Per la tredicesima edizione del Terra di Tutti Film Festival, il fotografo Max Cavallari è stato invitato a presentare il proprio progetto, un reportage socio-fotografico intitolato “Colombia Caffè”. Attraverso i suoi scatti, l’autore racconta la storia della Comité de Mujeres, una piccola comunità di donne impegnate nella lotta contro l’acquisto dei terreni da parte dei giganti delle multinazionali a Mistratò, zona pacifica di piantagioni di caffè e banane in Colombia.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’autore.
“Colombia Caffè”. Da dove nasce l’idea del progetto? Perché hai scelto di mettere in mostra la produzione del caffè?
L’idea è nata un po’ per caso: mi trovavo in Colombia, per un tour di 20 giorni tra le maggiori città e, permettendoti la fotografia di lavorare in qualsiasi occasione, ho cominciato ad immaginare quello che poi sarebbe diventato Colombia Caffè quando mi sono ritrovato in una zona vicino al famoso triangolo della produzione di caffè colombiano. Si chiama Mistratò, ed è un piccolo paesino della provincia della Risaralda, nella zona pacifica della Colombia, a 100-150 km da Salento, l’area più famosa per la produzione del caffè, vicina anche alla Valle di Cocora, quella che si vede sulle banconote dei ciprios colombianos. Il lavoro ha cominciato a prendere forma quando ho conosciuto una signora del posto che mi ha fatto da guida e mi ha accompagnato durante il viaggio. La mia intenzione era quella di raccontare le produzioni indipendenti di caffè e fatalità ha voluto che mi trovassi proprio all’interno di una comunità di 130 agricoltori che in maniera indipendente cerca di mantenere i propri territori o di continuare a lavorare al di fuori delle leggi delle multinazionali, che in quella zona la fanno da padrone. All’interno di questa piccola realtà si trova a sua volta una comunità più piccola di donne, la cosiddetta Comité de Mujeres – quello che potremmo definire un sindacato all’interno dell’associazione che tutela i diritti delle donne – che negli ultimi anni è riuscita ad acquisire un ruolo sempre più di spicco. In un ambiente tradizionalmente maschile, oggi la figura femminile sta acquisendo importanza anche a livello istituzionale.
Parlaci del progetto fotografico e del viaggio che hai intrapreso per realizzarlo.
Fondamentalmente l’iniziativa è stata posta come inchiesta giornalistica. Una volta messa a fuoco la storia, sono entrato nella piantagione di caffè grazie alla mia nuova guida, come si vede anche nella proiezione, e ho iniziato ad osservare sia la produzione del caffè che il lavoro svolto dalla Comité de Mujeres: come interagisce con l’associazione degli agricoltori e perché è necessaria.
Questo progetto parla fondamentalmente di un sottoinsieme di una realtà di per sé già molto piccola che cerca di imporsi in un Paese dove moltissimi dei territori sono controllati da imprese multinazionali, concentrate esclusivamente sulla produzione massiva. Questa microsocietà, al contrario, cerca di essere indipendente e di mantenere l’originalità della propria produzione.

Immortalando i momenti più significativi di queste comunità, quali messaggi e riflessioni desideri suscitare? A chi lo vuoi rivolgere?
L’idea è quella di raccontare una piccola comunità, che lotta per mantenere la propria originalità, e che allo stesso tempo si fa esempio di come attualmente va il mondo, in particolare per quanto riguarda il ruolo sociale della figura femminile in queste tematiche.

Ho dunque deciso di descrivere una sotto realtà che faccia da prisma per questioni più generali: il combattere contro un sistema totalmente orientato alla grande produzione, il mediare su un certo tipo di produzione e su un certo tipo di richieste da parte del mercato, e soprattutto il difendere e l’evitare la perdita dei propri diritti.
Quindi, questo lavoro è destinato a tutti coloro che sono interessati a saperne di più: giovani, adulti, studenti o lavoratori, multinazionali stesse e piccole realtà. In generale, penso che il lavoro del giornalista non dovrebbe avere una direzione scelta a priori, ma dovrebbe cercare di ampliare il più possibile la propria utenza. A mio parere, il lavoro etico del giornalista è proprio quello di rendere pubblico ad una ‘platea’ più ampia possibile una certa storia, un certo argomento. Alla fine, l’interesse lo decide lo spettatore, l’utente finale stesso, colui che legge.
Appunto, solitamente leggiamo libri e articoli, o vediamo documentari, sulla produzione del caffè. Che valore aggiunto ha l’utilizzo del mezzo fotografico per un racconto di questo tipo?
La fotografia è il mio medium, racconto storie attraverso essa. La fotografia, come i video, i multimediali, come l’utilizzo delle immagini in generale, è fondamentale per riuscire a sentirsi pienamente dentro a una storia. Questo per dire che non vedo molta differenza tra l’utilizzo di un documentario video e un documentario fotografico. Sempre e comunque di documentario si parla.
Utilizzare la fotografia è una scelta sia estetica che di tempo. Il mio scopo è quello di dare il tempo all’utente finale, a chi guarda le immagini, di prendersi il proprio tempo per visionare il mio lavoro. Con il video hai in qualche modo un tempo limitato dal filmato stesso, per immaginarti e immergerti all’interno della tematica. E lo stesso vale per la scrittura. A mio parere, invece, la fotografia dà la possibilità ad ognuno di prendersi il proprio tempo per visionare una singola o una serie di immagini, sia esso 10 secondi o anche per due minuti, a seconda di quanto il singolo ritiene utile a se stesso.

Che emozione ti provoca pensare di portare le tue fotografie sul grande schermo?
Conosco Terra di Tutti Film da quando sono giunto a Bologna, quindi parliamo di almeno 10 anni, e il fatto che mi abbiano chiesto di esporre un mio lavoro per la 13° edizione è sicuramente un onore e un piacere. Valore aggiunto sta anche nel fatto che è la prima volta in cui le mie immagini vengono proiettate in un cinema. Una nuova esperienza per me che sono abituato a vedere il mio lavoro stampato sui giornali o in mostre fotografiche. Sicuramente l’emozione c’è.
Alessia Bertola
Immagine di copertina: Max Cavallari