Nel primo articolo dedicato alle seconde generazioni cinesi in Italia, abbiamo affrontato la questione dell’identità e il problema delle discriminazioni. Abbiamo anche visto, però, che queste sono solo alcune delle difficoltà che i giovani di origine cinese incontrano nel nostro Paese. Quello della cittadinanza, per esempio, è un tema a cui va dedicata un’attenzione particolare, dato che i residenti di origine cinese non possono ottenere la cittadinanza italiana senza rinunciare a quella cinese. La legge della Repubblica Popolare Cinese, infatti, non ammette la doppia cittadinanza. Questo significa che, al compimento dei 18 anni d’età, i cinesi residenti in Italia sono posti di fronte a una scelta: rimanere cinesi o diventare italiani. La questione potrebbe risultare semplice per coloro che non hanno nessuna intenzione di tornare in Cina, ma questa sicurezza è difficile da avere, soprattutto a 18 anni. In qualsiasi caso, si tratta di rinunciare a metà della propria identità, almeno sulla carta.
Cos’è l’hukou?
I cittadini cinesi che vivono al di fuori della Cina devono anche tenere conto del sistema dell’hukou. Hukou (户口) significa “residenza familiare” ed è un sistema di certificazione di residenza istituito nel 1958 per tenere sotto controllo le migrazioni dei cittadini all’interno del Paese e per controllare in maniera centralizzata la forza lavoro. Questa istituzione vincola le persone a un determinato luogo: per spostarsi dalla campagna alla città o viceversa c’è bisogno di un permesso. In parole povere, è un modo per discriminare i cinesi che abitano nelle città e quelli che vivono nelle zone rurali. Infatti, il problema più grande dell’hukou è che ostacola l’accesso al welfare. Dato che i programmi di welfare sono finanziati a livello locale, a persone provenienti da zone diverse della Cina spettano diversi diritti sociali.
Come si collega l’hukou ai cinesi di seconda generazione in Italia e alla cittadinanza?
Dato che la registrazione a tale sistema è obbligatoria per tutti i cinesi, anche quelli che abitano all’estero sono tenuti, al compimento della maggiore età, a recarsi in Cina per fornire i propri documenti e le proprie generalità. Se non lo facessero e in futuro decidessero di tornare a vivere in Cina, non avrebbero diritto a benefici come l’assicurazione sanitaria, la pensione e la maternità. La rinuncia alla cittadinanza cinese significherebbe non avere più un futuro in Cina. Allo stesso tempo, la rinuncia della cittadinanza italiana significherebbe non solo rinunciare a una parte della propria identità, ma anche rinunciare a diverse opportunità di lavoro e di studio.
Ne abbiamo parlato con tre studentesse che hanno alle spalle storie e scelte diverse, ma che concordano tutte su una cosa: la possibilità di mantenere entrambe le cittadinanze sarebbe l’opzione migliore, sia perché faciliterebbe il processo burocratico, sia perché tutte e tre si sentono sia cittadine cinesi che cittadine italiane.

VALENTINA WANG
A 18 anni, Valentina ha deciso di fare richiesta per diventare una cittadina italiana, ma è stata una scelta molto sofferta. “Appena sono diventata maggiorenne è arrivata una lettera a casa per informarmi sulla possibilità di prendere la cittadinanza italiana. Ci ho messo quasi un anno per prendere una decisione perché sia rinunciando alla cittadinanza cinese che a quella italiana avrei cancellato una parte di me. Mi è stato detto che volevo la cittadinanza italiana per sentirmi accettata, per avere una risposta pronta per tutti coloro che mi dicevano che non ero abbastanza italiana per loro a causa delle mie origini. Alla fine, grazie a mia mamma, ho capito che le mie origini non mi avrebbero mai abbandonata. Ho scelto di diventare una cittadina italiana perché è improbabile che torni in Cina per trasferirmici definitivamente. Inoltre, ora ho accesso auna serie di vantaggi: posso votare, posso muovermi liberamente all’interno dell’Unione Europea e posso partecipare ai concorsi pubblici”.
Valentina dice di ritenersi fortunata perché “la cittadinanza è un privilegio. Io non ho avuto problemi, ma spesso il processo è molto più complicato per tanti altri residenti di origine straniera come me”.
Tuttavia, la rinuncia alla cittadinanza cinese comporta delle conseguenze: “andare in Cina non è più facile come prima. Se succedesse qualcosa ai miei nonni, per esempio, i miei genitori potrebbero prendere il primo volo per andare da loro dato che hanno la cittadinanza cinese, mentre io dovrei aspettare di ottenere un visto. Inoltre, è come se avessi tagliato una parte di me. Prima di prendere la cittadinanza italiana sul mio passaporto c’erano scritti sia il mio nome cinese che quello italiano. Ora il mio nome cinese è sparito. Il nome per i cinesi ha un significato profondo, non è facile rinunciarvi”.

