Il padiglione della Gran Bretagna alla Biennale di Architettura di Venezia 2018 prende il nome di “Isola”. L’edificio è completamente e volutamente vuoto: gli artisti britannici hanno così affrontato il tema della separazione e di “esilio” che il referendum del 23 giugno 2016 fa pendere sulla testa dei cittadini britannici come una spada di Damocle.
Risultato di un gioco politico ad opera del Partito Conservatore e dell’ex Primo Ministro David Cameron, il voto referendario si è rivelato essere un avvenimento storico che cambierà il panorama politico del Regno Unito e dell’Unione Europea per generazioni a venire. Generazioni che saranno costrette a pagare per il voto dei loro stessi genitori con i quali non condividono valori identitari e priorità politiche.
Il Regno Unito è un grande Paese, ma non è mai stato così diviso dalla Seconda Guerra Mondiale. Il dibattito, fortemente polarizzato, ha spinto pericolosamente l’opinione pubblica verso il conflitto piuttosto che la cooperazione.
Ma come ricostruire a partire dalle macerie? Come rimettere insieme gli infiniti pezzi di un puzzle che sembrano essere andati persi?
Purtroppo, una singola pallottola d’argento non c’è.

Il collasso del manifatturiero, la globalizzazione incontrollata, i grossi cambiamenti tecnologici, la perdita di una politica identitaria e l’austerity hanno fatto sì che si creassero divisioni all’interno di comunità e gruppi di persone. Divisioni intensificate dal referendum sull’Europa.
Brexit riassume il fallimento di un’intera classe dirigente, incapace di unire la Nazione e anacronisticamente legata ad un ricordo imperiale e coloniale che ha dipinto per anni l’UE come un’organizzazione incompetente e malevola.
Ma il Regno Unito ha iniziato a frammentarsi tra le mura di Westminster e non a Bruxelles. Qualsiasi esito seguirà Brexit nel prossimo futuro, è di primaria importanza che venga fatto tutto il possibile per ascoltare la voce e proteggere gli interessi di chi sarà colpito dalle conseguenze di questo fuoco incrociato più a lungo degli altri: i giovani.
Finora il processo della Brexit non si è schierato dalla parte di chi dovrà effettivamente sostenerlo e questa assenza di rappresentanza viene evidenziata da sempre più giovani, il cui interesse per la politica è aumentato col referendum. La consapevolezza che le conseguenze li vedranno direttamente coinvolti, ha giocato un ruolo fondamentale in questa entrata nella vita politica del Paese, come lo dimostra il Brexit Opinium poll, infatti, il turnout nel 2016 è stato del 64% tra i 18-24 anni e del 65% tra i 25-39, percentuali molto vicine alla media della popolazione attesa per il voto. Di questi, tra i 18-24 anni, il 71% ha votato per rimanere nell’Unione Europea, mentre il 62% tra i 25-39 anni. Questi dati sottolineano innanzitutto un voto chiaro e soprattutto un forte interesse per la politica, un interesse che continua ancora dopo l’esito del referendum.
I millennials hanno paura che Brexit sia sinonimo di una crescente intolleranza verso i migranti e vogliono che la diversità venga protetta e promossa; condividono una serie di valori comuni cosmopoliti, che hanno come priorità le pari opportunità e l’internazionalizzazione e chiedono ai politici che questa loro visione venga protetta, trovando riscontro all’interno delle future relazioni politiche. Ad oggi, solo il 36% dei ragazzi si sente rappresentato correttamente dai negoziati, ritenendo che un comportamento aggressivo nel dibattito politico abbia danneggiato le prospettive per un radioso e positivo futuro delle relazioni con l’Unione Europea.
E se da un lato i ragazzi britannici non trovano modo di far ascoltare la loro voce, anche dal lato europeo non c’è modo di impegnarsi in prima persona per dialogare con le istituzioni, lasciando tutto nelle mani di generazioni più anziane che risentiranno meno dei prossimi risultati diplomatici.
La direzione è quella giusta?

Il progressivo disinteresse verso i giovani da parte dei politici e dei burocrati non fa altro che accrescere il gap generazionale che la Brexit ha creato. Per riconquistare il loro appoggio c’è bisogno di fare un passo indietro, guardando al sistema politico nel suo insieme. La politica dovrebbe essere accessibile, aperta a studenti “educati alla cittadinanza” già dalle scuole, affinché il voto possa essere il più possibile libero dalla retorica a fine di manipolazioni elettorali.
È necessario inoltre fare un passo avanti, guardando alle relazioni future. La visione comune espressa dai giovani è che una hard o no deal Brexit sarebbe dannosa per il Regno Unito. Infatti, se si volesse rispettare al meglio l’esito poco marcato del referendum (52% per il Leave, 48% per il Remain), bisognerebbe puntare ad una soft Brexit in cui si mantengono aperti i rapporti commerciali e si lascia inalterata la libertà di movimento all’interno dell’Unione (fondamentale il mantenimento del programma Erasmus), ma allo stesso tempo vengono promosse politiche di maggior controllo verso i migranti extracomunitari e la possibilità di intrecciare relazioni economiche a piacimento con l’estero.
Una legislazione del genere è difficile, ma non impossibile e, ad oggi, dopo il rinvio disperato del voto alla Camera sul Withdrawal Agreement da parte del Primo Ministro Theresa May e la dichiarazione della Corte Europea dell’eventualità per il Regno Unito di poter revocare unilateralmente l’intenzione di ritirarsi dall’Unione, tutto si fa ancora più incerto e confuso.
Ciononostante, vedere solo gli aspetti negativi di questo momento storico sarebbe del tutto controproducente. Brexit non è la fine di un’era, ma un campanello d’allarme che chiede un nuovo tipo di politica sia nel Regno Unito che in tutto l’Occidente. Una politica più inclusiva in cui i giovani abbiano il loro spazio e vengano riallacciati i rapporti all’interno del Paese.
Il passato va accettato, nel bene e nel male, e se c’è del potenziale negli spazi vuoti delle gallerie d’arte, l’“Isola” può rappresentare un’opportunità di ripartenza e ricostruzione.
D’altronde Shakespeare ne “La Tempesta” scriveva:
Non avere timore: l’isola è piena di rumori, suoni e dolci arie, che danno piacere e non fanno male.
E di certo, dopo la Regina, non c’è nessuno di più inglese di lui.
Matteo Brugnolo
Questo articolo è parte dell’attività sostitutiva di tirocinio che Matteo, studente del corso di laurea in Philosophy, International and Economic Studies dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, sta svolgendo presso la redazione di The Bottom Up.