1944. 28 ottobre. La valle è silenziosa. E’ il primo giorno di silenzio in quella che sarà ribattezzata la valle della morte, il passaggio che collega la Polonia e l’attuale Slovacchia, ad un tiro di schioppo dal confine ucraino. Nei cinquanta giorni precedenti, si sono scontrati da un lato i Tedeschi e gli Ungheresi, dall’altro i Sovietici ed i Cecoslovacchi, impegnati a rientrare a casa. In quella valle muoiono 138mila uomini, per una battaglia dall’esito incerto e che non da nessun vincitore, ma solo vinti. Al centro di quella valle sorge Dukla, da cui lo scontro prenderà il nome. E’ incredibile dunque come il nome centrale della storia della resistenza ceca e della liberazione dal nazifascismo diventi uno tra i più odiati nella memoria calcistica (e non solo) collettiva di un’intera nazione. Questa è la storia del Dukla Praga, la squadra più odiata della Repubblica Ceca.
1947. Nella Cecoslovacchia unita ci sono appena state le elezioni. Ha vinto il KSC, il partito comunista, ma non ha la maggioranza assoluta. Mentre vivacchia un governo di coalizione guidato dal democratico Benes, nasce l’Armadi Telokvicny Klub, la squadra sportiva dell’esercito. Ma non ha nemmeno il tempo di crescere che ecco arrivare il primo ministro comunista Gottwald di ritorno dalla corte staliniana che forza la mano a Benes ed instaura il governo comunista totalitario. L’ATK diventa il fulcro calcistico del vertice del potere comunista sulla Cecoslovacchia. Dato che sarebbe seccante se la squadra dell’esercito e del partito venisse sconfitta da altre formazioni inferiori, perché non impegnarsi per uccidere il campionato? Il partito vara così una legge per cui qualsiasi giocatore abbia effettuato il servizio militare (per inciso, obbligatorio) possa giocare per i giallorossi, anche se tesserato per un’altra squadra. Senza che la squadra di provenienza abbia diritto ad una corona. E così l’ATK può prendere tutti i giocatori migliori, scalando le classifiche ed arrivano in prima divisione.
Il primo campionato nella massima serie, la Celostatnì Mistrovstvì, del Dukla Praga coincide con la rivoluzione del sistema calcistico. Infatti la Cecoslovacchia, ormai satellite dell’URSS, si allinea allo svolgimento del campionato sovietico, in corso da marzo ad ottobre. E così la stagione 1949 accoglie l’ATK Praga, quarta squadra del capoluogo ceco dopo Sparta, Slavia e Zeleznicari, che si chiamerà poi Bohemians. Da brava neopromossa, ma piena di giocatori di valore, l’ATK all’esordio arriva quarta in campionato, vinto per la prima volta dal Sokol Bratislava.
In realtà però le cose non decollano, e dopo quel primo quarto posto la squadra cala in classifica sempre più. Il 1952 coincide con il punto più basso raggiunto in quei primi anni di prima divisione, l’ottavo, ma porta anche tre eventi importanti. Il primo è il primissimo trofeo, la coppa nazionale ceca. Il secondo è il cambio di nome, con UDA’ (Ústřední dům armády) che si sostitutisce ad ATK. Il terzo invece è l’arrivo di un giocatore, dal Teplice. E’ una seconda punta con capacità di regista, notato dalle squadre praghesi fino dalle giovanili, poi passato per il servizio militare e quindi automaticamente convocabile dal Dukla. Si chiama Josef Masopust. Soprattutto quest’ultimo cambiamento si rivelerà decisivo per raggiungere lo scudetto, fin dalla stagione successiva.
Di tredici partite (campionato con solo 14 squadre senza andata e ritorno) l’UDA Praga ne perde una sola. Il capocannoniere di squadra è Ota Hemele, che per tanto tempo aveva giocato con i rivali dello Slavia ed era passato al Dukla proprio con la clausola dell’esercito. In totale la squadra segna 41 reti, di cui una porta la firma anche di Josef Masopust. Da quel momento in poi il Dukla diventa una seria contendente per ogni scudetto, favorita dal fatto di poter acquistare di volta in volta il capocannoniere dell’anno precedente. Il secondo scudetto arriva nel 1956, quando la squadra cambia nome ufficialmente in Dukla Praga, guidata dalle quindici reti del capocannoniere Dvorak. Una volta cambiato nome, per il campionato non c’è più storia.
