Vasto, una riserva naturale e una zona industriale: la difficile convivenza a Punta Aderci

VASTO – Punta Aderci, una riserva naturale a nord della città abruzzese di Vasto. Uno splendido paesaggio che ha alle spalle una zona industriale, le cui emissioni potrebbero alterare l’habitat e danneggiare la salute umana. Il legame tra area industriale e riserva naturale passa attraverso il porto, nodo logistico per le aziende, e “artefice” della spiaggia di Punta Penna, località marina che oggi fa parte della riserva di Punta Aderci.

La zona del Porto di Vasto. Coordinate google maps qui.

Per capirne il presente, è necessario fare prima un passo indietro.

Creare un porto per combattere la disoccupazione

Sia sotto il Regno borbonico che sotto il nascente Regno d’Italia, i tentativi dei politici locali per ottenere dalle autorità centrali i fondi per la costruzione del porto furono vani, per due motivi: la lontananza da un centro abitato e la marginalità del luogo rispetto all’Abruzzo nel suo insieme. Come scrive lo storico Costantino Felice: «Erano aspetti rilevanti in un’epoca in cui le comunicazioni via terra – e quindi i raccordi con il mare – non erano facili». Nel 1907 Beniamino Laccetti – mercante e industriale napoletano, vastese d’origine – introduce una strategia nuova per ottenere i finanziamenti per la costruzione del porto, ovvero  puntare sugli investimenti privati più che sui fondi pubblici inquadrati in un programma statale. Infatti, la sua proposta consisteva nella concessione da parte dello Stato di una «zona franca» per costruirvi con capitale privato il porto. La concessione sarebbe durata trent’anni, dopodiché il porto sarebbe passato allo Stato. Inoltre, secondo Laccetti, la costruzione del porto avrebbe messo in moto una serie di investimenti volti alla creazione di una zona industriale. 

La proposta dell’imprenditore napoletano viene respinta dal ministro dei Lavori pubblici dell’epoca, Pietro Bartolini, ma non cambia il punto di vista degli amministratori locali che riescono a ottenere dal Ministro dei lavori pubblici la classificazione di Vasto come porto militare, che comporta l’arrivo di 650.000 lire da parte dello Stato (legge per le nuove opere marittime del luglio 1907). Inoltre, il deputato Francesco Ciccarone, eletto nel collegio di Vasto, ottiene dalla “Commissione speciale dei porti e dei fari” il parere favorevole al progetto del faro, che nel 1912 viene terminato ed entra in funzione.

Il porto di Vasto, circa 1920. Fonte: Vastocard

Dopo la prima guerra mondiale, il ministro dei Lavori Pubblici Vincenzo Riccio, per ragioni economiche dello Stato, declassa il porto di Vasto dalla prima alla seconda categoria (quarta classe), che significava costruire il porto a spese del Comune, non dello Stato. Il risultato è un faro con un porticciolo formato dal molo di ponente, la banchina e il retrostante piazzale. I bombardamenti della  Seconda Guerra Mondiale danneggiano gravemente il porto e il faro. Il senatore vastese e democristiano Giuseppe Spataro riesce ad assicurarsi dal Ministero dei Lavori pubblici l’inserimento del porto di Vasto in prima categoria come porto rifugio, ottenendo un finanziamento statale di 300 milioni di lire. Il porto e il faro vengono ricostruiti e nella zona si insediano le prime industrie: l’industria di fertilizzanti Puccioni e l’industria del legno Vastarredo. La prospettiva di Laccetti comincia a prendere forma, come scrive lo storico Costantino Felice: «Il fatto che la sua parziale realizzazione [il porto] avesse già favorito l’installazione in loco di alcune aziende e di altre ne stesse richiamando l’interesse stava a indicare che il suo ruolo poteva effettivamente consistere, come almeno da Beniamino Laccetti in poi si era preconizzato, nel fungere da volano per l’industrializzazione della zona.»

Il porto di Vasto, circa 1950. Fonte archivio online di Ida Candeloro.

