May 31st 2020. Lansing, capitale del Michigan.
Sono venuto a conoscenza della protesta tramite Facebook: entrambi gli eventi a cui vengo invitato non sembrano legati a nessun gruppo politico o di attivisti in particolare. Sicuramente non c’entra Black Lives Matter, che ha organizzato la protesta per mercoledì 3 giugno.
È da tempo che non mi trovo in una situazione di questo tipo: l’ultima volta è stato nel 2017, quando sono andato ad una marcia pro-Trump, accompagnando Francesco Costa nel suo primo (e credo ultimo, non gliel’ho chiesto) giro alla scoperta del Midwest. La situazione è completamente diversa: ai tempi, Trump era stato eletto da qualche mese, io ero al mio primo anno di dottorato. Ora sia io che Trump siamo forse alla fine, si spera.
Io qui ci vivo, quindi è normale che se ne parli, ma voi vi siete chiesti perché faccia così clamore, perché l’uccisione di una persona generi così tante emozioni? In Venezuela accade ben più spesso, così in Brasile. Ma il Brasile non ha vinto la Seconda Guerra Mondiale, non domina l’economia e la cultura mondiale da 50 anni. La morte di George Floyd, strappa il velo di Maya: sparisce l’America, con Hollywood, New York e Netflix, mettendo a nudo gli Stati Uniti, con le sue complessità e problematiche.
Parto da casa verso le 11, in 20 minuti a piedi sono davanti al Capitol, il palazzo del Governo e del Parlamento dello Stato del Michigan.
Due obiettivi primari. Il primo è capire se la situazione con le forze dell’ordine è tranquilla: a Detroit una persona è morta, a Grand Rapids la protesta si è trasformata in una rivolta (“GR” è città di cui ho parlato spesso, perché è un’isola liberale nell’oceano conservatore del west Michigan). Secondo, verificare che la gente abbia le mascherine e rispetti il distanziamento sociale. Il Michigan è uno degli Stati più colpiti dal Covid19. La comunità afroamericana ne ha sofferto in modo sproporziato: come in altri Stati degli USA, la più elevata povertà porta a condizioni di lavoro in cui il rispetto della distanza sociale è più difficile. Inoltre, perdere il lavoro ha conseguenze pesantissime in termini sia economici sia sanitari (ricordo che l’assicurazione sanitaria è quasi sempre legata al lavoro, e non esistono contratti a tempo indeterminato).
La sicurezza sanitaria sembra buona, il livello di conflitto con la polizia per ora è nullo: non ci sono agenti in tenuta antisommossa, ma ce ne sono una ventina, sparsi a coppie sul prato. Decido di restare. Noto un dettaglio importante che differenzia le proteste a Lansing da quelle che sono avvenute in altre città degli USA:
Come vedete dalla mappa qui sotto, il punto ad ovest è dove mi trovo. Il rettangolo bianco è il Capitol building, sulle e sotto le cui scalinate si è radunata la folla, che occupa tutto il prato fino all’incrocio tra Capital Avenue e Michigan Ave. Il punto ad est è la sede della polizia locale di Lansing: l’accesso all’edificio è su Michigan, ci vuole un minuto a piedi. Perché le proteste non si sono concentrate lì? Alla fine, il nòcciolo della questione sono le violenze da parte della polizia. La polizia è il nemico. Perché?
Si possono ipotizzare tre spiegazioni.
La prima è figlia della storia: a Lansing si protesta al Capitol, punto. C’è spazio, ci sono le scalinate su cui salire e dalle quali lanciare slogan e grida di protesta. Fa atmosfera.
La seconda deriva dalla natura specifica di questa protesta: l’organizzazione è pacifica. Preciso, perché non c’è nessuna organizzazione, e “pacifico” è un termine estremamente vago: le persone che partecipano all’evento non cercano, né individualmente né come gruppo, lo scontro frontale con la polizia. Piuttosto, rivendicano una posizione di dissenso verso lo status quo: protest, ma all’interno delle regole istituzionali. Che l’assenza di scontro diretto sia data dalla particolare composizione dei manifestanti, o dalle relazioni locali tra la polizia e la popolazione, non è dato saperlo.
