Nagorno-Karabakh ancora teatro di guerra. Le prime vittime sono i civili

In 32 anni, quasi 35 mila morti tra soldati e civili. Armenia e Azerbaijan tornano in guerra per il controllo del Nagorno-Karabakh, che vede il 95% dei suoi abitanti di etnia armena. Quello che in turco-persiano viene chiamato il “Giardino Nero” del Caucaso, per la fertilità delle sue terre, oggi vede seminati solo morte e distruzione.

La guerra, scoppiata il 27 settembre 2020, è combattuta su due principali fronti: quello militare strategico, con le forti pressioni esterne di Turchia e Russia, e quello digitale, combattuto sui social, attraverso propaganda e fake news.

Confini del Nagorno-Karabakh stabiliti nel 1994. Clevelander

Origini del conflitto

Nel 1920 la regione del Nagorno-Karabakh viene dichiarata autonoma dal regime sovietico e viene internazionalmente riconosciuta all’interno dei confini dell’Azerbaijan, collocando a Stepanakert il centro politico. Nel 1988, con l’indebolirsi dell’URSS, le relazioni tra Armenia e Azerbaijan divennero sempre più tese, soprattutto dopo una risoluzione del Parlamento di Stepanakert in cui si chiedeva a Russia e Azerbaijan di poter passare alla giudisdizione armena. La proposta venne respinta con forza, ma già nel 1991 la regione si dichiarò indipendente.

Con la caduta dell’URSS, nello stesso anno, Armenia e Azerbaijan diventano indipendenti, e a questo segue un acuirsi delle tensioni, che scoppiano nel 1992 in una guerra che sarà fermata solo due anni dopo, con una tregua negoziata dal gruppo di Minsk, struttura di lavoro istituita dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con lo scopo di raggiungere un accordo di pace tra i due Stati. In due anni, il conflitto provoca più di 30 mila morti.

Nel 2016 i due paesi tornano a combattere per 4 giorni, coinvolgendo i civili e facendo diverse decine di morti tra i soldati di entrambi gli schieramenti.

Nel 2017, i rapporti si incrinano ancora. Un referendum del governo autonomo di Stepanakert dichiara ancora una volta l’indipendenza dall’Azerbaijan, questa volta fondando la Repubblica dell’Artsakh (nome in armeno della regione). Questa viene riconosciuta solo da 3 Stati a riconoscimento limitato e non membri dell’ONU (Abcasia, Ossezia del Sud e Transnistria) e non prende parte al gruppo di Minsk sui negoziati di pace della regione.

Il conflitto attualmente in corso è scoppiato ufficialmente il 27 settembre 2020, tuttavia già a luglio si registrano i primi morti, con accuse reciproche di aver dato inizio al conflitto.

In un articolo del National Geographic, si può vedere quanto sia diversa la rappresentazione geografica della regione del Nagorno-Karabakh da parte di Armenia e Azerbaijan.

Nel tweet in inglese si legge: “Sebbene il Nagorno-Karabakh sia piccolo, la posta in gioco a livello geopolitico è alta, a causa della sua posizione tra le potenti forze regionali di Russia, Turchia e Iran”.

Fronte militare. Ennesimo terreno di scontro di Turchia e Russia?

A livello geopolitico, la questione coinvolge la Turchia e Israele sul fronte azero e la Russia e l’Iran su quello armeno. Gli interessi dei due principali alleati, Turchia e Russia, si giocano quindi sulla scacchiera del Caucaso, sempre su schieramenti opposti.

Da una parte si notano Turchia e Israele spalleggiare con forza l’alleato Azerbaijan, anche con l’invio di strumenti militari di difesa da possibili attacchi missilistici.

D’altra parte la Russia si trova in una posizione più difficile poiché, se da un lato sostiene l’Armenia, che è membro dell’Unione Economica Eurasiatica (di cui sono membri Russia, Armenia, Bielorussia e Kazakistan) e dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, dall’altro deve comunque considerare due elementi fondamentali nella gestione del conflitto in Nagorno-Karabakh: la sua appartenenza al gruppo di Minsk, e gli stretti rapporti con l’Azerbaijan soprattutto a livello energetico. I rapporti tra i due Stati stanno diventando più tesi durante il conflitto anche a causa del lancio di un nuovo gasdotto diretto in Europa e Turchia, che andrebbe a competere con i rifornimenti da parte della Russia, come riportato da Reuters.

La risoluzione pacifica e diplomatica del conflitto è, dunque, importante per la Russia per il mantenimento dello status quo nella regione, ma anche per non precludere i propri interessi commerciali ed energetici.  Inoltre, interviene sul fronte siriano, con lo scopo di evitare il coinvolgimento di jihadisti affiliati allo Stato islamico nel conflitto del Nagorno-Karabakh. L’Iran invece si rivela uno “snodo logistico” nel rifornimento di armi all’Armenia.

