Alla fine dello spoglio, fu un plebiscito. Il 99.7% degli Austriaci ed il 99.08% dei Tedeschi avevano votato Ja! alla decisione già presa da altri di unire Osterreich e Deutschland in un’unica Grande Germania. L’Anschluss era stato ammantato da una patina democratica, ma la stessa scheda del referendum si mostrava contraria ad ogni principio legale e l’esercito nazista già marciava per le strade austriache da un mese. Esattamente una settimana prima del voto, si celebrò l’unione con l’ultima partita delle due Nazionali separate. Germania nazista ed Austria, anche se ormai era già Ostmark, si affrontarono sul terreno del Prater di Vienna. La partita la vinsero i padroni di casa, per lo sgomento dei gerarchi presenti. Matthias Sindelar, il miglior giocatore del decennio, prima non fece il saluto nazista al palco, poi irrise i giocatori tedeschi saltandoli numerose volte come birilli, per poi sbagliare volontariamente davanti alla porta. Alla fine segnò un gol e servì l’assist all’amico Sesta, che come lui non aveva omaggiato i gerarchi prima del fischio d’inizio, per il definitivo 2 a 0. Subito dopo la partita Sindelar annunciò il ritiro, per non dover giocare nella neonata nazionale. Questa è la storia di Matthias, il Mozart del Pallone, der Papierene (carta velina), uno tra i tre migliori calciatori del mondo ante seconda guerra mondiale. Guerra che comunque lui non vide, perché sei mesi dopo quella partita, nel gennaio del 1939, Sindelar venne trovato morto insieme alla moglie, un’ebrea italiana, ufficialmente ucciso da un malfunzionamento della stufa.
Se Matthias fosse nato esattamente un secolo dopo rispetto a quello che riporta il suo certificato di nascita, sarebbe ceco, di Kozlov, nel distretto di Jihlava. Ma quando Sindelar nacque, nel 1903, Kozlov si chiamava Kozlau ed era in Moravia, in pieno Impero Austro-Ungarico. Ma Kozlau aveva già dato tutto quello che poteva alla numerosa famiglia Sindelar, e quando Matthias aveva tre anni si trovò catapultato dalla pacifica Moravia al cuore pulsante dell’Impero: Vienna. Il padre riuscì a trovare lavoro come muratore, mentre la madre divenne lavandaia. Matthias così in casa cresceva con le tre sorelle, ma buona parte della sua giornata la passava per strada, a correre dietro a una palla di stracci insieme ad altri figli di immigrati moravi, boemi, ungheresi, italiani, dalmati, tirolesi, croati e bosniaci, accomunati spesso solo da qualche parola di tedesco e dal pallone. E ben presto moravi, boemi, ungheresi, italiani, dalmati, tirolesi, croati e bosniaci dovettero riconoscere che il migliore era proprio quel bambino magrissimo, dagli arti sproporzionatamente lunghi e dagli occhi celesti. Matthias rimase il re di quelle strade fino ai quattordici anni, quando a casa arrivò la notizia che il padre, partito per la Guerra, era morto in terre lontane, su un fiume che era solo un puntino sulla carta geografica. L’Isonzo si era così portato via la principale fonte di reddito della famiglia, e Matthias fu obbligato a lasciar perdere scuola e pallone e andare in fabbrica, per contribuire allo sforzo bellico e al mantenimento di madre e sorelle.
In realtà in fabbrica ci sta poco Matthias, perché viene notato da Karl Weimann, insegnante di ginnastica del quartiere, che pensa sia il caso di farlo giocare con una palla di cuoio, piuttosto che con stracci arrotolati. E Sindelar ripaga questa intuizione iniziando a giocare nelle giovanili dell’Herta Vienna, allenato proprio da Weimann. A 18 anni esordisce in prima divisione, e diventa praticamente da subito un titolare. Il 1923 però rischia di diventare il suo ultimo anno da calciatore, quando, tuffandosi in una piscina, cade male e si infortuna gravemente ad un menisco del ginocchio destro. Fortunatamente però Vienna è ancora piena delle grandi menti che l’hanno popolata negli anni precedenti, prima che diventasse una cattedrale nel deserto del frantumato impero. Viene operato dal dottor Spitzy, che sta sperimentando una nuova via operatoria per questo genere di traumi, e Sindelar può così tornare a calcare i campi da gioco. Memore però della disperazione che gli ha portato il solo pensiero di lasciare il calcio, per tutta la carriera porterò su proprio quel ginocchio una fasciatura elastica. Il fallimento dell’Herta lo trova ancora infortunato. Gli giungono però varie offerte, anche dalla Triestina, legata ancora a doppio filo alle vicende della sua ex patria. Matthias però non vuole lasciare la famiglia, e si accasa all’Austria Vienna.
