Charlottesville (VA), USA, 11 agosto 2017.
Al culmine di una giornata di tensione, una Dodge Challenger guidata dal ventenne James Alex Fields si lancia a tutta velocità sulla folla radunatasi per protestare contro la manifestazione dell’estrema destra Unite the Right Rally. Una donna di 31 anni, Heather Heyer, rimane uccisa. Diciannove persone sono ferite.
L’uccisione di Heather, un’assistente legale scesa in piazza per marciare contro il razzismo, scuote l’America e il mondo intero. L’Alt-Right, l’estrema destra americana, finisce improvvisamente sotto i riflettori: chi sono i supremartisti bianchi? E chi cerca di combatterli?
Adam Bhala Lough e la sua troupe cercano di spiegarlo, seguendo da vicino i leader delle fazioni in campo nel tragico agosto di Charlottesville nel documentario “Alt-Right: Age of Rage”, proiettato a Bologna il 29 aprile nell’ambito della rassegna Mondovisioni.
Primo su tutti, Richard Spencer. Fondatore del blog “AlternativeRight.com” e presidente del National Policy Institute, è uno dei leader più riconoscibili della destra nazionalista a stelle e strisce. Arrogante, narcisista, senza peli sulla lingua: Spencer recita così bene la parte del diavolo che sembra davvero incarnarlo. Non fosse per qualche segno di debolezza —il bourbon buttato giù nervosamente prima di sfilare a Charlottesville, per “recuperare un po’ dell’arroganza Spencer”, ad esempio— si direbbe proprio che il nativo di Boston sia risalito dagli inferi apposta per ricondurre gli USA alla loro “purezza originaria”, tramite quella che definisce come una “pulizia etnica pacifica”. Bhala Lough è particolarmente sottile nell’esporre l’artificiosità del personaggio di Spencer: reale e al contempo costruito, sfaccettato, controverso.
In opposizione al leader dell’Alt-Right, il regista segue parallelamente anche le vicende di Daryle Lamont-Jenkins, attivista che da più di 18 anni si oppone al movimento suprematista bianco attraverso la sua organizzazione One People’s Project. Bhala Lough mette in risalto gli scontri tra i due leader, gli insulti e la tensione. Ricostruendo il contesto complesso delle forze in campo, la pellicola non tralascia anche la presentazione di figure secondarie come Mark Potok, esperto studioso della destra estremista, costretto a vivere in una casa circondata da telecamere a causa di svariate minacce di morte, e Jared Taylor, fondatore del giornale di stampo suprematista “American Reinessance”, fervido sostenitore di teorie come quella del “genocidio bianco” e della presunta superiorità intellettiva di alcune razze su altre.
Un mosaico, quello composto dal regista americano, che cerca il più possibile di mostrare un’immagine oggettiva dello scontro politico in atto, senza prendere le parti dell’uno o dell’altro gruppo. Il documentario non sottovaluta anche uno dei mezzi più importanti di diffusione dei propri messaggi “usati” dall’Alt-Right: i social. È infatti attraverso Instagram e Youtube che la destra nazionalista raccoglie ogni giorno nuovi simpatizzanti. Per questo, Bhala Lough e la sua troupe intervistano TV KWA, un “memer” professionista che si guadagna da vivere creando meme inneggianti al nazismo e al fascismo. Secondo lo studioso Mark Potok, questa è la maggiore differenza tra i movimenti di estrema destra sorti subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e quelli odierni: se negli anni ’50 l’unico mezzo di trasmissione di video su larga scala era la televisione – che adottò misure “contenitive”, smettendo di trasmettere in diretta le riunioni dei gruppi di estrema destra – con l’avvento de i social la situazione si è ribaltata. Chiunque può accedere liberamente e senza restrizioni a contenuti inneggianti al nazifascismo e al razzismo. E il “pubblico” della nuova propaganda estremista è essenzialmente composto da ragazzi adolescenti, tra i 14 e i 18 anni.
La destra nazionalista non si appoggia solo alla Rete per allargare il suo bacino di sostenitori. Personaggi come Richard Spencer e Jared Taylor girano gli Stati Uniti in veri e propri tour per portare il proprio messaggio al maggior numero di persone possibile, proclamando la superiorità della razza bianca. Spesso, questo si traduce in manifestazioni come la United the Right Rally di Charlottesville, finita in tragedia. In un Paese come gli Stati Uniti, caratterizzato da enormi contraddizioni, il movimento per la tutela dei diritti degli afroamericani è ancora impegnato in dure lotte, e quella contro l’Alt-Right è una di esse. In qualunque luogo si riunisca un numero cospicuo di suprematisti bianchi, gruppi come quello di Daryle Lamont-Jenkins si presentano sul luogo per contestarne gli ideali, e molto spesso tali contestazioni sfociano in risse dalle conseguenze talvolta irreparabili. Quello tra l’Alternative Right e i movimenti per i diritti civili è uno degli scontri politici più caldi d’America.
“Alt-Right: Age of Rage” non ha la pretesa di spiegare al pubblico cosa sia l’Alternative Right, né di determinare chi abbia ragione o torto nella lotta tra la fazione suprematista e quella antifascista. È piuttosto un’analisi al microscopio dei leader di questi movimenti, una possibilità inedita di svelare il “dietro le quinte”, di approfondire le posizioni, di osservare da vicino un fenomeno molto lontano da noi. Non tenta di spingere lo spettatore a schierarsi, ma lo indirizza nella direzione giusta per formarsi una propria opinione indipendente. Quello che, in fin dei conti, ogni documentario di questo tipo dovrebbe fare.