“Molte delle società aristocratiche tradizionali sono nate dall’«ethos del guerriero» di tribù nomadi che sottomisero i popoli più sedentari, poiché erano più spietate, crudeli e coraggiose. Dopo le conquiste iniziali, i padroni delle generazioni successive presero dimora fissa nelle loro terre e da proprietari terrieri instaurarono un rapporto economico con la massa dei loro «schiavi» contadini attraverso l’esazione di tributi. Ma l’ethos del guerriero […] dopo anni e anni di pace e di agiatezza non è riuscito a impedire che questi stessi aristocratici degenerassero diventando cortigiani viziosi ed effeminati” – Francis Fukuyama
“La condizione dell’Arabia Saudita è di avere un’élite dominante occidentalizzata che poggia la propria legittimità su un fondamentalismo conservatore” – Ahmed Rashid
Ammettiamolo. A parte per il petrolio e le grandi ricchezze che gli derivano da questa materia prima l’Arabia Saudita non è molto conosciuta nel resto del mondo. Ed è comprensibile dato che proprio questi due elementi hanno influenzato così profondamente il paese. La storia dell’Arabia Saudita è però fortemente intrecciata con un terzo elemento: il wahhabismo, uno fra i più importanti movimenti di rinnovamento dell’Islam nato, non a caso, proprio nella penisola araba (dove il profeta Maometto cominciò la sua predicazione) verso la metà del XVIII secolo. I suoi sostenitori già allora sostenevano la necessità di un progressivo ritorno alle origini del messaggio islamico e ad una purificazione dei costumi. Altre caratteristiche della dottrina wahhabita erano la stretta applicazione del Corano e della sunna ed il rifiuto – se non la vera e propria ostilità – nei confronti degli elementi estranei alla tradizione. L’ispiratore e fondatore del movimento era Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhab (1703-1792) che trovò un potente alleato nell’emiro locale nonché guerriero Muhammad Ibn Sa’ud. Da questo momento fino ai giorni nostri la dinastia saudita e il wahhabismo sono divenuti l’una la garanzia di legittimità e di potere dell’altro, in un rapporto sempre più stretto e dai contorni indistinti.
Dopo una serie di vicende in cui la fortuna non di rado voltò le spalle ai Sa’ud e in cui non mancarono perfino gli scontri interni alla stessa famiglia (un altro fattore che contraddistinguerà tutta la storia di questa vasta casa regnante), nel 1902 Ryad venne conquistata definitivamente. Fu nel 1932 però che venne proclamata ufficialmente la nascita del regno dell’Arabia Saudita.
Anche in questo frangente tornò in scena l’ideologia wahhabita, la cui predicazione religiosa si rivelò in realtà funzionale all’unificazione e sedentarizzazione delle tribù beduine che popolavano la penisola, attorno a un comune progetto. Particolarmente efficace fu l’azione dei mutawwa’a, studiosi di teologia che diffusero tra la popolazione le nuove parole d’ordine: wahhabismo e obbedienza al re. Ancora una volta e con sempre maggior convinzione i Sa’ud legavano il loro destino politico ad una corrente dottrinaria senza che fosse chiaro chi dovesse essere subordinato all’altro. Nel frattempo – a partire dal 1938 – si cominciò a sfruttare sistematicamente la risorsa petrolio così abbondante nel sottosuolo del neonato regno. Contemporaneamente la folta stirpe saudita dava il via all’occupazione delle principali cariche politiche ed economiche statali, una pratica che col tempo si è tramutata nella norma, resistendo sostanzialmente invariata ancora oggi.

Fu però re Faysal, salito al trono nel 1964, a imprimere una svolta decisiva nella politica saudita, avviando un processo di modernizzazione che sconvolse il volto del paese, il cui paesaggio fu ben presto solcato da grattacieli, autostrade e centri commerciali, all’ombra dei quali la monarchia e la legge islamica continuavano comunque a tenere saldamente in mano le redini dello stato. Anche fra la popolazione, grazie ai ricavi dal petrolio, cominciò a diffondersi un crescente benessere (se non proprio una certa ricchezza) e la base della classe media ad allargarsi sempre più.
Ma se è soprattutto per la spinta modernizzatrice interna che Faysal è più ricordato, meno noto è un altro suo sogno. Cioè quello di trasformare l’Arabia Saudita nella potenza egemone dell’intero mondo islamico, un progetto favorito anche dal vuoto lasciato dall’Egitto di Nasser che nel frattempo era stato annientato (sotto il profilo militare ma anche politico) dalla guerra dei Sei Giorni contro Israele. Particolarmente significativo fu il gesto di attribuirsi il titolo di “custode” dei luoghi sacri dell’Islam – la Mecca e Medina – che il re mise in diretta connessione con se stesso e con la dinastia saudita. Ciò mentre sul piano politico internazionale, sempre per impulso di Faysal, venivano fondate la Lega mondiale musulmana e l’Organizzazione della conferenza islamica, entrambe con sede in Arabia Saudita. Ed è in questo momento che il wahhabismo, da processo puramente interno di ridefinizione e controllo dei fondamenti dottrinali islamici, divenne una “merce da esportazione”.
Il principale (anche se non l’unico) artefice di questa seconda, fondamentale svolta fu Osama bin Laden, il cui padre era un amico intimo di re Faysal. Dopo un periodo passato a studiare gestione aziendale prima e i dettami religiosi dopo, nei primi anni ’80 cominciò a reclutare uomini e a sovvenzionare economicamente la resistenza araba contro l’invasione dell’URSS in Afghanistan. È allora che, come ha affermato Ahmed Rashid nel suo libro Talebani: “Osama bin Laden […] ha usato la sua ricchezza e le donazioni saudite per realizzare i progetti dei mujaheddin e per diffondere il wahabbismo tra gli afgani”. Contributi e sostegno che poi vennero ampiamente assicurati anche al regime talebano del Mullah Omar.

Paradossalmente l’altro grande sostenitore dell’Arabia Saudita e quindi del wahhabismo (seppur in modo parzialmente involontario) furono gli Stati Uniti, oggi strenui oppositori del fondamentalismo religioso. Nella loro scarsa conoscenza delle sottigliezze dottrinali dell’Islam e alla disperata ricerca di un alleato stabile e affidabile nella regione, gli USA avviarono fin dai tempi della Guerra fredda una stretta partnership politica ed economica con Ryad. Per anni Washington ha finto di non vedere l’assolutismo della monarchia saudita e il conservatorismo sempre più anacronistico e sconnesso col tessuto sociale del paese del clero wahhabita.
Solo di recente, grazie alla nuova linea dettata dall’amministrazione Obama, i Sa’ud hanno visto incrinarsi un matrimonio durato settant’anni. Del resto non sono pochi gli strappi con l’alleato che hanno costellato gli otto anni del senatore afroamericano alla Casa Bianca: dall’appoggio alle Primavere arabe, ai tentennamenti nei confronti di Assad in Siria, fino a giungere alla madre di tutte le battaglie, cioè lo storico accordo sul nucleare con gli iraniani, il grande nemico di Ryad. A tutto ciò si aggiunga anche che nel paese imperversa la peggiore crisi economica e sociale dal momento della fondazione del regno, crisi che sta costringendo i sauditi a profondi cambiamenti, che probabilmente modificheranno in modo radicale lo stile di vita dei propri cittadini.
Marco Colombo
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