Lo scorso 18 novembre 2021 un bambino siriano di un anno è morto assiderato dalle temperature gelide al confine tra Polonia e Bielorussia. E’ la 12esima vittima accertata da metà agosto, quando la Polonia ha deciso di chiudere le frontiere e respingere in Bielorussia i migranti che provano a varcare la frontiera.
“A causa di un gioco politico, le persone sono trattate come oggetti, vengono negati loro i diritti umani di base, l’assistenza alla procedura di asilo politico e l’aiuto sanitario”, ci spiega in videochiamata Natalia Gebert, traduttrice e attivista dell’associazione Dom Otwarty, che offre soccorso umanitario e assistenza legale lungo la frontiera.
Crisi umanitaria
Da ottobre 2020 l’Unione Europea ha imposto gradualmente misure restrittive nei confronti della Bielorussia in risposta al carattere fraudolento delle elezioni presidenziali dell’agosto dello stesso anno e alla violenta repressione nei confronti di manifestanti, membri dell’opposizione e giornalisti. Per contestare questa decisione, Alexander Lukashenko ha pianificato di boicottare l’Unione Europea servendosi dei rifugiati, come denunciato dall’Unione Europea stessa, dalla Nato e dalla Polonia.
“Lukashenko ha intrapreso un commercio di persone portando cittadini dei Paesi del Medio Oriente in Bielorussia sotto falsi pretesti, promettendo loro che la Bielorussia è soltanto a un passo dall’Unione Europea”, spiega Gebert. Da giugno 2021, infatti, la Bielorussia ha emesso visti d’ingresso turistici per far arrivare nel Paese cittadini stranieri con l’obiettivo di dirigerli prima in Lituania e poi, dopo che il Paese ha chiuso le proprie frontiere, in Polonia. “Lukashenko porta le persone in Bielorussia tramite visti d’ingresso, che è legale a livello formale, ma lo fa con l’intenzione di usarle, dunque è contrabbando di persone. Una volta che le persone sono atterrate in Bielorussia, vengono portate in hotel per un giorno o due, dopodichè, su camion o autobus militari, vengono portate al confine, e lì finisce la loro libertà”, continua l’attivista. Secondo diverse testimonianze, alla frontiera, infatti, le forze militari bielorusse ordinano ai migranti di varcare il confine verso la Polonia, usando anche metodi violenti se non ubbidiscono.
Zona rossa
Il 3 settembre 2021 il governo Polacco ha dichiarato lo stato di emergenza, che prevede una zona rossa ampia dai 3 ai 5km lungo tutto il confine con la Bielorussia, dove, eccetto i residenti e il personale militare, nessun’altra persona è autorizzata ad entrare, inclusi giornalisti, politici, attivisti, soccorritori e assistenti umanitari. Nemmeno Dunja Mijatović, Commissaria delle risorse umane del Consiglio europeo, durante la sua visita in Polonia martedì 16 novembre, è stata autorizzata a entrare nell’area. Dunque, per i migranti non basta arrivare in territorio polacco per trovarsi in un posto dove poter essere aiutati e fare richiesta d’asilo, perché devono attraversare anche quest’area. “Se rimani bloccato nella zona rossa, potresti essere fortunato e incontrare cittadini locali disposti ad aiutarti, e molto spesso lo fanno. Ma nella maggior parte dei casi vieni fermato dalla guardia di confine, dalla polizia o dai soldati, e riportato alla frontiera, dove ti costringono ad attraversarla e tornare in territorio bielorusso.” spiega Gebert. “Lì, i soldati bielorussi ti fermano nuovamente, ti portano in un campo e il giorno successivo ti obbligano a riattraversare il confine verso la Polonia. E’ un continuo avanti e indietro; abbiamo incontrato un gruppo di persone riportate in Polonia per 22 volte”.
Oltre a respingere le persone migranti, sia le forze militari bielorusse, sia quelle polacche fanno uso di violenza. Dom Otwarty ha ascoltato la testimonianza di una ragazza della Repubblica Democratica del Congo che, essendo incinta, chiedeva di non essere respinta in Bielorussia. Essendo solo al terzo mese di gravidanza, questa non era però evidente: la polizia non le ha creduto, l’ha riportata al confine e l’ha spinta in modo talmente violento che è caduta e ha avuto un aborto spontaneo.
Inoltre, la zona di confine è una delle aree più fredde della Polonia, dove le temperature durante la notte scendono sotto zero, e le persone non sono equipaggiate per stare così a lungo all’aperto in quelle condizioni: soffrono di disidratazione, fame, ipotermia. ”Alcune hanno anche malattie: c’era un ragazzo che soffriva di diabete e quando è stato preso ha chiesto l’insulina, ma non gli è mai stata concessa e due giorni dopo è morto”, aggiunge Gebert.

