Blackelectrospaghettisoulbrotherswestern, cioè i Gnarls Barkley, St. Elsewhere (2006)

Spesso mi sono fatto regalare album che, col senno di poi, piuttosto che raggiungere l’età della ragione (in senso lato) e sapere di averli ascoltati e avere anzi informato amici e parenti dei miei “gusti” per l’appunto con lo scopo di farmeli regalare. Una volta tanto, invece, l’ho azzeccata, come quell’unica volta in vita mia che riuscii a segnare un canestro della vittoria all’ultimo minuto, per giunta da tre punti (dopo averne sbagliati altri 3, tipo), coronando l’azione difensiva successiva con un fallo subìto. E’ una roba che capita raramente, e forse mi è capitata più spesso coi dischi che con lo sport, il che la dice lunga su almeno una delle due cose. ideale per distinguere ed eliminare gli inautentici fra le nostre conoscenze, per la gioia di noi Io, come tutti quanti, ancora guardavo Mtv, quando ancora Mtv si faceva guardare, almeno durante la colazione o la merenda e perciò, come tutti quanti, non avevo potuto fare a meno di incappare nell’heavy rotation di Crazy, un singolone col ritornellone, che però aveva qualcosa di speciale, capimmo subito che non era il Gotye di turno [ANACRONISMO! ANACRONISMO!]. Fu anche impossibile resistere al secondo (che poi non era tecnicamente il secondo, se non sbaglio, ma ai quei tempi ) singolo con video, quella che imparai essere una cover di un gruppo alternative/country-punk (sic), i . (oh, a proposito di nazi della pronuncia: a rigore bisognerebbe dire , dando vita a una enunciazione mistilingue tra inglese e francese, perché altrimenti per suonare che trovo tuttora godibile e stimolante: una banda di scalcinati insettacci colorati (un po’ alla tutti voglion fare jazz) corre dietro a una donna che rappresenta uno stranissimo incrocio fra una casalinga improbabile di , ammesso che questa stessa definizione non collassi nel suo primo termine (cioè, ‘casalinga improbabile di W.L. = casalinga + coniglietta di PB), rappresentando il marcio del mondo o forse solo la mente perversa dell’adolescente medio (a tal proposito, non è possibile non citare ). Un libero gioco fra perversione orrenda e innocente esplorazione, che si colloca su una linea rossa che va dal Bukowski di E una volta ricevuto e avuto il ciddì in quel colorato 2006 non potei fare a meno di dire “hm, bah, bih, boh, ochei, carino, belli i singoli, ma vabbè”. Non ero evidentemente pronto culturalmente ad apprezzare i Gnarls. Ho avuto occasione di riscattarmi, informandomi meglio e facendo tesoro dei brufoli e degli ormoni acquisiti e passati nel frattempo, col loro secondo e ultimo disco, del quale non parlerò. Da allora sono entrati nel mio personale olimpo di gente a cui voglio bene, anche in considerazione dell’esibizione del proprio fisico che fa Cee-Lo Green, che tra parentesi è quello che forse ricorderete per un singolotto di medio successo, di un personaggio che andrebbe ricordato e al quale forse dedicherò un episodio di Non essendo ancora riuscito a dire un cazzo dell’album in quasi una pagina, continuerò a non farlo, perché per capire i Gnarls Barkley è necessario prima avere una basilare conoscenza di Ennio Morricone, e in secondo luogo di Brian Burton, che è l’altrà metà dei GB. Perché un duo di ?hiphop sperimentale/pop/soul/ dovrebbe avere come grande antefatto storico uno di cui nelle redazioni di tutto il mondo è pronto il come Ennio Morricone, nominato e vincitore degli Oscar dell’Academy e compositore di qualsiasi cosa tu abbia udito in questo paese, dai celeberrimi spaghetti-western a qualche filmetto italiano moderno, ai b-movies all’italiana alle canzoni di Gianni Morandi? Perché (il moniker di Burton) ci è rimasto sotto, con Morricone, come dimostra