Negli ultimi giorni si sono scatenate diverse forme di protesta in alcune carceri italiane, in seguito all’emanazione, l’8 marzo, del decreto legge contenente ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 per tentare di limitare la diffusione del COVID-19. La situazione nelle carceri italiane è sempre sul filo del rasoio, in particolare per il sovraffollamento che non garantisce una vita dignitosa ai detenuti, non certamente esenti da malattie o dalla diffusione del virus.
Proteste nelle carceri italiane
Questo momento emergenziale che coinvolge tutto il Paese intensifica le tensioni all’interno delle strutture carcerarie, chiaramente non idonee a ospitare numeri così grandi di detenuti, che si vedono negate anche le visite dei parenti, tra le misure prese per evitare la diffusione del contagio tra detenuti e personale del carcere, che continua a lavorare. Le proteste sono sfociate in azioni violente e 10 detenuti sono morti di overdose, dopo aver rubato farmaci e metadone dall’infermeria del carcere. A Foggia sono evase circa 80 persone, due si sono consegnate alla giustizia e 4 sono ancora a piede libero.
Il decreto legge dell’8 marzo prevede di sospendere le visite da parte dei familiari, mettere in isolamento chi presenta sintomi del virus e limitare i permessi di uscita e di libertà vigilata, sebbene allo stesso tempo inviti a “valutare la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare”.
Le proposte dell’Associazione Antigone
Proprio su questo punto, l’Associazione Antigone ha avanzato diverse proposte che comprendono anche misure alternative al carcere. Nata negli anni ’80, è un’associazione “politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente magistrati, operatori penitenziari, studiosi, parlamentari, insegnanti e cittadini che a diverso titolo si interessano di giustizia penale”.
Si propone l’affidamento in prova ai servizi sociali prevista dall’articolo 47 della legge 354/75 su pene detentive che non superano i tre anni. Ci si focalizza sull’articolo 47-bis, ossia l’affidamento di prova in casi particolari, tossicodipendenti o alcooldipendenti, e si propone di estendere questo provvedimento anche a soggetti vulnerabili con patologie che possono aggravarsi a causa del virus, e allo stesso modo estendere la detenzione domiciliare (a chi rientra nell’articolo 47-ter, primo comma) a soggetti ugualmente vulnerabili da un punto di vista sanitario.
Un’altra proposta prevede che ai detenuti “che usufruiscono della misura di semilibertà” sia concesso di trascorrere la notte in detenzione domiciliare, mentre al punto quattro si chiede alla magistratura di trasformare “i provvedimenti di esecuzione delle sentenze emesse nei confronti di persone che si trovano a piede libero in provvedimenti di detenzione domiciliare”, e di estenderla (punto cinque) anche a coloro che sono stati condannati a “pene detentive anche residue fino a 36 mesi”, mentre al punto sei si propone la “liberazione anticipata estesa fino a 75 giorni a semestre con norme applicabili retroattive fino a tutto il 2018″.
Si chiede poi di acquistare uno smartphone ogni cento detenuti, più una scheda con dati mobili, garantendo chiamate o videochiamate per un massimo di 20 minuti ciascuno, con numeri precedentemente autorizzati dal sistema giudiziario, più l’attivazione di canali di corrispondenza via e-mail, sempre con indirizzi autorizzati. Come si può vedere dalla mappa interattiva fornita proprio dall’associazione, alcune carceri hanno accolto questa proposta e consentono chiamate e videochiamate anche via skype ai detenuti.
Si fa infine richiesta di fornitura “immediata e straordinaria” di dispositivi di protezione individuali (DPI), sanificazione di tutti gli ambienti carcerari, piano straordinario di assunzioni di personale penitenziario e rafforzamento del sistema sanitario carcerario, con l’assunzione di medici, infermieri e operatori socio-sanitari, soprattutto per “garantire la qualità ed uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie” per tutti i detenuti.
