L’emergenza umanitaria del Covid-19 sta velocemente raggiungendo in maniera capillare tutte le aree del Pianeta. Le conseguenza economiche e sociali di questa pandemia prospettano uno scenario allarmante per il futuro della globalità. Ma se esse già si prospettano catastrofiche per i Paesi occidentali, come si presenteranno per le zone di guerra? Quale sarà il destino di quelle generazioni che, oltre a gestire le ostilità in corso nel loro territorio, dovranno fare i conti con l’eredità lasciata dal Coronavirus?
Covid-19: le peculiarità del contesto palestinese
Lo scorso 7 aprile si contavano in Palestina 260 positivi al virus, una cifra decisamente bassa, quasi ottimistica guardando agli alti tassi di diffusione riscontrati in altri Paesi, Italia in primis. Questo dato include anche gli infetti di Gaza, centro del conflitto israelo-palestinese e che, dal 2007, è controllata da Hamas, organizzazione di carattere politico e paramilitare considerata, da Israele e da alcuni suoi alleati come terroristica. Gaza, però, potrebbe presto diventare anche un focolaio di vittime da Covid-19. Essa, infatti, costituisce uno dei luoghi più densamente abitati al mondo, con i suoi due milioni di abitanti in un’area di 365 km2 e quindi una densità di 5.154 persone per km2. Un rilevamento statistico, questo, che mostra l’impossibilità di un concreto isolamento nel caso di una diffusione più violenta del virus.
Un’altra caratteristica significativa della popolazione di Gaza è la sua età media, decisamente bassa: dei due milioni di abitanti della Striscia, solo il 2,4% supera i 65 anni, un dato che indica, quindi, una preponderante presenza di bambini, ragazzi e giovani adulti. Un’eventuale diffusione massiccia del virus in queste zone va dunque valutata nell’ottica delle nuove generazioni, in quanto rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione.
Le potenziali conseguenze della pandemia: una catastrofe annunciata?
Innanzitutto, occorre tenere in considerazione l’aspetto sanitario. Sotto il profilo medico gli abitanti di quest’area sono estremamente vulnerabili. La diffusa povertà, lo stress psicologico conseguente al costante stato di guerra, la presenza di famiglie numerose che vivono in spazi ristretti, l’alto consumo di sigarette nonché un alto tasso di obesità, la malnutrizione sono tutti elementi che vanno ad intaccare le difese immunitarie, rendendo quindi più fragili i giovani palestinesi, che in caso di rapida propagazione del virus, si troverebbero già in uno stato di salute debole. A questa grave situazione va aggiunto, inoltre, il fatto che Gaza è sostanzialmente priva di un vero sistema sanitario: il Foreign Policy ha calcolato 70 posti letto complessivi di terapia intensiva (una stima riportata anche dalla ONG Save the Children), mentre l’OMS ha conteggiato solamente 60 ventilatori a disposizione in quest’area, di cui 45 già in uso.
Di fronte a questa carenza di strumenti, il Ministero della Sanità locale ha fatto appello all’OMS e alla comunità internazionale per la fornitura di apparecchiature mediche. A tale richiesta d’aiuto ha già risposto il Qatar stanziando 150 milioni di dollari, mentre paradossalmente l’UNRWA, l’Agenzia dell’ONU che si occupa di assistenza ai profughi palestinesi, ha sospeso le operazioni a Gaza per questioni di sicurezza.
Presente e futuro dei giovani di Gaza tra guerra, pandemia e ironia
È vero che i giovani, in Palestina come nel resto del mondo, sembrano essere meno esposti al virus, tuttavia analizzando la situazione di Gaza è importante considerare il rischio di diffusione della pandemia in queste fasce della popolazione da un punto di vista sociale. A tal proposito, ha destato molto scalpore la frase espressa dall’attivista trentottenne Rami Aman, il quale durante una video chat del Comitato Giovanile di Gaza, di cui è parte, ha descritto ciò che accade a Gaza di fronte agli interlocutori israeliani.
Il giovane ha ironicamente asserito “grazie Corona perché hai reso la Striscia di Gaza uguale a tutti gli altri”, riferendosi scherzosamente alla condizione di clausura in cui i palestinesi di Gaza vivono dal 2007. A seguito di questo episodio l’attivista è stato arrestato per aver contratto rapporti con Israele, violando il divieto imposto da Hamas di avere contatti con il nemico (obbligo, tra l’altro, che evidenzia come il diritto internazionale e i diritti umani rappresentino una profonda lacuna per quest’area).
Tornando, però, a focalizzare l’attenzione sull’impatto del Coronavirus sulla gioventù, la dichiarazione di Rami fa comprendere come le condizioni precedenti alla pandemia erano da tempo scoraggianti e ciò ha permesso, paradossalmente, di attutire l’impatto con la realtà greve del virus.
Prima dell’avvento del fenomeno, infatti, la disoccupazione giovanile era già superiore al 50%, ma secondo l’UNWRA ora potrebbe salire al 70%. Questa concreta previsione, considerata parallelamente al contesto economico palestinese, suscita una seria preoccupazione in merito al futuro finanziario del paese, che, secondo l’opinione internazionale, si trova ad un passo dal tracollo.
Per il momento, comunque, i giovani palestinesi sembrano essere più intenti a vivere giorno per giorno, un’impresa impegnativa che non gli permette nemmeno di fare piani a lungo termine. È certo che la loro economia non è pronta a far fronte ad un’ulteriore crisi: “a Gaza non esiste nessun piano B” ha affermato amaramente il presidente dell’UNWRA, Matthias Burchard. La precarietà rappresenta da sempre pane quotidiano per gli abitanti di Gaza e in particolar modo per le giovani generazioni che sicuramente si troveranno, nel lungo periodo, a fare i conti con l’incapacità istituzionale di risolvere le continue crisi del Paese, e questo già prima che si presentasse il Coronavirus.
Ma come reagiscono i giovani abitanti di Gaza dinanzi l’imminente futuro catastrofico dal punto di vista sanitario che gli si para davanti? Sembra assurdo, ma con grande senso dell’umorismo. La battuta di Rami Aman è solo uno degli esempi di come la società stia cercando di prendere il meglio da questa situazione. Ed ecco allora che sui social media è un rincorrersi di spiritosità: si dà il benvenuto al resto del mondo a vivere sotto un blocco, Gaza diventa la maggior zona di quarantena del pianeta e ringrazia Israele per averla involontariamente “protetta” dall’ingerenza del Coronavirus. Un volontario vestito da clown cammina per le strade di un campo profughi per intrattenere i bambini.
I palestinesi accolgono quindi nella loro zona di ordinario isolamento il resto del mondo. E questo già basta loro per sentirsi più sollevati, per una volta al passo con i coetanei di tutto il globo, nonostante la consapevolezza che alla fine del lockdown tutto tornerà alla cruda normalità e mentre il resto del pianeta riprenderà a respirare, Gaza rimarrà la prigione di sempre.
Annita De Biasi
Fonte immagine di copertina: Comitato internazionale della Croce Rossa https://www.icrc.org/en/document/gaza-everyday-life-under-covid-19