In estrema sintesi, un conflitto che scoppia in una delle regioni più strategiche dell’area interessa inevitabilmente anche altri Paesi, in un gioco di alleanze che si rivela evidentemente più complesso e che si combatte anche su altri fronti, come quello siriano, iraniano e iracheno, in cui Turchia (con Israele e gli Stati Uniti) e Russia si trovano sempre sui fronti opposti.

Le vittime, anche tra i civili

A pagarne le conseguenze, sono i civili. Tra le vittime ci sono anche gli abitanti della zona, armeni e azeri. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che è in contatto con Croce Rossa Armena e la Azerbaijani Red Crescent Society (la più grande organizzazione umanitaria del Paese), riporta che sono molti i civili feriti a causa degli scontri, che un gran numero di case sono state distrutte e che tantissime persone vivono nel proprio seminterrato, per proteggersi dagli scontri.

Tra gli edifici distrutti ci sono anche le scuole, e il Comitato Internazionale rileva anche la pericolosità di possibili ordigni inesplosi. Quello che preoccupa è anche la diffusione del covid-19: stando per diverse ore ammassati negli scantinati, anche di edifici in cui vivono molte famiglie, le probabilità di contagio aumentano, anche a causa delle scarse condizioni sanitarie dovute al conflitto.

Secondo le fonti di Aljazeera più di 75.000 persone sono state costrette a fuggire dalla zona e rifugiarsi in Armenia. Come riportato dalla stessa testata, i soldati morti superano i 700 nello schieramento armeno e 37 civili di etnia armena, mentre non vengono pubblicati i numeri azeri, se non quelli dei civili, che vedono 65 morti e più di 200 feriti. Tra questi si ricordano le vittime dell’attacco del 17 ottobre da parte dell’Armenia alla città di Ganja, seconda città dell’Azerbaijan, con 13 vittime e 52 feriti. Tra i morti ci sono anche 3 bambini.

È dopo questo attacco che si è deciso per una tregua umanitaria, anche in seguito alle pressioni della Russia, la quale, tuttavia, è stata quasi subito violata, ed entrambe le parti continuano ad accusarsi reciprocamente.

Fronte digitale. Fake news come armi

Un elemento che si può notare su entrambi i fronti è il forte richiamo al sentimento nazionale, alla lotta contro l’avversario invasore e all’unione del popolo a sostegno delle forze armate sul campo di battaglia, con una quasi martirizzazione dei soldati morti e una feroce accusa al nemico. Lo si registra non solo sui media ufficiali, ma anche e soprattutto sul web. La guerra in Nagorno-Karabakh non viene combattuta solo sul fronte.

La maggior parte delle informazioni che provengono dai media ufficiali non sono imparziali o oggettive, e spesso chi riporta le notizie del conflitto non è indipendente. L’Armenia si trova al 61° posto nel World Press Freedom Index 2020, mentre l’Azerbaijan si trova al 168° posto, su 180.

In modo sempre più evidente, questo sottolinea l’importanza del web nella propaganda nazionale, anche attraverso la diffusione di fake news, video e foto ritoccate o riferimenti a immagini di vecchi conflitti spacciati per nuovi fotogrammi, che riprendono soldati o civili insanguinati vittime degli attacchi militari avversari.

Tuttavia è doveroso sottolineare quanto in questo caso il web si stia trasformando in una piattaforma in cui le fake news sembrano essere una tra le armi più pericolose, soprattutto in senso propagandistico.

Facendo una superficiale ricerca tra i principali giornali in Azerbaijan (Azadliq, Yeni Musavat, Azernews etc.), è difficile trovare una testata che non sia finanziata da un partito politico, che sia del governo o dell’opposizione, con giornalisti indipendenti in carcere già dal 2015, come riporta Amnesty International.

Anche nel 2019, durante diverse proteste contro la corruzione al governo e i salari troppo bassi, alcuni giornalisti presenti per documentarle sono stati arrestati. Tra questi Seymur Hazi, incarcerato altre volte in passato per aver denunciato violazioni dei diritti umani nel Paese ed episodi reiterati di abusi di potere e corruzione nelle istituzioni.

Nessuna vittoria, senza un accordo di pace

Sul conflitto in Nagorno-Karabakh, il richiamo alla coesione nazionale, l’identificazione del nemico da sconfiggere e l’obiettivo di proteggere il proprio territorio da un attacco nemico fanno da background alla dialettica della politica e dei media sulla guerra ancora in corso. Tuttavia si dovrebbe tener conto non solo delle vittorie militari sul campo, ma anche delle conseguenze per chi vive nella regione: 30 anni di conflitto, con più di 35 mila morti tra civili e soldati di entrambi gli schieramenti.

Partire proprio dalle vittime, dalla tutela dei civili in vita, da chi è stato costretto a fuggire, azeri e armeni, e iniziare a considerare una prospettiva diversa per i negoziati di pace, che comprenda la tutela dei diritti dei civili, potrebbero essere elementi determinanti per cambiare radicalmente la prospettiva sul conflitto e forse portare ad una risoluzione pacifica e duratura del conflitto.

Cristina Piga

3 pensieri su “Nagorno-Karabakh ancora teatro di guerra. Le prime vittime sono i civili

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