un suo album più recente, veramente veramente stupendo, che prende il titolo di *, un italiano che ha lavorato a colonne sonore e cose di questo genere e che si fa foto da piacione, e in cui prestano la voce Jack White e Norah Jones, che non è necessariamente l’accoppiata che daresti per vincente, ma che in questo caso vince e stravince tutto. Ora, alla fine della prima cartella, siamo forse pronti per parlare di , per l’appunto, racchiude elementi palesemente e manifestamente morriconiani, senza che nessuno di noi, nei suoi splendidi (?!) sedicianni se ne fosse vagamente accorto. In primis, i cori e i mormorii, come anche la della parte di archi del ritornellone. Ovviamente tutto quanto risciacquato in Detroit – altrimenti col cavolo che ci finiva su Mtv. Forse il pezzo migliormente rappresentativo di questo felice incontro nato ad opera di Danger Mouse fra Motown, Morricone e di elettronica che personalmente mi fa sempre impazzire nei dischi, quando funge da spolveratina di parmigiano su un piatto di tagliatelle al ragù (cf. sparisce nella melma, visto che al suo interno ha persino Dennis-fucking-Hopper video del mio pezzo preferito di Elio e le storie tese Un pezzo molto interessante da questo punto di vista è il primo, , col suo sfanfarare isterico che accompagna un delirio mistico da predicatore alla con tanto di controcanti su un tappeto di loop di batteria pseudo-jungle [Scaruffi abbandona questo corpo!] Altri richiami all’affresco morriconiano di tristezza epica si hanno in e se pensi che questa chitarra spagnoleggiante è unita a un pattern di batteria del genere, non puoi fare a meno di pensare che il mondo sia un bel posto, in fin dei conti. è il brano dell’ascesi mistica con l’altissimo, o per meglio dire, col profondissimo – spiegherò cosa intendo più avanti. Improvvisi scatti e accessi di un coro demoniaco alternati a momenti di lucida enunciazione di una situazione dello spirito fatta allegoria geografica (un po’ alla Gorillaz del Mulino The hospital’s nickname, “St. Elsewhere,” is a slang term used in the medical industry to refer to lesser-equipped hospitals that serve patients turned away by more prestigious institutions. Posti in cui non manderesti tua suocera, insomma. St. Elsewhere è invece un luogo dell’anima o per meglio dire della psiche: infatti una tema ricorrente nei testi è quello della frammentazione dell’ego, della molteplicità del sé (vedi, didascalicamente, citerei Starobinski, uno dei più dei grandi letterati viventi e svizzeri allo stesso tempo, e i suoi o userei l’aggettivo “egoico” senza vergogna di me stesso, ma pensandoci bene non credo che lo farò. (ah, la preterizione è anche la mia figura retorica preferita). In molti altri pezzi sono presente bei versi di introspezione (la stessa . Degna di nota è l’interpretazione secondo cui, invece che essere una raffinata metafora per i mostri che il sonno della ragione cela quotidianamente all’io, sarebbe una canzone sulla disfunzione erettile – il che la renderebbe, oltre che , il secondo miglior pezzo sull’argomento dopo quella degli indimenticati (credo solo da me) Molte altre cose ci sarebbero da dire, su questi due notevolissimi personaggi e su questo stesso album, ma, per carità di patria, abbiamo deciso di rimandarle a un secondo appuntamento, sempre su questi schermi. Sempre che siate arrivati a leggere fin qua. *in modo postumo, vengo a sapere che Luppi ha suonato anche in questo disco, bass, non a caso, insomma. Inoltre, diversi degli stessi pezzi di St. Elsewhere contengono campionamenti da paladini della colonna sonora all’italiana, quali Armando Trovajoli, recentemente scomparso, o i fratelli Reverberi. insieme a David (uff) Lynch, prima del suicidio di Mark Linkous.