Da lì, è una crescita esponenziale rapidissima. La sua squadra diventa una delle più forti d’Austria, e fuori dai confini nazionali i violetti conquistano due Coppe dell’Europa Centrale, la futura Mitropa Cup, il feto della Champions League. La competizione riunisce le migliori squadre di Italia, Austria, Ungheria e Cecoslovacchia, e Sindelar solleva il trofeo nel 1933 (contro l’Ambrosiana Inter, con tripletta nella finale di ritorno) e nel 1936. Proprio in questo torneo ha l’occasione di misurarsi con gli altri due migliori calciatori del decennio, Gyorgy Sarosi del Ferencvaros e Giuseppe Meazza dell’Inter, che giocò e segnò nella finale del 1933. Ma oltre ai successi con il club, Sindelar è il faro del Wunderteam, squadra delle meraviglie, la Nazionale austriaca.
Il c.t.era Hugo Meisl, dal 1912 alla morte, nel 1937, con l’unica interruzione per la prima guerra mondiale. Contemporaneamente fu anche numero uno della federcalcio austriaca, dirigente FIFA e anche per l’occasione arbitro. Fu il primo a sentire l’esigenza di una competizione per nazionali a livello continentale, proprio mentre la FIFA organizzava i primi mondiali. E chi avrebbe potuto giocare in questa competizione europea, se non proprio le squadre che avevano il diritto di gareggiare per la Coppa dell’Europa Centrale? Ad Austria, Italia, Cecoslovacchia e Ungheria venne aggiunta la Svizzera, mentre l’Inghilterra, convinta nel suo isolazionismo calcistico basato su una superiorità palese, secondo gli inglesi stessi, non partecipò. In realtà la Coppa Internazionale ad oggi sembra una coppetta un po’ amatoriale, senza un calendario definito, basato solamente sulla disponibilità delle singole nazionali. Tanto che la prima edizione durò tre anni, dal 1927 al 1930. Per un solo punto, quell’edizione inaugurale venne vinta dall’Italia sull’Austria. Il premio, una coppa di cristallo di Boemia di enorme valore, venne consegnato alla Nazionale italiana, ma durante i festeggiamenti cadde e si ruppe in mille pezzi. Leggenda vuole che Vittorio Pozzo, ct di quella nazionale, raccolse un frammento e lo abbia tenuto in tasca come portafortuna per tutti gli anni seguenti. Ma la nazionale di Meisl vinse le ultime quattro gare, contro Ungheria, Svizzera (2) e Italia, quest’ultima per 3 a 0. Cominciò proprio così il ciclo del WunderTeam, che riuscì in una serie di 14 risultati utili consecutivi, raggiungendo record mai valicati da altra nazionale. Gli austriaci non parteciparono alla prima edizione dei mondiali, ma l’enorme successo della Coppa Internazionale costrinse gli organizzatori a metterne subito la seconda edizione in programma, per il biennio 1931-32. E alla fine la nuova coppa andò tra le mani di Meisl e di Sindelar.
Proprio in virtù del grande successo, gli Inglesi decisero di invitare l’Austria a Wembley. Perché, quale modo migliore di esprimere la propria superiorità di battere i presunti migliori? E nel dicembre 1932 gli inglesi riuscirono a fermare il Wunderteam per 4-3, ma la classe e la qualità di Matthias Sindelar uscì da questo scontro rafforzata. Al contrario, nelle infinite storie che si incrociano su un campo, Jimmy Hampson, che segnò una doppietta per gli inglesi, non giocò più una partita con la nazionale, e nel 1938 sparì in mare durante un’uscita di pesca.
