I due anni di pandemia e restrizioni hanno comportato difficoltà per molti, e in particolare per chi già viveva in un contesto familiare o affettivo problematico. La rete nazionale Donne in Rete contro la violenza riporta, nel report che ha stilato per rappresentare la situazione della violenza di genere, che “la coabitazione giorno e notte con il violento, l’aumento dello stress e l’oggettiva difficoltà per le donne di rivolgersi ai servizi dedicati per chiedere aiuto, hanno portato a un aumento drammatico delle violenze”. Il dato preoccupante durante la Fase 1 della pandemia è stato il “calo dei nuovi contatti a fronte di un aumento di donne che avevano già contattato i centri”, a causa dell’impossibilità di riuscire a comunicare liberamente con i servizi di aiuto, nonostante le numerose modalità per chiedere soccorso e sottrarsi al controllo dei maltrattanti promosse dai centri antiviolenza. Un’indagine realizzata dal CNR e curata dal Progetto Viva mostra che durante la Fase 1 è stata registrata una contrazione dei nuovi contatti pari a circa il 50%.
In aggiornamento all’analisi effettuata in un nostro precedente articolo, viene di seguito riportato uno studio più recente, elaborato dalla direzione centrale della Polizia criminale del dipartimento della Pubblica sicurezza, in cui sono stati messi a confronto i dati raccolti nel primo semestre del 2021 con quello del 2020, allo scopo di “verificare come le fasi di limitazione alla libera circolazione dei cittadini alternate a misure meno restrittive, abbiano influito sull’andamento dei cosiddetti reati spia”. Con reati spia si intendono quei delitti “espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, diretta contro una donna in quanto tale”: sono gli atti persecutori, i maltrattamenti familiari e conviventi e le violenze sessuali. Considerando la totalità dei reati spia commessi nei periodi gennaio-giugno 2020/2021, si osserva che a distanza di un anno l’andamento subisce un decremento pari all’8%, tuttavia l’incidenza delle vittime donne rimane invariata, attestandosi al 79%.
Il trend registrato nel primo semestre del 2021 per i maltrattamenti familiari e conviventi ha raggiunto i valori più elevati nei mesi durante i quali abbiamo vissuto la “zona rossa” e le restrizioni, ossia marzo (1.793) e aprile (1.732), riscontrando una diminuzione dal mese di giugno (1.489). Nel 2020 invece l’andamento era stato decrescente fino al mese di marzo (1.550), per poi risalire nei seguenti mesi fino a giugno (1.981) superando i valori che si sarebbero registrati l’anno successivo.
La risposta dei servizi alla crescente domanda di aiuto
In un contesto di maggiore bisogno, i servizi operanti nella cosiddetta “prima fase di intervento” (consistente nella presa in carico delle donne sopravvissute alla violenza), quali centri antiviolenza e case rifugio, hanno dovuto far fronte a una crescita significativa delle richieste d’aiuto da parte di molte donne, arrivando spesso al limite delle proprie capacità. Gli enti coinvolti nella rete territoriale si sono così trovati anch’essi in difficoltà nel gestire le numerose domande. Questa esperienza è stata vissuta nell’alto vicentino, a Thiene, dove le CR (case rifugio) hanno fatto richiesta ai servizi sociali del comune di individuare una nuova sistemazione per alcune donne e le loro figlie, affinché potessero condurre le proprie vite in autonomia, lontane dalla violenza del maltrattante. Per mancanza di spazi che potessero rispondere a questa esigenza, il comune di Thiene ha richiesto e attivato una collaborazione con una Società Cooperativa Sociale che ha sede nella provincia di Verona. Si tratta del Servizio di San Vincenzo De’ Paoli, realtà già da tempo impegnata ad assistere persone richiedenti asilo (nello specifico donne e bambini), che ha così avviato lo scorso anno il progetto “Il filo di Arianna” rivolto a donne e minori in difficoltà, e nello specifico sopravvissuti alla violenza.
“Il progetto proposto ha garantito un servizio attivo nel territorio circostante rivolto alla “seconda fase”, consistente nell’accompagnamento all’autonomia della donna e dei suoi figli”, ci spiega Massimo Cassan, pedagogista e responsabile del progetto casa-lavoro “Il filo di Arianna”. Sono infatti il CAV (centro antiviolenza) di Schio e le CR, a cui inizialmente si sono rivolte le donne, che mediano le loro richieste ai vari enti con cui collaborano per la fase successiva. Il programma consiste innanzitutto nell’individuazione di appartamenti in cui le persone ospiti possano acquisire un discreto benessere psico-fisico, riprendendo consapevolezza del proprio ruolo e delle esigenze dei bambini e ricostruire un progetto di vita. Al momento in cui scriviamo gli appartamenti gestiti sono tre e accolgono due donne con le loro bambine.
