Seconde generazioni: giovani tra identità sospesa, riforma della cittadinanza e opportunità negate

Questo articolo introduce il progetto sulle seconde generazioni in Italia. Se vuoi raccontarci la tua storia, rispetto al concetto di identità sospesa, delle difficoltà con la burocrazia, della perdita di opportunità, o altro, contattaci. Dove? Sui social o – meglio – all’email thebottomup.mag@gmail.com
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Nel corso degli anni, le ondate di immigrazione nel nostro Paese hanno dato vita a un mosaico ricco e colorato. Ciò ha reso possibile l’interazione tra persone di varie nazionalità, gruppi etnici e culture e la diversità culturale è diventata un tema centrale nel mondo contemporaneo. 

Le seconde generazioni in Italia stanno crescendo sempre di più in una società multiculturale, nella quale convivono comunità etnicamente diverse sotto l’egida della civiltà occidentale e della parità di diritti. Vivere in una società multiculturale significa ereditare due culture: quella occidentale italiana, da un lato, e quella di provienza della famiglia, dall’altro. Ma cosa vuol dire essere di seconda generazione? Come si forma l’identità di una persona cresciuta a cavallo tra due culture?

Il concetto di seconde generazioni

Nel contesto delle migrazioni, con il termine “seconde generazioni” ci si riferisce alle persone figlie di cittadini stranieri nate nel Paese di immigrazione, e a coloro che hanno lasciato il proprio Paese d’origine per trasferirsi in un altro prima del compimento dei 18 anni.

Rubén G. Rumbaut, illustre professore di sociologia all’Università della California, Irvine, ha suddiviso le seconde generazioni in cinque differenti categorie:

Generazione 2,5, comprende i figli di coppie miste
Generazione 2,0, comprende coloro che sono nati nel paese di arrivo dei genitori
Generazione 1,75, comprende i minori che emigrano dal momento della loro nascita fino al quinto anno d’età, e completano l’intera educazione scolastica nel paese di destinazione
Generazione 1,5, comprende i minori tra i 6 e i 12 anni, che hanno cominciato il processo di socializzazione e la scuola primaria nel paese d’origine, ma completano l’educazione scolastica all’estero
Generazione 1,25, comprende i minori che emigrano dal loro paese d’origine tra i 13 e i 17 anni

Nelle seconde generazioni vengono così messi in discussione i concetti di cultura, comunità e identità e ogni generazione deve fare i conti con condizioni sociali diverse, che influenzano le sue opinioni e i suoi punti di vista e quindi il suo modo di relazionarsi con le altre persone.

Seconde generazioni: il concetto di identità

Vittorio Lannutti, docente di Sociologia generale presso l’Università Politecnica delle Marche e di Sociologia delle migrazioni presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, parla di identità sospesa in riferimento alle seconde generazioni. Molte persone, trovandosi a vivere tra due culture differenti, si sento parte più in una rispetto all’altra, oppure faticano a capire in quale si identificano di più. Secondo i dati ISTAT, la sospensione dell’identità interessa una quota rilevante di stranieri – giovani – che vivono nel nostro Paese: molti non sanno se considerarsi stranieri o italiani.

Le seconde generazioni generalmente parlano perfettamente sia la loro lingua d’origine, sia la lingua del Paese in cui vivono, e conoscono bene gli usi e costumi del posto. Allo stesso tempo, però, le loro famiglie si sforzano di trasmettere la cultura e i valori del loro luogo d’origine affinché non perdano le loro radici e mantengano i loro legami con il loro Paese natale. Questa situazione è spesso un arricchimento culturale ma può causare difficoltà e conflitti interiori, poiché non si sentono pienamente partecipi della loro cultura d’origine e al contempo non si sentono cittadini a pieno titoli del Paese in cui sono cresciuti. Le difficoltà comuni possono includere problemi nel dare un senso e integrare le differenze nelle regole alimentari, nell’abbigliamento, nel comportamento sociale, nei ruoli di genere. Sentimenti di confusione sono comuni mentre si cerca di rispondere alla domanda “chi sono io?”.

Cittadinanza italiana e politica

Un tema che di certo non aiuta le seconde generazioni in Italia è legato alle procedure per ottenere la cittadinanza italiana, attualmente disciplinate dalla Legge n. 91/1992. In base a questa legge, chiunque sia nata/o in territorio italiano può richiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni, a condizione di aver vissuto legalmente in Italia senza interruzioni. Questo comporta il negare alle persone regolarmente immigrati in Italia il diritto di richiedere la cittadinanza italiana prima dei loro 18 anni.

