Disclaimer: L’idea iniziale era quella di dar voce, in ottemperanza della normativa sulla par condicio, a due esponenti della maggioranza (Lega e M5S) e due dell’opposizione (PD e Forza Italia). Abbiamo, dunque, contattato anche esponenti di Lega e Forza Italia, che purtroppo hanno preferito non rispondere alle nostre domande.
Inizia oggi con il candidato del Partito Democratico nella circoscrizione nord-ovest Brando Benifei, il nostro viaggio alla scoperta di giovani wannabe Parlamentari Europei e delle loro idee. Brando nasce a La Spezia nel 1986 e, dal 2014, è l’europarlamentare più giovane della delegazione italiana nel Gruppo dei Socialisti & Democratici in quota PD. L’attività politica di Benifei parte prestissimo e negli anni è entrato a far parte della segreteria nazionale dei Giovani Democratici ed è stato eletto Vicepresidente di Ecosy (oggi Yes), l’organizzazione giovanile del PSE. Convinto federalista europeo è stato nominato membro del Board dello Spinelli Group e componente del Comitato Centrale del Movimento Federalista Europeo. Lo scorso anno, inoltre, è stato eletto Vicepresidente di European Movement International.
In questi concitatissimi giorni di campagna elettorale siamo riusciti a fargli qualche domanda sui suoi 5 anni da eurodeputato e sulle prospettive dell’Europa che verrà. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Dopo 5 anni da eurodeputato, quali sono, secondo te, le decisioni più importanti varate durante questa legislatura? A quali hai lavorato attivamente?
L’ottava legistalura del Parlamento Europeo ha operato all’interno di una grave situazione economica e sociale, tanto sul versante dell’economia, a causa della crisi economica e finanziaria e dei suoi effetti prolungati sulla società, quanto sul versante umanitario, con la crisi dei rifugiati. Sullo sfondo, la Brexit, che ha aperto un fronte politico e istituzionale che ancora oggi produce forte incertezza.
Al netto di tutto ciò, credo che tra le decisioni più importanti rientrino il Fondo di investimenti strategici, conosciuto come Piano Juncker (anche se è stato voluto dal nostro Gruppo Politico, quello dei Socialisti e Democratici, come conditio sine qua non per dare il via alla nuova Commissione Europea); il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e importanti misure legislative per la lotta al dumping sociale e salariale, tra cui la revisione della Direttiva sul distacco dei lavoratori e sulla mobilità dei lavoratori, in particolare nel settore dei trasporti; misure in ambito sociale per la lotta alla disoccupazione giovanile e la promozione di opportunità di scambio e mobilità di studenti e giovani professionisti, quali Garanzia Giovani, Erasmus+ e il Corpo Europeo di Solidarietà, tutti dossier di cui sono stato relatore per i Socialisti e Democratici; l’Agenda digitale e la protezione dei dati personali, con il nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR); importanti iniziative sul tema del cambiamento climatico e in ambito ambientale, per la riduzione delle emissioni di CO2, sull’utilizzo della plastica e sull’economia circolare.
Come membro della Commissione Occupazione e Affari Sociali, mi sono occupato soprattutto di lavoro e lotta alla povertà, e in quanto membro della Commissione Affari Esteri e della Sottocommissione Sicurezza e Difesa, di politica internazionale dell’Unione europea e dei nuovi strumenti di difesa comune. Inoltre, ho anche contribuito in prima persona, con i miei emendamenti e iniziative legislative e non, con interrogazioni e organizzando incontri e dibattiti su svariati ambiti legislativi, in particolare nel campo del digitale, soprattutto sulle competenze digitali (e-skills), la nuova Direttiva sul copyright, le opportunità per le startup. Sono stato relatore e relatore ombra di importanti dossier parlamentari sul tema dei rifugiati e della riforma del sistema di asilo comune europeo, sul Fondo Sociale Europeo Plus, per i diritti delle persone con disabilità, sulle relazioni UE con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
Fedeli alla linea o libertà di pensiero. Come funziona il processo decisionale all’interno dei partiti europei? Si tende a seguire di più le indicazioni della famiglia politica o l’interesse nazionale tende a prevalere?
