Bicameralismo perfetto e conservatori imperfetti

Un dato di fatto inequivocabile: il bicameralismo perfetto è un’anomalia italiana. A quanto io sappia siamo l’unico paese in cui è presente una seconda camera con le stesse competenze della prima e composta alla stessa maniera se si escludono le sottili differenze nell’età dell’elettorato attivo e passivo. Semplicemente guardando ad altri stati membri dell’Unione Europea ci si può accorgere della peculiarità italiana da questo punto di vista. In Germania, per esempio, il Bundesrat è espressione dei singoli Lander, i corrispettivi delle nostre regioni. In Gran Bretagna la Camera dei Lord ha via via perso di rilevanza e oggi rappresenta meramente una camera di riflessione su alcuni temi sensibili. È importante specificare che in entrambi questi casi la fiducia al governo dipende esclusivamente dalla “camera bassa”: la House of Commons inglese e il Bundestag tedesco. Infine nei paesi scandinavi e in Portogallo la “camera alta” non esiste per nulla e non mi pare che qualcuno senta l’impellente bisogno di istituirla. Quest’anomalia ostacola l’efficienza e l’incisività del processo legislativo oltre ad essere completamente antieconomica. Tecnicamente una legge potrebbe essere rimpallata da una camera all’altra all’infinito, seguendo quel contorto e dispendioso meccanismo che in gergo viene definito “navetta”. L’origine storica del bicameralismo paritario è da inserire nel contesto della caduta del regime fascista e della fine della seconda guerra mondiale. I nostri padri costituenti disegnarono un sistema istituzionale sbilanciato a favore del legislativo, ovvero del parlamento, nei confronti dell’esecutivo, cioè il governo, per prevenire l’eccessiva concentrazione di potere che aveva contrassegnato il regime di Mussolini. In questo senso la missione è riuscita ma sono passati settant’anni e le priorità, come d’altronde la società, sono cambiate mentre l’architettura istituzionale è rimasta in questo frangente immutata. Oggigiorno gli imperativi di una società dinamica e in rapida mutazione impongono una maggiore rapidità decisionale e di policy making. Il senato è un attore con potere di veto (veto player) in un paese in cui ce ne sono già fin troppi di soggetti che frenano le riforme. Non c’è da stupirsi se quindi è da un po’ di tempo che si parla di superamento del bicameralismo perfetto. Già il governo di Enrico Letta aveva inserito nella sua agenda questa riforma istituzionale, sostenuta a più riprese dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. La necessità di porre fine a questa non invidiabile eccezionalità è in questi giorni promossa con inusuale vigore dal neo primo ministro Matteo Renzi. La sua proposta prevede la trasformazione di Palazzo Madama in una camera rappresentativa degli enti locali come regioni e comuni, con la permanenza dei senatori a vita e un nutrito numero di senatori nominati (ben 21) dal Capo dello Stato. Tutto all’insegna del taglio dei famigerati “costi della politica”. Sebbene io ritenga un po’ esagerato il numero dei senatori di nomina “presidenziale” e nutra qualche perplessità su una camera espressione dei comuni e delle regioni in assenza di un sistema federale, mi auspico che questa riforma vada in porto. Sarebbe certamente un passo in avanti per quanto riguarda l’effettività e la trasparenza della macchina dello stato. Il condizionale è d’obbligo visto che la strada per l’approvazione è ancora lunga e irta di insidie. Innanzitutto, in quanto riforma costituzionale, l’iter legislativo è più complicato e richiede una maggioranza più ampia. Inoltre questa riforma incontra l’opposizione di alcuni attori. Principalmente sono tre: i senatori attualmente in carica, alcune forze politiche e un movimento d’opinione di sinistra radicale che si esprime attraverso le voci di politici, celebri giornalisti e rinomati professori. I primi, i senatori, a partire dal presidente del senato Pietro Grasso, sono naturalmente preoccupati della loro sopravvivenza politica. Obbligarli a compiere questo harakiri politico potrebbe essere problematico. Le forze politiche ostili in parlamento sono molteplici. Sicuramente, manco a dirlo, i pentastellati voteranno contro. Perché? Quello probabilmente non lo sanno nemmeno loro. Diciamo per ostruzionismo a priori nei confronti del governo. Mi pare che anche Forza Italia non sia troppo convinta dalla progetto di riforma del senato, nonostante fosse stata individuata da Renzi come partner privilegiato sulle riforme istituzionali. Staremo a vedere nelle prossime settimane come si definirà il gioco delle alleanze. Per concludere lasciatemi però spendere due parole sui “conservatori di sinistra”. Quelli che puntualmente quando si mette in discussione la costituzione assumono posizioni barricadiere e intransigenti supportate da motivazioni inconsistenti. Parlo di giornalisti come Marco Travaglio o Alessandro Gilioli de “L’Espresso” o professori come Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. In parlamento è sostanzialmente SEL il portavoce di queste istanze. Difensori ad oltranza di uno status quo istituzionale che continuamente ci mostra le sue falle, le sue inadeguatezze, i suoi paradossi. In quest’occasione difensori di una camera fondamentalmente inutile. Difensori di un’assurda e anacronistica anomalia italiana. Una delle tante, da superare.