Il progetto si occupa anche di reinserimento lavorativo, grazie alla predisposizione di un laboratorio occupazionale sartoriale, attivo da pochi mesi in collaborazione con i Gruppi di Volontariato Vincenziano-A.I.C Italia Consiglio Cittadino – Vicenza Onlus e Casa Belfiore Cooperativa sociale di Schio (VI), che ha come finalità la (ri)acquisizione della cultura del lavoro, la puntualità, il comportamento professionale, la capacità di organizzazione, ma anche la consapevolezza delle proprie potenzialità e competenze. Inoltre, la cooperativa orienta la donna nella ricerca di un lavoro, stilando con lei un percorso individualizzato che consideri sia le sue difficoltà che le capacità da valorizzare. Vengono organizzati dei corsi per imparare la lingua destinati alle donne straniere e richiedenti asilo, ma anche di formazione per apprendere competenze più specifiche (cucina, laboratori manuali, …). Infine, si prepara con le donne il curriculum vitae con il fine di contattare enti, aziende e agenzie interinali del territorio sulla base delle loro abilità, con lo scopo di predisporre le condizioni per la realizzazione di tirocini o esperienze affini di inserimento/reinserimento lavorativo. Questo servizio conta moltissime richieste in quanto non è rivolto solamente alle donne accolte negli appartamenti che la cooperativa gestisce, ma è aperto anche a ospiti disoccupate di altre strutture.
Massimo Cassan sottolinea che alla base di questo percorso vi è il riconoscimento del lavoro quale strumento che permette alle donne di essere, in primo luogo, svincolate dalla dipendenza economica dal partner e quindi la possibilità di fuoriuscire dalla violenza, e in secondo luogo di potersi integrare nel tessuto economico e sociale per consolidare il proprio progetto di autonomia. Inoltre, Cassan spiega che pur trattandosi di una realtà recente “è sempre più richiesta all’interno della provincia – purtroppo”, aggiunge, in quanto l’esasperazione del fenomeno indotta anche dalla pandemia ha implicato un aggravamento della situazione a cui spesso gli enti non riescono a far fronte. Lo stesso Servizio di San Vincenzo De’ Paoli, ad esempio, riscontra molte difficoltà nell’individuazione di appartamenti in cui sistemare altre donne in condizioni di fragilità.
Sostegno finanziario per la libertà e l’autonomia
La prossima espansione di tale servizio è simbolo sicuramente di un riconoscimento di questo percorso e dei primi risultati positivi che si sono raggiunti. Massimo Cassan infatti considera positivamente la collaborazione tra gli enti coinvolti nell’iter di presa in carico e accompagnamento all’autonomia delle donne sopravvissute alla violenza (CAV, CR, servizi sociali e le altre cooperative di pronta accoglienza). Anche i servizi sociali e della tutela minori, pur trattandosi di servizi generali a differenza dei CAV e CR, rispondono attivamente nel territorio secondo le proprie capacità e disponibilità finanziarie. Una difficoltà però che spesso emerge anche nell’ambito operativo sono le scarse risorse per finanziare il servizio, che richiede comunque una retta, seppur non si tratti di un sostegno 24h come avviene nelle CR.
Anche le risorse messe a disposizione dal governo durante la pandemia tramite lo strumento del reddito di libertà per le donne sopravvissute alla violenza risultano esigue e insufficienti per far fronte al numero di richieste. Massimo Cassan racconta che nell’alto vicentino la disponibilità si era già esaurita a dicembre 2021, e molte richiedenti erano state messe in lista d’attesa per l’anno successivo.
Si tratta dunque di effettuare la scelta politica di “orientare gli investimenti nell’ottica di una cultura del rispetto della donna e del diverso”, afferma il pedagogista Cassan, prevedendo dei percorsi di prevenzione, piuttosto che disporre solamente (insufficienti) strumenti di protezione. Il limite di violenza viene già oltrepassato e violato nel momento in cui le donne si rivolgono ai servizi generali (servizi sociali, forze dell’ordine, pronto soccorso) e specializzati (CAV e CR). È necessario dunque focalizzare l’attenzione sul pilastro della prevenzione, promosso dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, a partire dall’educazione nelle scuole rivolta alle future generazioni in modo tale da comprendere e abbracciare il rispetto dell’altro. Inoltre, si auspica il coinvolgimento dei sindacati nell’attività di cooperazione tra i vari servizi in risposta al fenomeno della violenza di genere, affinché anche nella cultura del lavoro e nella quotidianità di ognuno si possa sradicare, seppur gradualmente, la cultura sessista e patriarcale che la pandemia ha esasperato. Infine è doveroso rafforzare la presenza dei centri e servizi per uomini autori di violenza e finanziare maggiormente il lavoro che vi si compie.
Debora Visentin
Fonte immagine di copertina: Abbanews.eu
2 pensieri su “Pandemia e violenza di genere: il punto della situazione dopo due anni”