La terza ed ultima chiave di lettura è data dall’essere stesso di Lansing, una città dalle due anime e mezzo. Non è Detroit o Flint, città legate in modo traumaticamente indissolubile all’industria manifatturiera dell’automobile. Non è Ann Arbor, sede della prestigiosa University of Michigan, fondata dalla borghesia bianca di Detroit, estremamente studentesca ed hipster. Non è Battle Creek, sede della Kellog, centro dell’industria agricola con i suoi campi di mais che si estendono fino all’Iowa e al Nebraska, ad ovest, e l’Ohio ad est, la corn belt. È un misto delle tre componenti, dove il “mezzo” è dato dal fatto che l’elemento universitario è tutto ad East Lansing: centinaia i lavoratori di Lansing alla Michigan State, ma i due mondi non comunicano, EL rimane a fortissima prevalenza bianca, istruita, ricca, completamente chiusa nella sua bolla. E quindi Lansing è un ibrido tra la componente di “lotta” tipica dei centri urbani, ma senza l’appoggio degli studenti, e la tradizione agricola, più conservatrice.
Secondo il rasoio di Occam, l’interpretazione giusta è la prima.
La protesta aumenta di numero, e vengono ripetutamente scanditi vari cori. I principali sono:
“Say his name: George Floyd!”
“I can’t breathe”
La folla si dirige su Michigan Ave, raggiunge la rotonda e ritorna al Capitol.
Si ritorna sul prato e sulla scalinata bianca; continuano gli slogan, i cori, le urla.
Ad un certo punto viene lanciato un segnale che non riesco a capire, ma che evidentemente conoscono tutti. Vedo l’intera folla abbassarsi: chi si siede, chi si inginocchia (un gesto che ha mandato nei matti l’intera lega del football). Chi si stende a pancia in giù, e grida “I can’t breathe”, riproponendo la posizione di Floyd e del ginocchio sul collo che lo ha portato alla morte. Un grido straziante. Mi dirigo sulla scalinata del Capitol per avere una visuale migliore dall’alto, e proprio in quel momento cresce l’intensità del grido, e con il grido cresce il dramma della violenza perpetrata dallo Stato verso una minoranza emarginata da secoli. Un momento incredibile di pathos che spero possiate comprendere, anche se a distanza:
La folla cresce e comincia a spostarsi, marciando su Michigan Ave: non è più possibile rimanere a distanza dalle persone. Dopo circa 3 ore, torno a casa. Alcuni amici mi tengono aggiornato: la protesta, in numero ridotto, torna al Capitol.
Da questo momento in poi è difficile seguire la protesta: dalla folla iniziale si generano vari gruppi, più o meno organizzati tra loro: una buona parte rimane appunto al Capitol, alcuni si dirigono nelle vie laterali, altri entrano in autostrada, c’è chi arriva a East Lansing.
C’è il primo scontro. Sembra che una macchina abbia cercato di colpire dei manifestanti e un paio di giornalisti. La dinamica non è chiara, ma la conducente è stata arrestata dalla polizia. I manifestanti hanno chiuso la partita rovesciando e dando fuoco al veicolo.


Il secondo scontro avviene verso sera, dove un gruppo ha distrutto le vetrate di una banca (per vedere il video bisogna cliccare sul profilo)
Per evitare che la situazione degeneri, la prefettura locale ordina il coprifuoco a partire dalle 21. Da quanto risulta, non sembrano esserci scontri diretti.
Il rumore dell’elicottero delle forze dell’ordine si mescola con scoppi di fuochi d’artificio. Passione inspiegabile degli statunitensi durante il weekend, che in una notte di questo tipo sarebbe meglio evitare.
Giacomo Romanini