Gentili lettori,
Torniamo con la rassegna della stampa estera e con qualche novità: la nostra rassegna infatti cambia forma e frequenza di pubblicazione! Da ora in avanti pubblicheremo ogni settimana, passando da otto a quattro articoli. La somma dei fattori sembra apparentemente uguale, ma in realtà le notizie saranno più fresche, più sul pezzo e riceverete più extra come video e citazioni.
Speriamo che la nuova versione vi piaccia e cominciamo subito con una lista di articoli dedicata alle proteste: nello specifico, le proteste in Bielorussia durante il centesimo anniversario della breve Repubblica Popolare e la manifestazione March for Our Lives negli Stati Uniti. Parliamo anche di rifugiati dalla Palestina e crisi del lavoro, della guerra in Yemen all’inizio del suo quarto anno e delle conseguenze dei recenti scandali su Facebook.
Buona lettura!
Quick et nunc
Il 25 marzo in Bielorussia segna l’anniversario della Repubblica Popolare di Bielorussia, al potere dal 1918 al 1919 e vista come la fondazione di una Bielorussia indipendente dal dominio russo. La Repubblica ha avuto vita breve, ma gli abitanti del paese portano avanti la celebrazione. Nei 24 anni del governo dittatoriale di Alexander Lukashenko, la ricorrenza è diventata una forma di protesta in cui tradizionalmente si radunano gli oppositori del presidente.
Protesters arrested in Belarus during opposition rally
Quest’anno per la prima volta dall’inizio del suo governo, Lukashenko ha autorizzato il raduno del 25 marzo. Tuttavia, almeno 70 dimostranti, tra cui alcuni membri dell’associazione per i diritti umani Viasna, sono stati arrestati. L’anno scorso a un raduno di oppositori erano avvenuti 700 arresti, scatenando una reazione di avvertimento da parte dell’Unione Europea, che ha eliminato le sanzioni contro il paese solo nel 2016. La permissività di quest’anno è probabilmente legata alla necessità di evitare altri richiami. Con l’assenza di sanzioni e la scarsa copertura di questa notizia, è senz’altro vero che i bielorussi si sentono soli nella loro battaglia, ma rimangono determinati. “Lukashenko è il passato sovietico, noi siamo il futuro”, afferma uno studente di 20 anni alla manifestazione.

Scavando a fondo
Tre anni ininterrotti di guerra sono passati nello Yemen. Inizia ora il quarto anno, e Al Jazeera raccoglie le testimonianze delle donne, di chi è immerso nel quotidiano tormento di bombardamenti, mine, azioni militari senza fine. Il conflitto nasce dalla ribellione della comunità Houthi contro le azioni del presidente Hadi di rimandare elezioni a lungo attese e i negoziati per una nuova costituzione. Il gruppo ha preso in ostaggio il presidente, che ha chiesto aiuto all’Arabia Saudita. Questo è successo nel 2015. I bombardamenti della coalizione araba non hanno portato a una resa degli Houthi, ma hanno creato una delle peggiori crisi umanitarie della storia recente.
Yemeni women reflect on war in a city ravaged by air strikes
I dati parlano di 18 milioni di civili coinvolti nella guerra, con 10 milioni che necessitano di assistenza immediata. Save The Children stima almeno 50.000 vittime tra i bambini nel 2017. Diverse parti sono ora coinvolte nella guerra, con diversi interessi, ma nessuno sembra avere in mente il destino della popolazione. “Tutti i giorni, da tre anni a questa parte, ci prepariamo ad affrontare la morte. Tutti i giorni”, testimonia Ahlam Othman, donna di 35 anni abitante di Sanaa. “Quando i miei bambini mi chiedono se la guerra finirà presto, rispondo “Inshallah” [se Dio vuole]”.

