Sempre più persone in fuga (anche) dai cambiamenti climatici

Nell’analisi del fenomeno migratorio, c’è un segmento della popolazione migrante che rimane pressoché . “Migrazioni forzate che non fanno rumore, perché difficili da quantificare, non tutelate dal diritto internazionale, complesse da comprendere e da spiegare”, si legge nella seconda edizione del Crisi ambientali e migrazioni forzate. Nuovi esodi al tempo dei cambiamenti climatici sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Di questi, 25,4 milioni sono rifugiati, di cui . Per la precisione, 11 milioni, compresi quanti si trovano in Turchia, paese con cui l’Europa ha siglato un scellerato perché filtrasse e contenesse gli arrivi provenienti dalla rotta balcanica. In realtà, la maggior parte dei rifugiati internazionali si trova in paesi cosiddetti in via di sviluppo (86%) e in assoluto i paesi che accolgono di più sono, nell’ordine, Turchia, Pakistan, Uganda, Libano, Iran, Germania e Bangladesh. Il Libano, per esempio, che è grande quanto l’Abruzzo (!), secondo il , persone che si spostano all’interno del proprio paese in cerca di condizioni di vita migliori: secondo il Alluvioni e piogge torrenziali, cicloni, prolungate siccità sono solo alcune delle cause all’origine di questi spostamenti. Tra l’altro, , come le Filippine, la Somalia o lo Sri Lanka, principalmente paesi dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale. , si precisa ad esempio come le principali nazionalità destinatarie dei 262.770 permessi di soggiorno concessi nel 2017 in Italia – tra cui il 38,5% per motivi umanitari, forma di protezione oggi tra i 200 e i 250 milioni di migranti ambientali entro il 2050 , una media di 6 milioni di persone che ogni mese saranno costrette ad abbandonare la propria terra e il proprio paese, attraversando anche i confini territoriali nazionali. Come garantire loro un’adeguata forma di protezione? i migranti climatici non costituiscono una vera e propria categoria giuridica autonoma . In realtà, non c’è accordo nemmeno su come “etichettarli”: migranti o rifugiati ambientali? La differenza non è di poco conto, perché rischia di accostare i primi ai “migranti economici” che l’Europa cerca caparbiamente di respingere, ponendo enfasi su una dimensione volontaristica della migrazione che non è sempre facile determinare con chiarezza. E che, come sappiamo bene, spesso non dà diritto ad accedere a forme di protezione statale. , diviene di uso comune dopo il 1985, a seguito della : per riconoscere lo status di rifugiato, infatti, è necessario dimostrare un giustificato timore di persecuzione fondato su motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica e appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Chiaramente, all’epoca della stesura della Convenzione un come quello delle migrazioni ambientali non era stato oggetto di considerazione e la categoria di rifugiato ambientale non viene menzionata. A meno che non si opti per una sua , così com’è formulata la Convenzione tende ad escludere chi migra a seguito di disastri e cambiamenti climatici. ha riconosciuto a febbraio 2018 la protezione umanitaria ad un cittadino bengalese, costretto ad andarsene per aver perso la fonte del suo sostentamento a seguito di un’alluvione. Il riconoscimento del legame, seppur non diretto, tra cataclisma, distruzione dell’ecosistema e perdita del proprio tenore di vita è una piccola vittoria. “persone o gruppi di persone che, per pressanti ragioni di un cambiamento improvviso o graduale che influisce negativamente sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare le loro dimore abituali o scelgono di farlo, temporaneamente o per sempre, e che Purtroppo, un passo avanti ancora insufficiente. Tanto è vero che il problema rimane: ; di conseguenza, è difficile mettere in campo strumenti di tutela adeguati. Nella decisione di spostarsi, possono intrecciarsi in maniera complessa tutta una serie di motivazioni di ordine economico, demografico, sociale e ambientale che non andrebbero analizzate separatamente. Le disuguaglianze sociali, le guerre e la povertà sono infatti correlate con il , innalzamento del livello dei mari, scioglimento dei ghiacciai e desertificazione non sono fenomeni mitizzati ma la prova tangibile del su cui ci stiamo affacciando. A subirne le conseguenze peggiori, proprio quelle zone del mondo da cui , contribuendo al peggioramento e alla distruzione di ecosistemi già fortemente stressati. Alla luce delle enormi responsabilità del modello economico occidentale, risultano ancor più inconsistenti le posizioni di leader mondiali come Trump e il neoeletto presidente brasiliano in Nigeria, per esempio, sono all’origine di gravi danni ambientali e, di conseguenza, dello spostamento massiccio di persone. E cosa direste se sapeste che la coltivazione intensiva di avocado, quel gustoso frutto che ha invaso le nostre tavole, ha un , infatti, sono un’altra piaga ecologica dai risvolti drammatici, che lascia vaste zone impoverite e consumate, dando vita ad un fenomeno conosciuto come , una spartizione vorace e neocoloniale di ettari ed ettari di terre. La scarsità di risorse inoltre, in particolar modo quelle idriche, è all’origine della maggior parte dei La questione dei rifugiati ambientali riguarda solo in apparenza popolazioni e luoghi lontani, vi siamo implicati tutti: ad essere preso in causa è il nostro stile di vita, incapace di fare i conti con un minimo di progettualità futura. Secondo il , diffuso alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos, l’ Migrazioni e ambiente in senso lato sono profondamente correlati, è ora di prenderne coscienza. Soprattutto, è ora di fare i conti con le responsabilità di un , che lascia in eredità alle generazioni future, di ogni provenienza geografica, un mondo saccheggiato e depauperato.