Il centro di quel Dukla è Josef Masopust. Che macina gol su gol ed assist su assist. Tanto da diventare presto imprescindibile non solo per il Dukla, ma anche per la nazionale cecoslovacca. La caratteristica dei grandi campioni, e lo abbiamo visto spesso su queste pagine, non è tanto il segnare, il correre, il passare, ma avere un alto livello di capacità in tutti i fondamentali ed unirli ad una straordinaria visione di gioco. La forza di Josef sta proprio nel leggere le azioni prima che esse avvengano, di dettarle ai compagni con il solo passaggio del pallone. E’ il centro della Nazionale che affronta i mondiali del 1958 e del 1962. Proprio da questi ultimi tornerà con la medaglia d’argento al collo, sconfitta in finale solo dal Brasile di Pelè, a cui proprio Masopust però segnerà. In quello stesso anno, Masopust conquista il Pallone d’Oro, davanti ad Eusebio. E’ il primo pallone d’oro che attraversa la cortina di ferro, seguito solo l’anno successivo da Lev Yashin. In realtà proprio la cortina limiterà la carriera di Josef, costretto ad una vita di dilettantismo. Solo a trentasette anni gli sarà concesso di partire, ed andrà in Belgio, per una sola stagione da professionista. In ogni caso sarà scelto, in occasione dei cinquant’anni della FIFA come Golden Player, cioè come miglior giocatore della storia della Repubblica Ceca. La lista viene pubblicata nel 2003, e l’anno dopo il Pallone d’Oro lo vince Pavel Nedved.
Il Dukla intanto macina trofei nazionali su trofei nazionali. Scudetti e coppe si sommano nella bacheca giallorossa. L’Europa invece non pare raggiungibile. La prima esperienza in Coppa dei Campioni avviene nel 1957, ma il Dukla esce sconfitto al primo turno contro il Manchester United di Busby, che quella coppa la vincerebbe se l’aeroporto di Monaco non strappasse le vite di quasi tutti i componenti della sua squadra. L’anno successivo è il Wiener SC a fermarli agli ottavi, e quando ritornano nella massima competizione, nel 1961, dopo aver di nuovo vinto lo scudetto in patria, ci pensa il Tottenham ai quarti. In realtà la squadra di Masopust è un po’ sfortunata, perchè negli anni successivi incontra, sempre troppo presto, Benfica (finalista), Dortmund (semifinalista) e Real Madrid (semifinalista), in rapida successione. Ma il 1967 sembra essere l’anno buono. Per la prima volta nella sua storia, il Dukla raggiunge la semifinale, dopo aver sconfitto Esbjerg, Anderlecht e Ajax. Ma dall’altra parte c’è il Celtic che vincerà quel torneo, e gli scozzesi si impongono all’andata, rendendo vano il pareggio di Praga. E’ in realtà l’ultimo picco del Dukla Praga in Europa, dato che mai i giallorossi riusciranno a vincere un trofeo fuori dai confini nazionali.
Fast Forward. Josef Masopust si ritira e diventa allenatore, pure del Dukla. I praghesi continuano a vincere scudetti e coppe, ma con l’arrivo degli anni ’80 altre squadre si affacciano dalla vetta del campionato. Il Dukla poco a poco cala di importanza, seguendo il lento sparire potere comunista sulla Cecoslovacchia. L’ultimo trofeo, una coppa nazionale, arriva nel 1990, quando ormai la Rivoluzione di Velluto ha già portato lo stato sui binari del progresso e della democrazia. Vaclav Havel condanna il Comunismo all’oblio, e di fatto condanna il Dukla alla scomparsa.
Passano solamente quattro anni, e la scomparsa avviene. Il club ha una situazione finanziaria disastrata e nessuno vuole aiutarlo, in quanto vestigia di un passato odioso ed odiato. Le aste vanno deserte, ed il glorioso club dell’esercito crolla in terza divisione, da cui risorgerà solo grazie all’unione con altre squadre minori. Ora è semplicemente la quarta squadra di Praga, una come tante, dopo che la paura si è trasformata in odio e l’odio in indifferenza. Ma per quasi metà del Secolo del Calcio, Praga e la Cecoslovacchia avevano una sola squadra, il cui nome era intriso di sangue per la libertà e contemporaneamente sporcato dalla dittatura. Una squadra che, di fatto, pochi tifavano allora e pochi tifano ora. Ma che si è trasformata in mito.
Marco Pasquariello