Consigli per i click
L’Agenzia UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees, che si occupa di fornire assistenza, e in molti casi lavoro e pensioni a migliaia di rifugiati palestinesi nei paesi del Medio Oriente, non è mai stata in una situazione finanziaria particolarmente rosea. Nata negli anni cinquanta, il suo budget è sempre stato precario, e ha chiuso il 2017 con un deficit di 49 milioni di dollari. Ma adesso, l’agenzia si trova nella crisi economica peggiore dalla sua fondazione, a causa delle riduzioni di finanziamenti decise da Donald Trump che portano il contributo degli Stati Uniti da 125 a 60 milioni di dollari.
Palestinian refugees lament as Trump funding cuts create job insecurity and a pension crisis
La situazione è drammatica: l’associazione ha lanciato una massiccia campagna di crowdfunding per cercare di limitare le perdite, ma nel frattempo i suoi impiegati, palestinesi che lavorano come medici, insegnanti o in altri ruoli di assistenza alle comunità di rifugiati, si trovano con un futuro incerto. L’associazione è fondamentale nella vita di molti rifugiati palestinesi: per fare un esempio, ha 700 scuole che educano circa 525.000 bambini; oltre a servizi legati all’educazione e alla sanità, fornisce aiuti di prima necessità e assistenza economica di emergenza. Ora tutto appare più incerto: corrono già annunci ufficiali di posti di lavoro temporanei non rinnovati e la pensione per molti collaboratori dell’agenzia è in pericolo. Una nuova prova per comunità che già si trovano in situazioni di incertezza e difficoltà.

Schermi diversi
Durante la scorsa settimana, Facebook è stato investito da uno scandalo: è venuto fuori infatti che la compagnia Cambridge Analytica, assunta da Donald Trump durante la sua campagna per costruire annunci mirati, ha raccolto dati da circa 50 milioni di utenti senza la loro autorizzazione. La compagnia si è vantata di aver influenzato le elezioni, ed esistono conferme che Cambridge Analytica e Facebook abbiano lavorato fianco a fianco durante quel periodo. La reazione del pubblico a queste notizie è stata quella che ci si può aspettare: indignazione, appelli al boicottaggio, preoccupazione.
Mark Zuckerberg non è stato particolarmente tempestivo né convincente nello scusarsi, e in questo articolo di Quartz ci si chiede: cosa possiamo fare? Quali possono essere le conseguenze delle rivelazioni su Facebook, aldilà della perdita pressoché immediata di 60 miliardi di dollari in valore di mercato? Si prende in considerazione l’esempio di Microsoft, le cui aggressive pratiche di mercato e monopolio dell’industria non arrivavano comunque ai livelli attuali di Facebook. Microsoft è stato coinvolto in una vera e propria guerra con i regolatori antitrust, e alla fine non è più stato lo stesso, permettendo l’ascesa di compagnie come Google e Apple. Un’azione antitrust potrebbe danneggiare Facebook e ridurlo a un’ombra di se stesso. Poi c’è l’esodo di utenti da prendere in considerazione, probabilmente il più grande dagli inizi, che segue un già presente calo negli Stati Uniti. Al momento si tratta di una minima frazione del bacino di utenza, ma tutto suggerisce che aumenterà, per quanto molto lentamente. Nelle fasce adolescenziali, Facebook non è molto popolare. Potrebbe essere iniziato il suo declino? Staremo a vedere.

Altro giro, altro regalo
Il discorso di Emma Gonzales alla March for Our Lives è commovente e incisivo. Ascoltatelo tutto, anche nel suo silenzio, e guardate i volti in questo video. Emma ci racconta come la vita può cambiare completamente in meno di sette minuti. E come da ragazzi normali si diventa attivisti per difendersi, e si marcia per se stessi, si combatte per il proprio diritto a vivere.
Parole, parole, parole

Citazione della settimana: “Since the time that I came out here, it has been six minutes and twenty seconds. The shooter has ceased shooting and will soon abandon his rifle, blend in with the students as they escape and walk free for an hour before arrest. Fight for your lives before it’s someone else’s job.”
Emma Gonzalez, March for Our Lives

Parola della settimana: the straw that breaks the camel’s back. La pagliuzza che rompe la schiena del cammello. Una variante colorita della nostra “ultima goccia”, ovvero una piccola azione, o seccatura o fatica che sconvolge completamente l’equilibrio in modo inaspettato. Quando si è carichi fino all’inverosimile, basta un niente e si crolla. Come un cammello.
Francesca Maria Solinas