Chiedi chi era Tim Duncan

, oltre che essere un discreto travaso di sudore e una forma sottaciuta di spreco dei bacini idrici tramite bibite e docce, . Da qualche parte lessi che il rock’n’roll è puro mito e che la “realtà”, semplicemente, non esiste. Questi aforismi tornano in mente, se penso a Tim Duncan. Perché, se giochi in quella che forse è la lega che a livello globale più si è riadattata a palcoscenico, il tuo concetto di realtà non può essere lo stesso che ho io. Cosa distingue la realtà dal resto? Un argomento scettico che ha fatto la fortuna di molti filosofi e che Descartes ha risolto solo con Dio Lo sport, dicevo, offre dei modelli. Un musicista, se si ha un po’ di onestà con se stesso, non potrà mai essere un vero modello di vita. Certo, alcune vicende umane degli artisti sono vicinissime e o, dall’altro lato dello stesso arcobaleno, a qualche bluesman del Mississippi di inizio Novecento. Ma credo che sia quel ‘quasi’ che frega definitivamente la categoria degli artisti. Ogni sera, sul palco, ricreano lo stesso sogno, che in precedenza è stato sezionato, esaminato, ricomposto, abbellito in qualche studio di registrazione. Proviamo a dir di sì: la parte manifestamente finta è altrettanto finta, finché parliamo di superstar mondiali. La parte vera, beh, quella non può che essere improvvisata, davanti a tutti, per quanto ci sia del lavoro preliminare. Ha solo due fondamentali differenze rispetto a tutto quello che può capitare a un musicista sul palco: primo, non c’è una scaletta; secondo, c’è un numero uguale di altri tizi che faranno le stesse cose che farai tu per ottenere lo stesso risultato. , dopo averlo annunciato dodici mesi prima, è stato uno dei più grandi agonisti in questo senso. In particolare, ancor più di Jordan, aveva (che strana sensazione lascia questo imperfetto…) un pungolo personale rispetto a tutta la faccenda. Era lui a giocare. Sì, certo, in campo c’erano altri quattro sempre in gialloviola, ma lasciate perdere. lo chiamerò sempre per nome e cognome. “Veneranda e terrificante”, per Socrate, era la figura dell’anziano Parmenide, tanto che per descrivere il rapporto tra essi Platone usa quest’espressione omerica. E anzi, le parole che usa hanno stratificazioni fertili. Il termine che traduciamo con “venerando” deriva in realtà dal tema della parola “vergogna” ( confrontato con il lemma italiano, ambivalente nel suo significare una cosa tanto imponente o a causa del suo esser bella, al contrario, del suo essere tremenda Tim Duncan era così: alto, muscoloso ma dalle proporzioni eleganti, con gli occhi grandissimi e raramente accesi da un’emozione; . In questo modo, all’occorrenza si può essere rassicurati o intimoriti dalle stesse qualità. E infatti Tim Duncan ha capito tanto tempo fa che il silenzio mette l’interlocutore davanti al più atroce dei dubbi pratici. Il silenzio fa sì che tu non possa rispondere a una domanda che non ti è stata posta – e allora apro la bocca prima io così certifico di essere il più stupido tra i due? Ecco, questo è un modo in cui Tim Duncan può averci insegnato qualcosa. Niente , niente cazzate. Questo non significa che a volte non gli sia scappata qualche serena stronzata (“FIBA sucks”, dopo l’eliminazione degli USA ad alle Olimpiadi di Atene, a seguito di una partita in cui – pacificamente – gli furono sanzionati un po’ troppi falli tutto sommato veniali). – non la destinazione. Certo, quando hai vinto quello che ha vinto lui e battuto i record che ha silenziosamente superato lui, risulta un po’ più facile dirlo. Ma anche nelle vittorie Tim Duncan è stato misurato. Le emozioni erano semplicemente nascoste, come durante la sanguinosa sconfitta in finale nel 2013 con gli Heat: l’amarezza mise il primo mattone per la vittoria dell’anno successivo. Una roccaforte interiore animata e attiva è quella che il numero 21 ha voluto costruirsi e proteggere. “La gioia profonda ha più severità che gaiezza”, diceva un altro uomo che si barcamenava con sofferenza tra facciata pubblica (nel suo caso, la politica) e vita interiore. Non occorre aver letto Montaigne o gli stoici per capire Tim Duncan , ma può aiutare. Quel che si deve fare per gli altri, è bene che lo si faccia al meglio delle proprie possibilità e col garbo necessario, ma alla fine della lunghissima e routinaria giornata, si è soli. si capisce bene che non si potrebbe trovare interlocutore più amico e più arduo allo stesso tempo. Il dialogo migliore, però, è quello coi grandi del passato – Bill Russell o Seneca poco importa – per mettersi alla prova e finire col portare a casa una buona sensazione su quel che si è riusciti a ottenere col proprio impegno. Ora, non c’è da pensare che Tim Duncan fosse o sia un maestro di tale saggezza, ma parte della sua lezione forse consiste anzi che salire sul gradino più alto del palcoscenico non è sempre necessario , né per gli altri, né per sé. Anzi, quando una partita, specie quelle importanti, finiva male, questo bellissimo e austero edificio che ho tratteggiato si riempiva di grosse crepe, lasciando protagonisti e osservatori con una sensazione amara e stupefatta. A quel punto, di solito, leniva tutto quanto la grande sportività di Gregg Popovich, una sorta di compagno di vita, più che un allenatore: con una stretta di mano, un (raro) sorriso e qualche frase secca e tesa riconosceva la sconfitta e sembrava dire: “sì, ho fatto la faccia buia per un centinaio di gare quest’anno, ma ora è finita, c’è un mondo fuori che tutto sommato è più importante”. , quello dei commerci sinceri che meritano di essere coltivati al di fuori della calca. – non certo quella tecnica, vista la scioltezza con la quale eseguiva movimenti dal coefficiente di difficoltà elevatissimo. Infatti, soprattutto dopo i 33-34 anni, il degli Spurs era quello del risparmiare le energie di Duncan. Nonostante gli eccessi grotteschi (almeno una volta multati dalla NBA) in cui la cosa sfociava, “Non fare qualcosa che non sia fatto bene e che non ti consenta di dare il meglio di te quando conterà di più”, sembra questo essere il monito di ormai tanti anni di minutaggio col contagocce. Da qui si possono trarre almeno due conclusioni: primo, quello che governa lo sforzo personale è il Parlando di sport, pare chiaro che sì, perdio, ci sono i playoff, ci sono le finali, ci sono le gare 7. Questo forse è , dal momento che la vita non scorre altrettanto ben calendarizzata. E peraltro l’attendismo ha portato gli stessi Spurs a diverse sconfitte che, se maturate così, suonano male come uno sfottò malamente esibito prima di mandare un calcio di rigore in tribuna. L’unica risposta in questo caso? Due parole, tanto silenzio e ancor più lavoro. La cosa eccezionale è che ha trovato le forze necessarie e il contesto giusto per Non ho parlato di un sacco di cose riguardanti Tim Duncan, tra cui l’uso del tabellone, l’eredità di Kawhi Leonard, la nuotata con Pop nei Caraibi, la laurea in psicologia, la morte della madre, l’espulsione per aver riso troppo in panchina, la franchigia più vincente di sempre negli sport professionistici, le 19 stagioni con una maglia sola, il trio delle meraviglie con Parker e Ginobili… ma queste le potrete ovunque in questi giorni. O anzi, da qui al giorno infausto in cui l’umanità si scorderà del gioco della pallacanestro. Clicca per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Clicca per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)