Con l’arrivo del boom economico degli anni ‘60 i porti italiani diventano strategici per amministrare l’aumento del flusso dei traffici commerciali: prendendo un dato di quegli anni, i porti gestivano il 90% delle importazioni dall’estero e il 60 % di esportazioni. Non erano attrezzati adeguatamente per farvi fronte. Di qui l’esigenza di uno schema nazionale di potenziamento dei porti. In questo programma rientra anche Vasto, ma ottiene poco. Infatti,  l’ambizioso progetto dell’ingegner Guido Ferro – che prevedeva una struttura non solo capace di comunicare con la nascente zona industriale, ma anche di diventare un punto di riferimento per i traffici dell’Adriatico centrale – viene ridimensionato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici. Alla fine viene realizzato solo l’allargamento della banchina commerciale.Nonostante la complicata vicenda del porto, in quegli anni la nascente zona industriale si sviluppa in vari settori: il legname, la meccanica, la chimica industriale. Inoltre, il molo di levante, deviando le correnti, contribuisce a formare la spiaggia di Punta Penna. L’agglomerazione della sabbia e la formazione delle relative dune alle sue spalle ha dato vita a un ecosistema in continuità con il promontorio di Punta Aderci.

Il porto di Vasto, circa 1960. Fonte archivio online di Ida Candeloro.

Da speranza economica a pericolo ambientale: la nascita del movimento ambientalista

Nel 1972 e nel 1981, la proposta di due progetti patrocinati dall’Enel nell’area di Punta Aderci cambiano il sentimento della popolazione locale verso il porto: da speranza a pericolo. Il primo progetto è la realizzazione di una  centrale termoelettrica a olio combustibile, mentre il secondo prevede una centrale a carbone. Entrambi i progetti sono legati a finanziamenti  per la ristrutturazione e il potenziamento del porto, ma vista la potenziale minaccia di inquinamento e devastazione del paesaggio che potevano comportare queste due centrali, le nascenti associazioni ambientaliste organizzano manifestazioni e convegni che portano alla luce i potenziali pericoli.

Si afferma così a Vasto una cultura ecologista che sensibilizza non solo l’opinione pubblica, ma anche la politica locale. Infatti, nel settembre del 1981 tutte le forze politiche del Consiglio comunale respingono i due progetti. Sull’onda di questa consapevolezza, e grazie al lavoro di associazioni ambientaliste – in particolare, Italia Nostra e WWF – nel 1998 Punta Aderci diventa zona di riserva naturale e dunque un’area protetta.

Qual è il problema oggi: la zona industriale e la riserva convivono male  

Oggi, la Riserva di Punta Aderci è un fiore all’occhiello dell’Adriatico per le sue qualità paesaggistiche. Infatti, la spiaggia della Riserva ha ottenuto il riconoscimento della bandiera blu. C’è però un problema di convivenza con l’area industriale: se sulla carta sembra che sia tutto in regola, da diversi anni sia le associazioni ambientaliste e sia gli abitanti del posto – non solo, anche i turisti e i cittadini frequentanti la spiaggia d’estate – lamentano odori nauseabondi.

In altri termini, c’è puzza nell’aria. Ne abbiamo parlato con Nicholas Tomeo di Forum Civico Ecologico e con Pietro Marino di Agenzia Marittima Vastese e Presidente di OASI (Occupazione, Ambiente, Sviluppo Industriale). Tomeo non ha una spiegazione a riguardo “perché manca uno studio che dimostri la provenienza di questi odori”. Di diverso avviso è Marino, che riduce gli odori a un problema di ordinaria amministrazione: “le industrie della zona che lavorano con i materiali organici ogni tanto possono incontrare problemi come un filtro tappato che non riesce ad amalgamare bene la materia prima. Però sono problemi risolvibili in un’ora, il tempo di aggiustare l’impianto”. 

Entrambi sono d’accordo sul monitoraggio costante dell’aria, dell’acqua e del suolo per avere un quadro complessivo e chiaro della situazione che l’ARTA (Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente) potrebbe fornire, ma che, a detta di Nicholas Tomeo, non riesce perché non viene finanziata adeguatamente: “è un ente pubblico che vive di fondi pubblici. Questi enti vanno finanziati perché fanno quei monitoraggi che servono a garantire la certezza delle condizioni ambientali, atmosferiche, del suolo, delle acque e così via. Quando questi enti non vengono finanziati a dovere, è ovvio che anche i monitoraggi che fanno non possono garantire quella completezza di dati che serve a fare in modo che i territori abbiano piena contezza della situazione. La vera questione è che a oggi manca un dato certo che ci dica da dove questi odori arrivano”. 