Aiuto umanitario e richiesta di asilo
Dom Otwarty fa parte di Grupa Granica, un’iniziativa che unisce 14 organizzazioni non governative che lavorano per i diritti umani e sostengono i rifugiati e i migranti in Polonia. Oltre a consegnare cibo e vestiti alle persone che si trovano fuori dalla zona rossa, l’associazione Dom Otwarty aiuta a cercare membri di famiglie dispersi a causa dei respingimenti, resta a fianco dei migranti il più possibile così che la guardia di frontiera non li respinga in Bielorussia, e offre loro assistenza legale. “Molti migranti dichiarano di volere asilo politico in Polonia. Noi spieghiamo loro le opzioni legali, e se decidono di fidarsi di noi, e soprattutto del sistema, lo stesso sistema che li ha traditi, allora ci affidano il potere di rappresentarli e presentiamo domanda di asilo alla guardia di confine, l’unica autorità che può ricevere la richiesta. A volte le richieste vengono ricevute e i migranti hanno il diritto di restare in Polonia”, spiega Gerbert. “Dovrebbe sempre funzionare così. Spingere le persone avanti e indietro non risolve niente, non le farà scomparire, le farà solamente soffrire di più. La priorità del governo polacco è di tenere i confini sicuri, chiusi, ma come mai, con così tanti respingimenti, negli ultimi mesi circa 10.000 persone hanno attraversato la frontiera e sono riuscite ad arrivare in Germania?”.
Opinione pubblica
La prima volta che l’opinione pubblica polacca ha iniziato a preoccuparsi della crisi umanitaria in questione è stata con il caso di un un gruppo di afghani che, per oltre quattro settimane, è stato bloccato a Usnarz Górny, città lungo il confine polacco-bielorusso. Da un lato, essi erano controllati dalle guardie di frontiera bielorusse che impedivano loro di tornare in Bielorussia, e dall’altro erano circondati da agenti polacchi che non gli permettevano di entrare in Polonia. Secondo il rapporto di Amnesty, le condizioni di salute dei rifugiati erano pessime, la Polonia non forniva cibo e bevande e alle organizzazioni umanitarie era vietato raggiungerli per prestare loro soccorso. “Nonostante la volontà di far richiesta di asilo politico in Polonia, confermate dai legali del gruppo, la guardia di frontiera polacca non ha mai accettato le domande. E’ intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, ordinando alla Polonia di prestare aiuto umanitario”, racconta Gebert. “Presi dalla disperazione, alcuni afghani hanno tentato di superare il confine, ma sono stati bloccati e detenuti. Per oltre due mesi, queste persone hanno vissuto in un campo in piena vista tra due linee di soldati. C’erano anche quattro donne, obbligate a far pipì, cambiare gli assorbenti, lavarsi, il tutto davanti ai soldati che le guardavano. E’ una tortura mentale”.
La narrativa governativa ha iniziato a perdere di credibilità anche con il caso Michałowo, un villaggio appena fuori dalla zona rossa che ospita i servizi delle guardie di frontiera. A fine settembre, oltre 20 migranti curdi e iracheni, tra cui 8 bambini, sono stati riportati in Bielorussia, nella foresta, nonostante avessero fatto domanda di asilo politico e nonostante avessero pregato le autorità polacche di non respingerli.
“Le persone polacche hanno iniziato a capire che al confine non ci sono solo uomini, ma anche donne e bambini. Hanno iniziato a empatizzare con i migranti, organizzando raccolte fondi, cibo e vestiti da portare al confine, e anche proteste locali. A Varsavia, ad esempio, davanti alla sede generale della guardia di frontiera, è stato inscenato un picnic familiare con bambini che sul marciapiede scrivevano frasi come ‘dove sono i bambini’ e ‘la foresta non è un luogo per bambini’. E’ difficile che la polizia intervenga a bloccare le proteste se si tratta di madri e di bambini”, commenta Gerbert.
L’incremento dell’attenzione nei confronti di questa situazione da parte dell’opinione pubblica sta provocando un cambiamento nella narrazione governativa. Attraverso i profili ufficiali del governo i portavoce non accusano più direttamente le persone che migrano, ma criticano le forze bielorusse che organizzano questa serie di attacchi. Questo cambiamento, però, pare essere solo politico, come afferma Gerbert, in quanto “a livello umanitario non è cambiato niente: le persone sono ancora nei boschi, rischiano di morire e non spariranno”.

Numeri e costi
A causa della zona rossa, dove i giornalisti non possono entrare e documentare ciò che sta accadendo, è praticamente impossibile determinare il numero di persone bloccate lungo la frontiera. Anche se la guardia di frontiera polacca tiene il numero dei tentativi di attraversamento, e secondo Frontex ci sono stati 40mila tentativi, questo dato può essere solo un indicatore, dal momento che una persona può attraversare il confine più volte a causa dei respingimenti.
“Anche se non sappiamo il numero preciso di persone, conosciamo i numeri relativi ai costi delle forze militari al confine, pari a venti milioni di zloty al mese (più di quattro milioni di euro, n.d.r.), mentre il costo relativo alla detenzione dei rifugiati (circa duemila, attualmente), che comprende alloggio, cibo, assistenza medica, interprete e altro, è minore di tre milioni di zloty. Dunque, potremmo usare i soldi spesi per il personale militare in cibo e alloggio per i migranti. Anche da un punto di vista economico, e non solo umanitario, è più vantaggioso lasciare entrare le persone piuttosto che respingerle”, conclude Gerbert.
Francesca Capoccia
Fonte foto di copertina: Grupa Granica
2 pensieri su “Polonia-Bielorussia: migliaia di persone migranti bloccate al confine”