Ci sono differenze sostanziali a seconda di quale famiglia politica o gruppo politico stiamo parlando. Il Partito Socialista Europeo (PES), di cui il PD è membro e con il quale si coordina all’interno del Gruppo politico dei Socialisti e Democratici (S&D) in Parlamento, è una famiglia piuttosto coesa, pur essendoci alcune differenze di vedute, talvolta anche a fronte di interessi nazionali divergenti, su alcuni temi specifici. C’è tuttavia un importante elemento da sottolineare: la nostra è un’autentica famiglia politica, che si identifica dietro linee guida programmatiche che riflettono la visione delle forze progressiste e del socialismo europeo. Esiste una continua discussione e un coordinamento tra i partiti politici e le varie delegazioni nazionali che compongono il PES e l’S&D, un processo che determina la posizione non soltanto al momento del voto, ma durante tutto l’iter legislativo dei singoli dossier. Può capitare che al momento del voto ci siano delle differenziazioni, ma sono comunque coordinate all’interno di una dialettica ampia e strutturata.
Lo stesso non si può dire per tutti i Gruppi o Partiti rappresentati in Europa. Alcuni di essi, infatti, sono la composizione di movimenti molto eterogenei: esempi più evidenti sono il Gruppo della Libertà e della Democrazia Diretta (EFDD) dove siedono i 5 Stelle a fianco dell’UKIP di Farage, o il Gruppo Europa delle Nazioni (ENF), che unisce forze di destra e anti-europee, in un’improbabile alleanza basata sulla negazione stessa dello stare insieme.
Dopo due domande preparatorie, passiamo al tema che ultimamente scalda qualunque campagna elettorale: le politiche migratorie. Che giudizio dai al ruolo dell’Unione Europea e degli stati membri in merito a ciò? Come affronteresti il problema in sede europea?
Le politiche migratorie sono un esempio perfetto della necessità di collaborare all’interno dell’Unione Europea per affrontare in maniera adeguata una questione che per sua stessa natura travalica i confini degli Stati nazionali e la loro capacità di azione.
La gestione della crisi dei rifugiati è stata (e in grande misura rimane) una delle sfide principali cui l’Unione Europea e la sua società devono far fronte, per via delle sue dimensioni e della complessità delle sue implicazioni sociali, politiche ed economiche. Una crisi umanitaria, su scala mondiale, ma anche una grave crisi della politica, che ha colto impreparata l’Unione Europea e i suoi Stati membri e ha richiesto risposte ambiziose che purtroppo in larga misura tardano ancora oggi ad arrivare, come sulla riforma del sistema di Dublino o su un sistema di distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo. Non certamente per colpa del Parlamento Europeo, ma per il riemergere di egoismi nazionali e per la scarsa solidarietà dimostrata in seno al Consiglio Europeo tra i capi di governo dei Paesi membri dell’Unione, in particolare a causa delle resistenze di governi conservatori di destra e antieuropei, alleati della Lega in Europa.
L’immigrazione è un problema europeo e per risolverlo servono strumenti europei e partnership stabili con i nostri colleghi a Bruxelles. La strumentalizzazione a fini elettorali può portare alcuni voti alle forze xenofobe o antieuropee, ma le soluzioni per i nostri cittadini – una gestione ordinata dei flussi, il controllo delle frontiere, politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e di distribuzione dei richiedenti asilo, tutte questioni cruciali riguardanti l’interesse nazionale -, passano necessariamente dalla collaborazione costruttiva all’interno delle istituzioni comunitarie.
L’altro tema scottante degli ultimi mesi a livello europeo è stato quello del copyright. Qual è la tua posizione in merito? Collegato a ciò c’è anche il tema della concorrenza. Pensi ci sia spazio per una evoluzione dell’anti-trust europeo o l’azione della Commissione in materia è già abbastanza efficace?
