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Draghi in modalità Luke Skywalker alla ricerca della pietra filosofale |
Draghi e il rischio sovrano
Occhio, non voglio dire che Draghi con un report stia cambiando tutta la teoria finanziaria, però “non ci sono più le sicurezze di una volta”. In realtà, qui il problema più che teorico sarà tutto regolamentare e contabile. Allora, dal 1974 c’è una cosa chiamata Comitato di Basilea per la Supervisione Bancaria, che ha lo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria. Dal 1988 al 2010, il Comitato di Basilea ha emanato tre standard (Basilea I-II-III), che fungono da linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche. L’Unione Europea ha recepito nel 2013 con un regolamento (e successivi atti delegati/approfondimenti sull’applicazione della normativa da parte dell’Autorità Bancaria Europea) i dettami di Basilea II e III (Capital Requirements Regulation – di seguito, CRR[1]). Senza andare nel dettaglio, dico solo che nel sistema normativo attuale c’è un canale preferenziale per il trattamento delle esposizioni al debito sovrano, per cui sono richiesti requisiti di capitale praticamente nulli. Come fa notare il report dell’ESRB, ciò ha fatto sì che gli enti creditizi dell’area euro riempissero i loro portafogli proprio di questi titoli di stato. Naturalmente, il report dimostra empiricamente quello che più o meno tutti iniziavamo a sospettare, ovvero che il rischio sovrano esiste e lotta insieme a noi. In pratica, la probabilità di default (ovvero che la controparte risulti inadempiente) non è trascurabile per i titoli di debito sovrano (do you remember Mr Varoufakis?). Bene, con questo report Mario Draghi e il suo board intendono aprire una discussione sull’introduzione di requisiti patrimoniali più stringenti per quanto riguarda il debito pubblico. PGR (per grazia ricevuta, NdR), il report rimane solo un avvertimento e rimanda alla fine della crisi del debito ogni modifica alla normativa vigente. Infatti, pensare di implementare oggi le proposte dell’ESRB rischierebbe se non altro di vanificare l’effetto del quantitative easing.
Detto in soldoni, se tu immetti liquidità nel mercato e nel frattempo una norma richiede agli enti creditizi di tenersela come riserva, allora stai tranquillo che l’economia reale non riceverà troppi benefici da questa manovra. Che poi, a sfidare il quantitative easing dal primo ottobre prossimo ci penserà una cosa chiamata Liquidity Coverage Ratio, che – sempre nell’ambito della CRR – richiede alle banche di mantenere un certo livello di attività liquide per far fronte ai periodi di stress. Come riportato da Bloomberg, secondo l’Autorità Bancaria Europea alle banche mancherebbero una ventina di miliardi per raggiungere i requisiti di liquidità in vigore dall’ottobre prossimo. Ma questa è un’altra storia.
[1] Per le assicurazioni c’è una normativa simile chiamata Solvency II.