CHEN JIANING
Jianing è una studentessa nata in Cina che possiede la cittadinanza cinese. Quando ha compiuto 18 anni si è ritrovata a dover scegliere tra due opzioni: italiana o cinese? “Nonostante io sia nata in Cina, non ho avuto molti contatti con persone cinesi durante la mia permanenza in Italia, forse per questo motivo mi sentivo più italiana. Non volevo neanche imparare il cinese. Poi crescendo mi sono avvicinata sempre di più alla cultura del mio Paese d’origine e ho scelto anche di studiare la lingua all’università. Appena sono diventata maggiorenne, ho iniziato a informarmi per ottenere la cittadinanza italiana. Ho capito subito che il processo sarebbe stato costoso e molto lungo, tenendo conto anche del fatto che avrei dovuto tradurre tutti i documenti dal cinese all’inglese. Ho scoperto che si stava discutendo una legge che avrebbe permesso di ottenere la cittadinanza italiana a tutti coloro che hanno frequentato la scuola o comunque un corso in Italia, ma non è andato in porto. Ho scelto quindi di mantenere la cittadinanza cinese per questioni burocratiche e logistiche. Se ottenessi la cittadinanza italiana, per me sarebbe quasi impossibile riottenere quella cinese nel caso in cui cambiassi idea in futuro. I miei genitori mi hanno un po’ influenzata in questa scelta: hanno fatto notare tutti i problemi che ne sarebbero derivati. Per esempio anche semplicemente andare a trovare i miei parenti in Cina diventerebbe un problema perché dovrei prima ottenere il visto. A 18 anni sono dovuta tornare in Cina per la prima volta da quando l’avevo lasciata per la questione dell’hukou. All’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse, ma i miei genitori mi hanno detto che era indispensabile che andassi ad aggiornare la mia carta d’identità. Conosco una persona che non è tornata e ora, oltre a non avere la cittadinanza italiana, è come se non avesse un’identità neanche in Cina”.

LIN SHAN
Anche Shan ha la cittadinanza cinese, ma è nata in Italia. Una volta compiuti i 18 anni Shan non ha nemmeno provato a ottenere la cittadinanza italiana. “Non sono sicura di voler fare questo passo, almeno per ora. Se la Cina permettesse la doppia cittadinanza, allora sicuramente farei richiesta per quella italiana. Dato che le cose stanno così, preferisco tenere quella cinese perché se un giorno in futuro decidessi di andare a vivere in Cina non avrei problemi. La situazione rimane comunque complicata. Per esempio, non posso fare domanda per fare l’overseas all’università di Pechino perché accettano solo studenti stranieri e io sulla carta risulto cinese a tutti gli effetti”.
Shan ci racconta che ha un gemello che, al contrario di lei, ha deciso di diventare un cittadino italiano. “Io ci ho messo un po’ per avvicinarmi alla cultura cinese, ho iniziato guardando le serie tv per poi scoprire molti altri aspetti. Per mio fratello le cose sono andate diversamente, questo avvicinamento non c’è mai stato. Pensa che non si sentirebbe ben integrato se andasse in Cina. I miei genitori non hanno visto questa cosa di buon occhio, anche perché lui è un maschio, quindi è colui che dovrebbe portare avanti il nome della famiglia secondo il loro punto di vista. Allo stesso tempo, i nostri genitori erano consapevoli dei benefici che la cittadinanza italiana gli avrebbe portato, nel mondo del lavoro e non solo”.
Anche Shan, così come Jianing, a 18 anni è dovuta tornare in Cina per l’aggiornamento dei documenti per la registrazione della residenza. “È stato un processo faticoso e dispendioso, non solo per il viaggio in sé, ma anche perché abbiamo dovuto tradurre tutti i documenti in inglese. Tuttavia, era necessario. Senza hukou, non potrei avere una casa e non potrei sposarmi se tornassi in Cina”.
Carlotta Favaro