Ho seguito con grande attenzione e sin dall’inizio la riforma della Direttiva europea sul Diritto d’autore, che dovrebbe adeguare la normativa sul copyright alla rivoluzione digitale. Pur condividendo questo obiettivo, fin dall’inizio non sono stato convinto dalla proposta della Commissione, che introduceva alcune misure a mio parere troppo restrittive della libertà della Rete, in particolare l’art. 11, che prevede che gli editori possano chiedere il pagamento di un diritto accessorio per la lettura di articoli delle loro testate, e il 13, che introduce l’obbligo, per le piattaforme tipo YouTube, di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti per eliminare i casi di possibili violazioni del diritto d’autore.
Sono assolutamente a favore della remunerazione degli autori, di artisti come di giornalisti, per le loro creazioni. Ma il testo mi sembrava favorire soltanto i grandi editori e le grandi piattaforme, creando invece ostacoli molto forti per le piccole realtà, che non hanno i mezzi per mettere in piedi tali filtri (art. 13) o che perderebbero molto del traffico se gli articoli diventassero a pagamento (art. 11). Ho quindi partecipato a varie attività per sensibilizzare le persone su questo argomento e per chiedere alla Commissione e allo stesso Parlamento di trovare una soluzione più moderata al problema dei contenuti online.
Ho fatto parte della campagna internazionale #SaveTheLink, insieme ad altri colleghi di entrambi gli schieramenti, ho organizzato e partecipato a dibattiti internazionali e nazionali sul tema e seguito i vari passaggi legislativi. A tutt’oggi, non sono pienamente convinto della soluzione che si è trovata per bilanciare le diverse posizioni e continuerò a lavorare per seguirne gli effetti nell’attuazione.
In effetti, la questione pone un problema di concorrenza, perché introducendo meccanismi onerosi e complessi a carico di utenti e piattaforme si scoraggiano i piccoli operatori e si toglie traffico ai piccoli editori, con la conseguente frammentazione del mercato, che invece dovremmo contrastare a livello europeo, e con una sua crescente concentrazione a vantaggio delle grandi piattaforme e dei grandi editori.
Si potrebbe aprire in questo ambito un ruolo ancora più ampio e attivo della Commissione Europea, sia dal profilo dell’anti-trust in senso stretto, sia per quanto riguarda l’applicazione della normativa UE nel settore digitale, poiché aumentano in maniera progressiva alcune competenze normative presso l’esecutivo di Bruxelles. In ogni caso, ritengo che Internet debba rimanere un luogo aperto, neutrale e inclusivo, uno spazio che permetta l’innovazione e un accesso equo a tutti e che l’Unione europea debba portare avanti la propria azione in questo senso, muovendosi progressivamente dalla sfera del mercato e della tecnologia a quello dei diritti di ogni individuo.
Abbiamo scelto di intervistarti in quanto giovane candidato e il tema lavoro-giovani ci sta molto a cuore. Che giudizio dai a Garanzia Giovani? Quali altre misure può varare l’Unione Europea per favorire l’occupazione giovanile e condizioni di lavoro accettabili?
In questi anni di attività parlamentare, il miglioramento della Garanzia Giovani è stato uno dei miei ambiti di lavoro principali. Un programma che nel nostro Paese ha talvolta fatto parlare di sé in termini critici, in particolare a causa di situazioni di difficoltà di alcune amministrazioni locali e regionali nell’offrire servizi per i giovani, sul tema del ritardo dei pagamenti dovuti ai tirocinanti e in alcuni casi per la scarsa qualità delle misure offerte ai giovani. Ho portato avanti in tutte le sedi le preoccupazioni di quanti chiedevano una riforma dello strumento, che soprattutto nelle fasi iniziali ha richiesto uno sforzo di ammodernamento dei servizi pubblici per l’impiego e il rafforzamento del coordinamento tra autorità ministeriali, regionali e locali e con gli enti pubblico-privati associati al programma.