Nicholas Tomeo. Fonte: soggetto.

Nonostante questo punto d’incontro, il problema che Pietro denuncia non è l’incompatibilità della zona industriale con la riserva, ma la mancata collaborazione con il Comitato di gestione della Riserva: “noi come associazione OASI [gruppo industriale, ndr] ci siamo sempre proposti di mettere su una civile e pacifica collaborazione con il Comitato di Gestione della Riserva – ad esempio, la strada d’accesso alla Riserva era una strada privata di un nostro associato che l’ha data in comodato d’uso gratuito al Comune – ma i membri del Comitato con noi non vogliono collaborare e non ci vogliono dentro il Comitato. Per chiarire, quando l’anno scorso c’è stato l’incendio che ha bruciato la vegetazione collinare della riserva, noi ci siamo resi disponibili a contribuire economicamente per risolvere il problema. Anche in questo caso, il Comitato non ha voluto ricevere il nostro aiuto. Ciò vuol dire che loro hanno un forte pregiudizio nei nostri confronti”. 

Pietro Marino. Fonte: soggetto.

Inoltre, c’è un’altra questione che divide: il progetto dell’ampliamento del porto. Per Pietro Marino è un’opportunità di sviluppo del territorio perché il porto “si trova in una zona industriale importante: Val di Sangro, Vastese e Alta Puglia con quasi 30.000 occupati e 800 aziende. Quindi l’ampliamento del porto può contribuire allo sviluppo economico della nostra regione e delle regioni vicine. Inoltre, ridimensionarlo ai soli posti di lavoro è riduttivo perché è una risorsa del territorio e di tutti coloro che ci lavorano intorno. Ad esempio: se la Sevel – stabilimento automobilistico Stellantis con sede ad Atessa – potesse esportare i furgoni dal porto di Vasto, risparmierebbe 300 euro a furgone che attualmente paga per trasportarli dal porto di Salerno. Non possiamo rinunciare al nostro futuro per farci guidare dal pensiero ambientalista, ovvero smantellare il lavoro”.
Le associazioni ambientaliste propongono uno sviluppo territoriale diverso. Nicholas Tomeo sostiene infatti che “oggi, lo sviluppo territoriale, basandosi sulle ricchezze ambientali, dev’essere di tipo distrettuale e sostenibile, in termini ecologici, economici e sociali” perché “l’industrializzazione e l’espansione urbanistica, comportando l’accentramento in poche città dei servizi essenziali di cui le persone necessitano, cioè sanità, istruzione e mobilità – oggi anche la digitalizzazione – hanno creato interi territori marginalizzati e portato le aree interne e le aree agricole a spopolarsi” e il territorio Vastese non è stato immune a questi fenomeni. Tomeo aggiunge: “Possiamo dire che le zone industriali abbiano portato ricchezza per i nostri territori? E poi, quale qualità del lavoro? Dunque se oggi crediamo ancora che lo sviluppo territoriale passi per lo sviluppo delle zone industriali, commettiamo lo stesso errore commesso sessant’anni fa”. 

Tuttavia Marino lamenta l’assenza di un progetto concreto: “Ma qual è il progetto? Ad esempio, un villaggio turistico che crea 500/800 posti di lavoro? Ne possiamo parlare, ma sono sicuro che gli ambientalisti non lo vorrebbero. Il punto è che soffocano qualsiasi iniziativa imprenditoriale. Allora come si fa a colloquiare con queste persone per trovare delle soluzioni? Attenzione, delle soluzioni per il territorio e non per soddisfare gli interessi delle singole aziende. Non possiamo permetterci di trasformare la riserva in un totem o anche la stessa zona industriale in un totem perché faremmo dei gravi danni a noi stessi”. 

Sembra quindi esserci un punto d’incontro tra industriali e ambientalisti sul monitoraggio dell’aria, mentre rimangono divergenze sullo sviluppo economico del territorio.  La decisione su entrambe le questioni spetta principalmente alla politica, che ha il compito di delineare un progetto di sviluppo economico compatibile con la salute dei cittadini di Vasto e la natura tutelata nella Riserva di Punta Aderci.

Luca Felice Marinozzi

Foto copertina: Abruzzolive

Un pensiero su “Vasto, una riserva naturale e una zona industriale: la difficile convivenza a Punta Aderci

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...