Sovraffollamento: non ripetiamo l’esperienza del 2010
Queste proposte possono fare la differenza non solo per chi rientra in queste categorie di detenuti, che quindi possono scontare parte della pena ai domiciliari, ma anche per coloro che devono restare in carcere, per garantire maggior sicurezza ai detenuti anche (e soprattutto) in ambito sanitario ed evitare che le condizioni di vita dei carcerati non diventino ancora più precarie. Le misure alternative al carcere sono in questo momento più necessarie che mai.
Infatti, nel rapporto di metà anno di luglio 2019, l’associazione sottolinea che il tasso di sovraffollamento è pari al 119,8%, il più alto nell’Unione Europea. Se da una parte si prevedono 9 mq più 5 mq di servizi sanitari (i criteri del Comitato Europeo stabiliscono un minimo di 6 mq più 4 mq di servizi), l’associazione sottolinea che nelle stime del Ministero al 2019 “non tiene conto delle sezioni chiuse temporaneamente per ristrutturazioni” e che in alcune carceri il tasso è del 200%, ossia che quello spazio di 9 mq viene occupato da due persone, non una, quindi 4,5 mq a testa.
È necessario non ripetere quella stessa situazione che vedeva nel 2010 (con emergenza carceri dichiarata) un tasso di sovraffollamento del 148% che ha portato la II Camera del Corte europea dei diritti umani (CtEDU) a condannare l’Italia per trattamenti disumani e degradanti.

Ripensare il carcere: rieducativo, non punitivo
Questa situazione emergenziale, che coinvolge tutti i cittadini italiani (ma non solo), potrebbe essere l’occasione per fare una riflessione sulla situazione delle carceri italiane, critica ancora prima dell’attuale situazione sanitaria, e sulla possibilità, tutt’altro che remota, di articolare modalità di pena alternative al carcere. Infatti, proprio come sancisce la Costituzione all’articolo 27, “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al sensi di umanità” e, si sottolinea, “devono tendere alla rieducazione del condannato”. La dignità dei detenuti deve essere rispettata, sono cittadini che una volta scontata la pena tornano nella società e se il sistema carcerario è solo punitivo – per intenderci, se si limita a rinchiudere una persona in una cella e lasciare che il tempo passi finché la pena non viene scontata – le probabilità che commetta altri crimini sarà decisamente alta. Se invece si prevedono attività lavorative e creative, percorsi spirituali di qualsiasi fede, percorsi terapeutici, non solo di disintossicazione da alcool e droghe, ma anche psicologici, col fine di far comprendere al detenuto, alla persona, che una volta uscito dal carcere non sarà solo e avrà tra le mani competenze, pratiche, intellettuali, che potranno permettergli di trovare un lavoro e una vita dignitosa.
La Pasticceria del Carcere di Padova, Pasticceria Giotto, nata nella Casa di Reclusione Due Palazzi nel 2005, è esemplare. Un progetto che cambia la vita dei detenuti, che insegna un mestiere e la dignità del lavoro. La società così non vede più i detenuti come “mostri”, ma come persone, che hanno sbagliato, e hanno diritto ad una seconda chance.
Questo esempio non deve rimanere isolato. Il sistema carcerario che non prevede misure alternative e di lavoro registra nel 2018 un tasso di recidiva del 68%. I dati riportati dalla Pasticceria Giotto mostrano che questa percentuale scende al 2% tra i detenuti lavoratori, mentre su tutto il territorio nazionale si ferma al 19%.
Che in questo momento delicato per il nostro Paese, che si fa comunità e fa fronte unito contro l’emergenza, si dia maggior tutela ai detenuti in ambito sanitario, e si attivino queste forme alternative alla detenzione, che esistono e sono efficaci, contro la diffusione del virus e a tutela della dignità dei detenuti.
Cristina Piga
Un pensiero su “Coronavirus: L’Italia riparta anche dalla dignità dei detenuti”