Dopo l’introduzione di una serie di correttivi, soprattutto sul tema della qualità delle offerte, Garanzia Giovani sta producendo importanti risultati, come dimostrato dai dati sulla sua partecipazione e dal giudizio espresso dalle molte organizzazioni giovanili attive nel settore, che di Garanzia Giovani e dei suoi programmi si occupano nel quotidiano. In Italia si sono registrati oltre un milione e trecentomila ragazze e ragazzi, mentre a livello europeo si calcola che siano ben oltre 14 milioni i partecipanti ai vari programmi nazionali.
La lotta alla precarietà e allo sfruttamento del lavoro, soprattutto dei più giovani, deve restare al centro dell’azione dell’UE nei prossimi anni. Soprattutto durante gli anni della crisi economica, abbiamo infatti assistito in Italia e in Europa a un proliferare di cosiddette forme contrattuali “atipiche”, che creano precarietà soprattutto (ma non esclusivamente) per i giovani, causando una corsa al ribasso dei salari e delle condizioni lavorative e impedendo un accesso adeguato a schemi di protezione sociale e a servizi sociali e previdenziali. Forme contrattuali che, lungi dal permettere la formazione di ragazze e ragazze nella loro prima esperienza lavorativa, finiscono per tramutarsi in metodo di assunzione standard.
Nelle ultime settimane di mandato, abbiamo adottato un’importantissima Direttiva, nella cornice del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, che estenderà standard minimi di protezione a oltre 200 milioni di lavoratori. Allo stesso tempo, tuttavia, ci stiamo battendo per ottenere una vera e propria direttiva quadro per condizioni di lavoro dignitose per tutte le forme di occupazione, un passo ulteriore e più ambizioso per garantire a tutti, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale, accesso a servizi sociali, previdenziali e welfare. Tra i risultati raggiunti in questi anni, posso dire che grazie al mio impegno come vicepresidente del’Intergruppo parlamentare sui Giovani, siamo riusciti ad abolire la pratica dei tirocini non retribuiti all’interno del Parlamento Europeo. La mia prossima battaglia politica, in caso di rielezione, sarà mettere al bando stage e tirocini non pagati in tutta l’UE.
In conclusione, quali sono le sfide che aspettano l’UE nei prossimi 5 anni? Credi si andrà verso gli Stati Uniti d’Europa o gli stati membri avranno ancora più potere decisionale?
In buona misura dipenderà dall’esito delle prossime elezioni europee e dalle alleanze che si verranno a creare, tanto in Parlamento che in seno al Consiglio. Sono dell’idea che l’Unione Europea, al suo stato attuale, non possa continuare. Serve una riforma radicale dell’assetto comunitario, nella direzione di una riforma dei Trattati che non sia fine a sé stessa, ma che permetta di approfondire l’azione dell’UE in tutti quei campi che ho già citato nell’intervista, in particolar modo in ambito sociale e fiscale. L’Europa deve dotarsi di strumenti adeguati a far fronte alle sfide del presente per garantire il benessere dei suoi cittadini.
Un necessario passo in avanti deve essere compiuto sul campo della spesa pubblica, riformando il Fiscal Compact e le regole eccessivamente restrittive sul controllo dei bilanci nazionali. Bisogna inserire meccanismi per la mutualizzazione dei debiti sovrani tra i Paesi membri. Servono stabilizzatori automatici dell’economia, come un sussidio di disoccupazione europeo per far fronte a shock macroeconomici che possono colpire i singoli Stati UE. Occorre completare per davvero il Mercato interno, anche sul terreno del digitale, e introdurre vere risorse proprie per l’UE, per poter finanziare politiche indirizzate alla crescita sul continente.
Per fare tutto ciò, sarà sempre più necessario che l’UE faccia passi in avanti verso un assetto istituzionale federale. Potrebbero volerci più di 5 anni, ma rimanere fermi significa fare il gioco delle forze antieuropee, che rifiuto di chiamare “sovraniste”, visto che ritengo la sovranità una cosa seria.
Angela Caporale e Roberto Tubaldi
2 pensieri su “Per una UE federalista e sociale: intervista a Brando Benifei (Pd)”