Mitski ebbasta

Mitski ebbasta

A rendere Mitski così interessante non sono i singoli elementi dei due album ‘veri’ ( , del 2016, seguito di altri due lavori autoprodotti realizzati durante gli studi al CUNY e prima di trasferirsi a New York). Non è la sua anima cosmopolita (è mezza giapponese e ha vissuto, dice Wiki, anche in Congo, Malesia, Cina e Turchia), in ragione della quale un pazzo su Genius ha provato a spiegarne la sensazione di sfruttando i criteri proposti dall’altrettanto folle Geert Hofstede, che così confrontano Giappone e USA: Non sono un esperto, ma credo significhi che se fai un torto a Mitski è poco probabile che ti perdoni – fonte: melodiche in contrasto con l’armonia su cui posano, che fanno venire in mente una St Vincent meno eccentrica, qualcosa del melodramma alla Morrissey, forse una qualche eco del kitsch del j-pop. Non è la voce, capace di un ampio range di dinamiche, come una Angel Olsen capace di forzare il canto quando necessario. È la combinazione di tutte queste componenti, che su Pitchfork nel recensire definiscono “Mitski’s very Mitski-ness”; la capacità di giocare su registri affini ma distanti creando un immaginario coeso, , riverberando in un continuo gioco di specchi testo e musica e livello letterale e metaforico. Ne dà un esempio perfetto la prima traccia dell’ultimo disco, in cui su una batteria elettronica ossessiva (che vuole ricordare il rumore di un treno, citato nel testo) si innesta una linea melodica insieme triste e annoiata (alla Lana Del Rey, volendo), a cui fa a sua volta da contraltare un sax reminiscente dei Morphine. La storia è quella di un amante che arriva portando dei biscotti e se ne va subito dopo il sesso e Aimee Mann. Se la musica spazia lungo le coordinate descritte sopra, i testi sono invece estremamente coesi: la prima volta (o il primo amore? O nessuna delle due cose?) dell’ (“But with everybody watching us/Our every move/We do have reputations/We keep it secret”) o (“Kisses like pink cotton candy/Talking to everyone but me/I’m staying up late just in case you come up and ask to leave with me”: come fa a non esplodervi il cuore); , magari nella speranza che siano gli altri a salvarci da noi stessi (“As I go to the party on my knees/Saying take it all please/And tell me no/Somebody please tell me no”, in (“I will go jogging routinely/Calmly and rhythmically run/[…] And then one warm summer night/I’ll hear fireworks outside/And I’ll listen to the memories as they cry”) o (“Today I will wear my white button-down/I’m tired of wanting more/I think I’m finally worn/For you have a way of promising thing” – e chi non ha avuto almeno una storia così?); il (“If I could, I’d be your little spoon/And kiss your fingers forevermore/[…] And you’re an all-American boy/I guess I couldn’t help trying to be your best American girl”); la (“I wanna see the whole world/ I don’t know how I’m gonna pay rent”). , che nonostante sia più acerbo a livello musicale assesta delle (“And I want a love that falls as fast/As a body from the balcony, and I want to kiss like my heart is hitting the ground”); la speranza di (non) essere lasciati di (“So please hurry leave me/I can’t breathe/Please don’t say you love me”); e quella che potremmo chiamare , divisa in Insonnia (“I don’t need the world to see/That I’ve been the best I can be, but/I don’t think I could stand to be/Where you don’t see me”, in ), Mancanza (“I don’t smoke/Except for when I’m missing you/To remember your mouth, how it tasted true”, in ) e Incazzatura (“Fuck you and your money/I’m tired of your money […]/You know I wore this dress for you/These killer heels for you”, in che la canzone italiana sembra incapace di rappresentare – con l’unica eccezione significativa, forse, di Maria Antonietta, su cui infatti nessuno sembra in grado di esprimere un giudizio neutro. Ci libereremo mai della misoginia sotterranea che fa cantare a generazioni dopo generazioni la storia di un uomo spaventato e un po’ offeso perché, dopo tanto tempo che non si vedono, lei ha scoperto il sesso – e scoperto che, uuuh, le piace? (sì, è Il concerto al Covo di venerdì 24 febbraio, unica data italiana, è aperto dai guidati da due chitarriste/cantanti portano a casa la prima parte di serata con un live che sarebbe stato benissimo in qualunque festival di punk californiano degli anni ’90: volumi criminali, assoli infuocati, stonature memorabili e un livello di altissimo. Difficile che passino alla storia della musica, ma se capitano dalle vostre parti vale la pena andarli a vedere. Il live di Mitski invece non rende pienamente giustizia alla sfaccettata produzione di Patrick Hyland. La scelta di andare in giro con una formazione a tre (lei al basso, un batterista e un chitarrista), senza una seconda chitarra o un synth a dare corpo, si traduce in , perché il chitarrista, dell’età apparente di dodici anni, spesso sembra capitato sul palco per caso, e manca delle caratteristiche che il genere richiederebbe (cioè, più che una buona tecnica, del buon gusto nella scelta dei suoni). , tratte quasi equamente dagli ultimi due dischi, faticano a comunicare tutto il loro potenziale emotivo. Non aiutano (pare che in prima fila la voce fosse totalmente coperta dalla batteria) e le scelte discutibili di equalizzazione che relegano il basso a un volume molto più degli altri strumenti. Il bis concesso in solitaria alla chitarra risulta più sensato, e chiude un concerto secco (circa un’ora) ma non efficace quanto avrebbe potuto. , è che messi a punto alcuni dettagli – tipo mandare via l’attuale chitarrista e sostituirlo con un pupazzo di gomma – . Il tour continua tra Europa e Stati Uniti per tutto il 2017, e ci sarà tempo e modo di lavorare sui difetti. ) Perché il Covo è il posto più bello del mondo, nonostante Perché era l’unica data italiana. Perché ci si sente sempre a casa. Perché si rivedono persone che si incontrano una volta al mese. Perché ai concerti seguono dj-set che, passato lo sconforto nel constatare che il revival ingloba le canzoni che ballavamo quando eravamo giovani (sarebbe a dire, dieci anni fa), allontanano tutti i momenti tristi della settimana. Perché sì.