Diritto all’oblio: privacy vs. free speech

Che cos’è il diritto all’oblio? Quando si è iniziato a parlarne? In che quadro giuridico attuale si colloca? È giusto appellarsi a questo diritto oppure no?
 La giornalista australiana Julie Posetti di Fairfax Media, il professore George Brock e Jean-Paul Marthoz (Comitato per la Protezione dei Giornalisti) hanno provato a rispondere a tutti questi interrogativi a partire dal principale eponimo: Dovremmo dimenticare il ‘diritto all’oblio’?

Andiamo in ordine. Il diritto all’oblio rappresenta la possibilità di eliminare link online riguardo alla propria persona, relativamente a precisi argomenti. Si tratta di un diritto individuale. Il professor Brock ha, in questa sede, esposto le ragioni storiche dell’argomentazione, da far risalire al celebre caso “Google Spain SL, Google Inc. vs Agencia Española de Protección de Datos (AEDP)”. Il 5 marzo 2010, Costeja González, un cittadino spagnolo residente a Barcellona, si rivolse all’ufficio per la privacy, appunto l’AEDP, per far eliminare due link che lo mettevano in cattiva luce. Cercando infatti il suo nome sul motore di ricerca Google, i primi risultati offerti riportavano due link al quotidiano La Vanguardia, non troppo graditi da Costeja González. Questi facevano riferimento ad una singola notizia di cronaca, documentando «una vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali», avvenuta 12 anni prima (19 gennaio e 9 marzo 1998). Il fatto, ormai superato, rischiava di ledere l’immagine pubblica e la carriera professionale dell’uomo. Si trattava chiaramente di una notizia offerta da una testata d’informazione, dunque il primo passo fu quello di chiedere la rimozione della pagina da parte dell’editore La Vanguardia Ediciones SL, gestore del sito, che si rifiutò di eliminarla. Allora si passò direttamente a Google Spain e Google Inc., che a sua volta si rifiutarono di rispettare la richiesta, sottolineando come questa pretesa avrebbe agito in direzione di una grave limitazione della libertà di espressione. Nel passaggio giuridico dalla Corte suprema spagnola alla Corte di Giustizia Europea si assisté ad un fatto senza precedenti: con la sentenza del 13 maggio 2014 venne stabilito che l’uomo aveva il diritto di chiedere a Google la soppressione dei link. Cosa significa? Che è stato legalmente riconosciuto il diritto di oscurare un fatto, non attraverso l’eliminazione della pagina ma attraverso la de-indicizzazione della stessa. Non vi erano in questo senso gli estremi per affrontare una denuncia per diffamazione, proprio perché il motore di ricerca non farebbe altro che offrire un servizio, indicizzando in modo automatico dei dati, senza nessun tipo di autorità sui contenuti.

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Julie Posetti e Jean-Paul Marthoz (© Roberta Cristofori)

Privacy sì, ma qual è il prezzo da pagare per ottenerla, se di contro il rischio è quello di soffocare il dovere di cronaca? Julie Posetti ha giustamente fatto notare come il concetto di “privacy” vari in modo culturalmente consistente di paese in paese, ciò nonostante alcuni stati non europei si sono potuti appellare a questa sentenza, come ad esempio la Russia. L’Unione Europea ha tentato di dar vita ad una situazione di equilibrio normativo, ma essa stessa raccoglie 28 paesi estremamente diversi l’uno dall’altro, per cui è possibile che casi giuridici simili vengano bloccati nei paesi scandinavi o in Gran Bretagna, mentre in Spagna e in Germania no. In ognuna di queste singole circostanze si è voluto eliminare un’informazione sostanzialmente vera, fattuale, la cui pubblicazione online andava però a compromettere il diritto al rispetto della vita privata e al trattamento dei dati personali del diretto interessato. È necessario dunque trovare un equilibrio tra rispetto della vita privata del singolo e l’interesse pubblico. Nella specificità italiana, dalla sentenza “Google Spain” al 27 ottobre 2015, sono stati cinquanta i casi in cui in Garante ha obbligato Google ad eliminare il link in questione, complessivamente un terzo delle richieste totali. Nel 2012 la Corte di Cassazione ha inoltre cercato di tracciare il confine di questo contenzioso, obbligando i giornali online ad aggiornare le vecchie notizie inserendo i successivi sviluppi delle stesse; in caso contrario, la notizia risulterà non vera, proprio perché non aggiornata.

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George Brock (© Roberta Cristofori)

Dunque il nodo etico da sciogliere è: diritto alla privacy vs. diritto alla libertà di espressione. In questo senso Marthoz si è espresso in modo severo, definendo il ‘diritto all’oblio’ una vera e propria minaccia, appunto, alla libertà di espressione. Il secondo nodo invece si colloca su un piano istituzionale: Corte di Giustizia dell’Unione Europea vs. Corte europea dei diritti dell’uomo. Per quanto stabilito da quest’ultima, cancellare articoli e notizie è vietato, poiché equivale a mistificare i fatti. Sarebbe come strappare qualche pagina scomoda dai libri di storia.
E la classe dei giornalisti come si pone di fronte al problema? Secondo quanto riferito da Marthoz, nessun giornalista negli ultimi anni ha mai rilasciato una dichiarazione pubblica nella quale affermerebbe di sentirsi limitato. Eppure, una buona parte delle URL eliminate sono proprio di natura giornalistica. Per questo motivo in Gran Bretagna la BBC aggiorna da anni una lista pubblica delle URL rimosse.

Insomma, la questione è evidentemente complessa. Per chiarirvi le idee posso consigliare tre cose: guardatevi il panel on demand, andate in biblioteca e prendete in prestito Gli abusi della memoria di Todorov, oppure consultate il volume Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, edito da Roma TrE-Press ed in free download.

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The Eternal Sunshine of the Spotless Mind

Roberta Cristofori

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