Libia: da Gheddafi ai giorni nostri

La Libia è uno stato molto esteso, ma scarsamente popolato – gran parte del territorio è occupato dal deserto del Sahara – i cui centri abitati si concentrano lungo la fascia costiera affacciata sul Mar Mediterraneo. La produzione di petrolio e la sua posizione hanno fatto e fanno sì che l’economia dello stato, intrinsecamente instabile, si basi sul petrolio, elemento volatile e mutevole che non assicura un mercato stabile. L’incertezza del paese, tuttavia, è dovuta principalmente al fatto che ad oggi non esista un governo stabile, con il potere accentrato nelle mani di un governo di transizione.

Fonte: Senato della Repubblica

La Libia è stata una colonia italiana (e per un periodo franco-britannica) dal 1911 fino al 1951, anno in cui dichiara l’indipendenza come Regno Unito di Libia , monarchia ereditaria e costituzionale, per poi diventare Regno di Libia nel 1963.  

Il regime di Gheddafi

Nel 1969 il colonnello Muammar al-Gheddafi, leader del movimento degli “Ufficiali liberi”, rovescia la monarchia con un colpo di stato militare, instaurando una repubblica socialista-islamica e, pur senza assumere alcuna carica pubblica, attribuendosi il potere supremo di “guida della Rivoluzione”, abolendo elezioni e partiti politici. Gheddafi da subito avvia un programma di nazionalizzazioni delle grandi imprese e dei possedimenti italiani, ereditati dall’epoca coloniale, e la sua piena sovranità gli permette di impiegare le grandi entrate petrolifere nello sviluppo delle infrastrutture del paese.

A seguito di una riforma costituzionale, nel 1977, e fino alla caduta del regime di Gheddafi, il paese assume il nome di “Repubblica araba libica popolare socialista”, epiteto che riflette l’idea promossa dal colonnello secondo cui il popolo si debba governare senza alcun vincolo, pratica che concretamente si è tradotta nella completa assenza di istituzioni tra il popolo e il dittatore.

La politica estera di Gheddafi si è schierata nel tempo dalla parte dei movimenti di liberazione, in particolare della Palestina, e in opposizione al potere occidentale. Questo fino agli anni ’90, periodo in cui il colonnello cerca di allontanarsi dalla figura di oppositore del sistema occidentale. Nei primi anni 2000 l’obiettivo è migliorare i rapporti con l’Italia, stringendo un trattato di amicizia e cooperazione nel 2008, che prevede il pagamento di 5 miliardi di dollari alla Libia come compenso per il periodo coloniale, in cambio di un maggiore controllo da parte della Libia dell’immigrazione clandestina verso lo stato italiano.

Le dure guerre civili che sconvolgono il governo del paese

A fine febbraio 2011 la popolazione libica si rivolta contro il regime di Gheddafi, ricevendo come risposta una brutale repressione e scatenando una guerra civile che vede contrapporsi i lealisti di Gheddafi ai ribelli riuniti sotto il Consiglio nazionale di transizione. Subito dopo lo scoppio della guerra l’ONU interviene per proteggere la popolazione libica – ma nella realtà l’intervento si concretizza in una serie di bombardamenti contro le forze governative – e diversi stati della comunità internazionale riconoscono il Consiglio nazionale di transizione come l’unico rappresentante del popolo libico. Gheddafi viene catturato e ucciso nell’ottobre del 2011, atto che porta di fatto alla fine del suo regime.

Questo avvenimento non porta però pace nel paese, in quanto a causa del vuoto di potere la Libia diventa terreno di scontro tra le numerose milizie tribali che guidano i gruppi ribelli, sotto gli occhi di un governo centrale troppo debole per potersi imporre e fermare le violenze.

All’inizio del 2014 la Libia è governata dal Congresso Generale Nazionale, autorità legislativa eletta per due anni dopo la fine della prima guerra civile. Nel febbraio 2014 tuttavia l’offensiva lanciata dal generale Khalifa Haftar – ex fedelissimo di Gheddafi prima di diventarne acerrimo nemico – per prendere il potere su Tripoli fa cadere il paese in un altro conflitto civile. A queste due principali fazioni si aggiunge nello stesso anno anche lo Stato Islamico, che fino al 2016 controllato la città di Sirte attraverso alcune cellule presenti in altri siti.

Dal 2016 un accordo di pace negoziato nella cornice delle Nazioni Unite porta all’insediamento a Tripoli di un nuovo governo di accordo nazionale riconosciuto a livello internazionale e guidato da Fayez Al Sarraj, che riceve il sostegno da parte delle milizie dell’ovest del paese, ma che non viene riconosciuto dal parlamento libico e dal generale Haftar.  

La caotica situazione contribuisce (e lo fa tuttora) ad uno stato di estrema violenza nel paese e soprattutto all’attività di bande criminali e milizie locali che, di fatto, mantengono il potere.

La situazione in Libia oggi 

Dopo la fine del regime di Gheddafi la Libia non ha più (ri)trovato un vero e proprio equilibrio, tra figure forti che si litigano il potere centrale e gruppi armati locali che de facto lo gestiscono.

Da un lato troviamo quindi il governo di Tripoli, guidato dal primo ministro al Sarraj e riconosciuto dalla comunità internazionale, mentre dall’altro c’è il maresciallo Haftar, che si presenta come il salvatore della patria. Ispirandosi al modello dell’”uomo forte” del mondo arabo, dall’aprile 2019 sta guidando un’offensiva su Tripoli che rischia di trasformarsi in una guerra di portata internazionale, che coinvolge già Russia e Turchia, dove quest’ultima si è schierata a sostegno del governo di Tripoli. La prima invece, insieme a Egitto ed Emirati Arabi Uniti, sostiene Haftar e il suo esercito.

Fonte: Open,online
Fonte: Open,online

L’Unione Europea chiede di continuo un cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati di pace, escludendo l’intervento militare. Uguale la posizione mantenuta dall’ONU che ha promosso nel gennaio di quest’anno una conferenza a Berlino, conclusasi senza produrre risultati tali da far credere che la soluzione militare sia effettivamente esclusa dallo scenario libico e con un cessate il fuoco  tra le due parti che è stato firmato dal generale Haftar solo qualche giorno più tardi. Il testo tuttavia è debole e le parti in causa, compresi gli attori internazionali, potrebbero facilmente violare gli accordi.

La situazione in Libia rimane al giorno d’oggi molto fragile e soprattutto frammentata in una serie di interessi che coinvolgono in primis le due fazioni che si contendono il potere e che producono violenza sanguinosa all’interno dello stato, ma anche attori internazionali potenti che intervengono per proteggere i propri interessi economici o politici che coinvolgono lo stato libico. In tutte queste considerazioni manca da anni un soggetto fondamentale nel dialogo sul potere: il popolo. 

Anna Toniolo

Foto di copertina: MahmMahmud Turkia, Afp/Getty Imagesud Tur, via Internazionale

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