cosiddetta “doctrine of containment” del Comunismo. Gli Americani, al contrario, dovevano rimanere in Europa, a “presidiare” il continente, nel loro interesse e in quello degli alleati europei. La Germania, invece, spartita in quattro zone (controllate da URSS, UK, Francia e USA), doveva rimanere un’entità sventrata, e soprattutto priva di capacità militare. Gli Stati Uniti cambiarono idea sul riarmo della Germania. Il Segretario di Stato Dean Acheson dichiarò, nel settembre 1950, in un incontro con l’inglese Ernest Bevin, e il francese Robert Schuman, che gli USA erano pronti a fare un passo storico e inviare forze sostanziali in Europa. Queste truppe americane sarebbero state parte di un complesso di forze collettivo che avrebbe incluso anche gli eserciti europei. Questo aiuto Americano, però, era condizionale agli sforzi dei Paesi europei a contribuire essi stessi al successo della difesa dell’Europa occidentale. Questi sforzi richiesti dagli Stati Uniti, e questo e’ il punto cruciale, includevano il riarmo della Germania occidentale.

La Francia si trovò perciò a dover risolvere un difficile dilemma: accontentare gli americani includendo la Germania in un progetto comune di difesa, ma al tempo stesso mantenere la loro leadership in Europa continentale, cioé evitare di mettere la Germania in condizione di ritornare una grande potenza. Ora, è evidente a chiunque che la soluzione al problema non era univoca. I francesi si trovavano ad un bivio: due soluzioni erano possibili, e loro scelsero la terza, quella della “comunità”. Ad oggi sembra la scelta vincente. Ma alter due opzioni, piu’ tradizionali, erano possibili. Una era la via federale: organizzarsi in un’entità sovrana con poteri superiori a quelli di ciascun singolo stato; l’altra era la cooperazione internazionale, in cui, senza autorità gerarchicamente superiori, gli Stati decidono di mettersi d’accordo tramite i consueti canali diplomatici. L’Europa invece nacque grazie ad una via di mezzo. L’idea del “metodo comunitario” è che gli interessi di ciascuna singola nazione, seppur rappresentati, non possono opporsi al processo decisionale, né imporsi da soli. Sceglie la maggioranza, ma nessuno ha il diritto di veto. La Francia propose un piano (cosiddetto piano Pleven), che si sarebbe poi evoluto nella Comunità Europea di Difesa nel 1952 (ma che fallì per la mancata ratifica del Parlamento francese nel ’54). Quello che non fallì fu il trattato che istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA, 1951) e quello che, nel 1957, sancì la nascita della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM). Fu il trionfo dell’Europa comunitaria.
Il trionfo non era scontato. Anzi, è stato in dubbio, fortemente in dubbio, nel ’54 quando il progetto della CED non fu approvato dal parlamento francese. Nell’area della difesa comune, infatti, l’idea comunitaria e‘ stata presto abbandonata e praticamente mai più perseguita. Ad essa e‘ invece stata preferita la più tradizionale forma di cooperazione sotto l’ombrello di una organizzazione internazionale, l’Unione dell‘Europa Occidentale (fondata originariamente da Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi), che fu aperta anche alla Germania dell’Ovest e all’Italia. La Germania fu anche ammessa alla NATO.
La comunità, contrapposta alla federazione o alla tradizionale cooperazione internazionale, è stata una scelta contingente, che si impose non solo per le convinzioni personali di chi ne fu fautore (soprattutto Schuman) ma anche grazie a circostanze favorevoli (le alleanze che crearono le maggioranze necessarie alla ratifica in Francia per la CECA e la CEE). Forse quelle che io chiamo ‘circostanze favorevoli’ Machiavelli le avrebbe chiamate ‘occasione’. Parlando di coloro che hanno acquisito un principato per virtu‘ propria, il fiorentino scrive: ‘Et esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma parse loro; e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano’.