L’acquisizione della cittadinanza è un procedimento lungo, costoso e disseminato di ostacoli, che rendono difficile per molte persone, italiane di fatto ma non di diritto, l’ottenimento della naturalizzazione. Un ulteriore ostacolo è stato introdotto con il decreto di sicurezza promosso da Matteo Salvini, leader della Lega, durante il suo mandato come ministro dell’interno nel 2018. Estendendo i tempi di attesa per definizione dei procedimenti in corso dai due ai quattro anni, tale decreto ha svantaggiato molte persone migranti legali, rendendo ancora più complicato il processo di ottenimento della cittadinanza.

I partiti politici hanno posizioni molto diverse per quanto riguarda lo ius soli: sono a favore partiti come il Partito democratico, la Sinistra Italiana e Alternativa Popolare, mentre sono invece fortemente contrari partiti come Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Per quanto riguarda gli altri Stati europei, non esiste un vero e proprio ius soli, come si ha invece negli Stati Uniti: in alcuni paesi come Belgio e Germanica si parla di “ius soli condizionato”, che prevede che i genitori debbano aver vissuto nel Paese per un determinato periodo di tempo prima della nascita del bambino. Invece in altri Paesi come Francia, Olanda e Spagna si parla di “doppio ius soli”: un bambino nato in un Paese da genitori stranieri ottiene la cittadinanza se anche uno dei due genitori è nato anche nel territorio dello stesso Stato.

Cittadinanza e seconde generazioni? Intervista a Gianpiero Dalla Zuanna

Il professor Gianpiero Dalla Zuanna, docente di demografia all’università degli studi di Padova, ha condotto diverse ricerche sul tema delle seconde generazioni in Italia. “La cittadinanza data ai cittadini che sono immigrati in Italia contiene regole tra le più rigide d’Europa, in quanto richiedono dieci anni di permanenza continuativa e in seguito ci sono altre due o tre aree di burocrazia da passare prima della concessione della cittadinanza stessa. Sono tempi biblici. Tra l’altro i figli di immigrati nati nel nostro paese devono fare domanda subito dopo aver compiuto i 18 anni. La cittadinanza dovrebbe riflettere un dato di fatto e non un diritto astratto. Se una persona vive in Italia da molto tempo, se paga le tasse e fa parte di una comunità, dopo un po’ dovrebbe avere anche diritto e dovere alla cittadinanza”.

Per quanto riguarda i problemi che le seconde generazioni senza cittadinanza si trovano ad affrontare, Dalla Zuanna sostiene che: “Gran parte dei cittadini stranieri, in particolare i figli, non possono usufruire una serie di possibilità che hanno i figli degli italiani, ad esempio, non possono fare i concorsi pubblici.” 

Un’altra serie di problemi delle seconde generazioni è legati alla scuola: “I bambini stranieri hanno risultati scolastici peggiori rispetto ai loro coetanei italiani ma anche rispetto ai loro coetanei italiani di livello sociale basso”. Perché? “In Italia si fa pochissimo per colmare il divario linguistico, e si fa molto poco anche per colmare il divario sociale. A questo si somma anche il problema economico e per questo i ragazzi tendono ad indirizzarsi verso carriere professionalizzanti rispetto ad altre carriere che esigono di stare nel sistema formativo fino ai 25 anni. È un problema risolvibile per certi versi, però si dovrebbe cercare di attenuarlo, ad esempio con una serie di borse di studio”.

Una possibile proposta di riforma sulla legge di cittadinanza

Secondo Dalla Zuanna, ci sono due strade: una strutturale, una progressista. “La legge sulla cittadinanza, risalente al 1992 ma che in realtà riprenderebbe anche leggi più vecchie, sarebbe da rivedere radicalmente. Nella Riforma sulla legge della cittadinanza che riguarda gli stranieri residenti in Italia, si potrebbe abbassare dai 10 ai 5 anni il tempo di permanenza per poter fare la richiesta.” In questo modo, sostiene il professore: “anche se la burocrazia restasse complicata, il tempo effettivo di residenza diventerebbe di 7/8 anni, risulterebbe un numero accettabile. Questa riforma sarebbe molto semplice, basterebbe cambiare un numero dalla legge e si avrebbe il vantaggio di allineare l’Italia ad altri paesi europei come la Francia, il Belgio e la Germania, dove i tempi sono più ridotti rispetto ai nostri”.

Aditideep Prakash

[Foto copertina: Rivista Il Mulino]

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