
Un caos schizofrenico tra razionalità open minded e istinti conservatori caratterizza l’intera opinione pubblica non appena è la questione femminile a finire nell’occhio di bue dell’interesse mediatico.
Tuttavia ci sono stati tre casi di cronaca avvenuti tutti nell’ultimo mese che hanno attirato la mia attenzione. Tre storie, tre città (Pesaro, Milano e Vicenza), tre donne sfigurate con sostanze acide.
Questo tipo di violenza non è certo una novità, anzi il “vetrioleggiamento” [l’atto di deturpare un individuo con il getto di vetriolo e altre sostanze acide] ha radici piuttosto antiche e trasversali in molte culture. I dati più recenti riportano una diffusione nei paesi in cui la legge islamica è applicata con maggior rigidità ma anche in America Latina. Oltre che in Italia, come testimoniano i giornali.
Sfigurare una donna con l’acido va oltre un puro atto di violenza, ha infatti una forte valenza simbolica. Da un lato l’obiettivo è la ferita, ma dall’altro l’acido distrugge la bellezza della donna, l’immagine e il volto sono spezzati definitivamente. Nonostante la chirurgia plastica sia ormai capace di tutto, per la vittima anche soltanto specchiarsi resterà a lungo un problema, il segno dell’acido, fisico e psicologico, è tatuato indelebilmente.
È lecito chiedersi se l’eco mediatica che hanno avuto queste notizie non sia la causa dell’attivarsi di un processo a catena per cui l’acido viene improvvisamente legittimato come nuova forma di “soluzione” di problemi spesso con ex compagni e compagne. Sicuramente si attiva un effetto di emulazione che fa presa soprattutto su individui che covano risentimento o rancore, razionale o immaginario, spesso in seguito ad un abbandono ritenuto ingiusto. Per questo tipo di persone, spiega lo psicologo Alessandro Meluzzi, l’acido si rivela essere il modo ideale per distruggere la vita affettiva di una persona che si ritiene abbia distrutto la propria senza un motivo. Tuttavia non raccontare questi fatti renderebbe attiva una forma di censura che non solo è proibita dalla legge, ma che poco si addice ad un regime democratico come quello italiano. Inoltre, la censura non è mai stata una modalità efficace per frenare i crimini, ma si è sempre rivelata soltanto una giustificazione per un atteggiamento “da struzzo” di media e pubbliche autorità che, in virtù di essa, ritenevano lecito tacere reati di ogni genere.
È possibile, invece, mutare il modo con il quale la cronaca viene sviluppata, riducendo spettacolarizzazioni e commenti connotati emotivamente, pubblicazione di fotografie spensierate e interviste con l’obiettivo di comprendere personalità e gusti della vittima. Sarebbe forse meglio porsi di fronte al crimine in maniera neutra, rispettosa. La violenza, spesso, parla da sola e non importa se la vittima fosse bella o brutta, giovane o vecchia: è sempre follia distruttiva e malata.

Forse qualcosa si sta muovendo e l‘attività di sensibilizzazione e mobilitazione di molte associazioni, come per esempio il comitato “Se non ora, quando?” o il flash mob “One Billion Rising”, sembra essere efficace dal momento che è riuscita a portare in primo piano questo problema, reale e concreto.
Una questione che va ben al di là delle “quote rosa” o dello stupore di fronte al numero di donne ministro o imprenditore, ma che sfiora l’immagine e il ruolo concreto della donna nella nostra società che deve poter essere libera. Una donna che teme di poter essere sfigurata con l’acido sul pianerottolo di casa o mentre va all’ospedale per una visita medica non è libera. E questo è, a mio avviso, inaccettabile.
Angela Caporale
@angisel18
Un pensiero su “Acido: il nuovo volto della violenza.”