Al Mondiale 1934, l’Austria si presentò da favorita. Il “girone” di qualificazione vide il ritiro della Bulgaria dopo tre sconfitte su tre partite, e dato che rimanevano due squadre (Ungheria e proprio l’Austria) e c’erano due posti a disposizione, venne ritenuto inutile giocare le restanti partite. Alla prima partita, Sindelar e compagni superarono la Francia ai supplementari, davanti a 10mila persone dello stadio Municipale Benito Mussolini. I quarti riservarono già una sfida di lusso, tra Ungheria ed Austria, di scena allo stadio Littoriale di Bologna. Sarosi segnò su rigore, ma a passare fu l’Austria per 2 a 1. Ed in semifinale fu il turno dell’Italia padrone di casa, che stava dominando l’edizione della Coppa Internazionale, anche se nello scontro diretto il Wunderteam si era imposto per 4 a 2. In realtà però nei minuti iniziali l’italo argentino Luis Monti, che aveva già al collo la medaglia d’argento con l’Argentina ai precedenti mondiali, stese Sindelar, colpendolo duro (e forse mirando) sul ginocchio bendato. Le sostituzioni al tempo non erano previste, quindi Sindelar giocò a mezzo servizio per tutta la partita, permettendo all’Italia di vincere per 1 a 0, con un gol contestatissimo in sospetto fuorigioco. Il dolore fu tale che Matthias non giocò nemmeno nella finalina per il 3^ posto, vinta dalla Germania neonazista, mentre l’Italia vinceva il primo Mondiale della sua storia e Vittorio Pozzo accarezzava il frammento di cristallo nella sua tasca.

Era la fine, non scritta ma preannunciata, del Wunderteam e della parabola austriaca nel calcio. Dopo essere arrivata nuovamente seconda alla Coppa Internazionale, infatti, la nazionale perse il pezzo centrale del puzzle. Nel 1937 morì Hugo Meisl, creatore ed allenatore di quel sottile equilibrio che era il Wunderteam. E la definitiva coltellata alla schiena arrivò l’anno successivo. Il 1938 fu l’anno dell’Anschluss, con la definitiva sparizione dell’Austria e la “nascita” dell’Ostmark, e l’assimilazione del Wunderteam nella nazionale nazista. La partita di unificazione fu solo motivo di scandalo per i gerarchi austro nazisti, con Sindelar e Karl Sesta che segnarono, condannando la Germania alla sconfitta, e non salutarono le autorità alla fine della gara, tenendo ben stretto al fianco il braccio destro, mentre i loro compagni salutavano la tribuna e l’enorme effige di Hitler che campeggiava su di loro. Con l’Anschluss inoltre tutti gli ebrei vennero rimossi dagli incarichi, e con essi anche il presidente dell’Austria Vienna, Michael Schwarz. Ai giocatori la nuova dirigenza ordinò di non salutare l’ex numero uno della squadra, ma ancora una volta Sindelar rifiutò e poco tempo dopo incontrò Schwarz. “Il nuovo Führer dell’Austria Vienna ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle “Buongiorno” ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla.” In realtà però Sindelar non ebbe più occasione di incontrare Schwarz. Dopo il rifiuto di giocare con la nuova nazionale, che al Mondiale 1938 deluse le aspettative, Matthias non ebbe più occasione di scendere su un campo di calcio. Nel gennaio del 1939 venne trovato morto nell’appartamento che condivideva con la fidanzata, la milanese ebrea Camilla Castagnola, che aveva conosciuto durante una visita in ospedale al seguito delle botte ricevute da Monti nella semifinale mondiale. La causa della morte venne sbrigativamente indicata in un malfunzionamento della stufa, che aveva riempito la stanza di monossido e asfissiato i due. I documenti dell’autopsia e la stufa incriminata vennero presto fatti sparire, e alcune voci raccontano che in realtà quella stufa fosse spenta al momento della morte. In ogni caso, complotto o stufa autoaccendente, così sparì Matthias Sindelar, il talento più cristallino della prima vita del calcio, la cui unica colpa fu quella di giocare con la squadra sbagliata.
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